Questo blog tratta del processo ai ricercatori nel campo dei terremoti, comunemente conosciuto sotto l’etichetta – errata – di processo alla “Commissione Grandi Rischi” (su questa definizione ovviamente si tornerà).
Lo scopo del blog è di produrre argomenti, punti vista etc., anche dalla parte degli accusati e di chi si riconosce nella loro azione, cosa che finora solo il blog INGV e sporadici interventi sulla stampa hanno fornito al pubblico.
Vi è forse un motivo per questo. La gran parte dei ricercatori, italiani e non, ha assistito incredula alla costruzione della accusa, al rinvio a giudizio dei ricercatori, allo svolgimento del processo, alla lettura della sentenza di condanna. Non perché, come sostengono certi autori, gli “scienziati” e la scienza siano arroganti e supponenti, convinti di avere la verità in tasca e disinteressati alle ricadute pratiche del proprio lavoro. Al contrario perché molti ricercatori, e fra questi gli accusati, hanno visto emergere e consolidarsi nei loro confronti una accusa di negligenza, proprio dopo aver speso una parte considerevole della propria attività scientifica – e della loro vita – a cercare di sensibilizzare, sollecitare, trasferire informazioni a generazioni di amministratori della cosa pubblica, di opinionisti, di formatori e informatori. In generale, cioè, a persone nella maggior parte dei casi disinteressate e poco sensibili al problema in tempo di pace, ma pronte a scatenare critiche e accuse a valle di un terremoto.
Nel percorso che va dalla costruzione dell’accusa alla lettura della sentenza e alla sua pubblicazione, e ancora dopo, abbiamo visto affermarsi, nei dibattiti e nelle opere a stampa, la presunta centralità di categorie quali “la comunicazione” e “la valutazione del rischio”.
Di quest’ultima, in particolare, è stata fornita una visione minimalista e a volte strumentale. Da un lato vi è l’enorme complessità del problema, le elaborazioni pluriennali sulla valutazione (e possibilità di riduzione) del rischio sismico a livello nazionale e locale, da tempo trasferite agli operatori di cui sopra mediante ogni possibile strumento, ivi comprese le leggi dello stato. Dall’altro PM, giudice, stampa e libri sono fermi nel giudicare insufficiente ovvero negligente (con quale metro?) la valutazione del rischio che si sarebbe dovuta effettuare in una riunione di poche persone, aperta o meno a autorità locali e qualche comparsa, che poteva durare qualche ora al più.
Ovvero: che poco o nulla fosse stato fatto in precedenza in termini di iniziative per la riduzione del rischio, dalla diffusione delle conoscenze sulla sismicità e la pericolosità sismica della zone (quest’ultima in particolare oggetto di leggi nazionali e regionali !), dalla mappatura degli edifici vulnerabili, dalla informazione capillare in materia di comportamenti in caso di terremoto alla predisposizione di scenari di emergenza, sembra importare poco. La riunione della “CGR”, convocata sotto la pressione della sequenza sismica in atto (e delle profezie di qualcuno che non facevano altro che aumentare il rischio sismico), avrebbe dovuto – a posteriori – colmare quanto sopra, di competenza di altri?
Da qui deriva l’incredulità di una generazione di ricercatori, tradizionalmente priva di “audience” prima di un terremoto e abituata a vedersi ricercare, interrogare – e più di recente maledire – dopo un terremoto.
Vi è poi l’aspetto della comunicazione, ovvero della presunta “rassicurazione” che sarebbe stata fornita dalla “CGR”. Resta da spiegare come la catena di montaggio della comunicazione abbia prodotto un messaggio “rassicurante” a partire da quelli effettivamente rilasciati, e che cosa c’entrino con questo – ad esempio – il verbale, o meglio i verbali, della riunione della “CGR”, che hanno visto la luce solo a terremoto avvenuto.
Ma resta anche da capire se, nel corso della celebrazione del processo e soprattutto in parallelo ad essa, non ci sia stata la volontà di dare “una lezione agli scienziati” da parte di persone che si sono arrogate il diritto di diventare, nel giro di pochi mesi, esperti in materia, ignorando ostentatamente – alcuni al riparo della propria collocazione istituzionale – il modo di procedere scientifico.
Infine, resta anche da capire se, in materia di valutazione e riduzione del rischio sismico in Italia, dopo il processo di primo grado, dopo libri e talk-show, siamo ancora, di fatto, al 31 marzo 2009. Ad esempio se oggi il silenzio delle autorità locali e competenti in materia di terremoti, in assenza di una sequenza sismica che non rappresenta necessariamente l’inizio di un terremoto, all’Aquila come in altre zone d’Italia, non sia altrettanto, o forse ancor più rassicurante.
Per non dimenticare che il problema del rischio sismico è lontano dall’essere risolto con un processo celebrato sulla spinta di denunce circostanziate e ben mirate. Anzi, l’esito del processo di primo grado non sembra aiutare nella direzione della riduzione del rischio sismico, visto che la sentenza di primo grado lo dichiara – forse allargandosi un tantino – – addirittura non praticabile.
(Massimiliano Stucchi, 22 settembre 2013)
Questo blog ospita interventi di analisi e riflessione non strettamente specialistiche su temi inerenti il processo e in particolare su aspetti di:
a) sismologia
b) pericolosità sismica e valutazione del rischio sismico
c) comunicazione del rischio, sismico e generale
d) giurisprudenza del rischio
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