Enzo Boschi, un anno dopo (colloquio fra Massimiliano Stucchi e Tullio Pepe)

Introduzione. Da un anno Enzo Boschi non è più con noi, e già questo sembra un paradosso: quando gli si parlava, il futuro sembrava sempre molto vicino, tutto sembrava possibile, in una vita abbastanza “spericolata” che sembrava comunque praticamente illimitata, come la crescita dell’ING prima e dell’INGV poi, attraverso lo sfruttamento delle occasioni che si presentavano (terremoti, eruzioni) e l’impegno consapevole di gran parte dei ricercatori che ne avevano beneficiato.
Parlare oggi di Boschi o, addirittura, cercare di tratteggiarne l’opera e la figura, è come iniziare a scalare una montagna di cui non vedi la cima: non ti senti attrezzato, le giri intorno alla ricerca di un accesso e un minimo di pendio e non lo trovi. E quando pensi di averla trovata ti chiedi che cosa ne penserebbe, e ti vien voglia di lasciar perdere…
In questo colloquio due persone che l’hanno frequentato per molti anni hanno cercato di tratteggiare alcuni ricordi della sua vicenda umana e professionale: Massimiliano Stucchi (MS), che lo conobbe nel 1973 e divenne poi suo “dipendente” in INGV dal 2001, e Tullio Pepe (TP), che ne vide l’arrivo all’ING come commissario straordinario nel 1982. Solo alcuni ricordi: perché in realtà per delineare un quadro completo ci vorrebbero diversi volumi.

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Prima parte, fino al 2001

MS. Conobbi Boschi nel 1973 ad Ancona, dove era da poco professore incaricato: io ero un ricercatore CNR e collaboravo a installare la rete sismica del mio Istituto per la Geofisica della Litosfera. Mi chiese se fossi un sismologo, mettendomi subito in imbarazzo (“adesso che cosa gli rispondo?”). Mi spiegò che, dalle misure geodetiche effettuate dalla rete installata dal gruppo bolognese, avevano calcolato che si era già immagazzinata energia corrispondente a un terremoto di M3.5. Mi venne da dire: ”ah però…”. Poi compresi che cercava sempre di stupirti e di metterti in soggezione, anche se bonariamente; e ci riusciva.
Dal 1976 al 1982 facemmo parte entrambi della struttura dirigente del Progetto Finalizzato Geodinamica del CNR e della prima edizione del GNDT, lui come responsabile di gruppi di lavoro o linee di ricerca sulla previsione dei terremoti (!) in cui a quei tempi credeva molto. Fu un periodo di grande fervore nella comunità scientifica sismologica, geologica e ingegneristica; si collaborava e ci si scontrava. Alcuni scontri avvenuti nella sala convegni del CNR rimasero memorabili: ovviamente Boschi vi partecipò attivamente.
Una volta diventato commissario straordinario e poi presidente dell’ING, si dedicò a sviluppare l’ING, ossia la geofisica e la sismologia, e si allontanò dal GNDT, non senza avermi candidato, fra lo stupore generale, a Direttore del medesimo (“non c’è rosa senza spine”, disse sogghignando).
Mantenemmo sempre un buon un rapporto, un legame solido. Nel 1990, in occasione del Workshop per il decennale del terremoto dell’Irpinia, mi regalò il distintivo dell’ING, che conservo religiosamente.

TP. Sono un ex dirigente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, l’ente di ricerca di fatto fondato da Enzo Boschi e da lui presieduto fino al 2011. Fui assunto in Istituto nel 1980; Boschi sbarcò in Istituto nel 1982: perciò, Enzo Boschi è stato il mio Presidente per quasi un trentennio.
Quando arrivò tra noi nei primi anni ottanta del secolo scorso, aveva quarant’anni e sembrava un ragazzo. Ancora non vestiva Caraceni né portava camicie BrookS Brothers e cravatte di Marinella ma indossava completi Principe di Galles che accentuavano la sua aria di enfant prodige dell’università e della geofisica in Italia.
L’Istituto (all’epoca era l’ING, la V sarebbe arrivata una ventina d’anni più tardi) era dignitoso ma molto piccolo e un poco sonnolento; l’arrivo di Boschi ebbe l’effetto di scuoterlo dalle fondamenta, attraversandolo come un cavo elettrico ad alta tensione.
Per prima cosa organizzò il servizio di sorveglianza sismica h24 del territorio nazionale di concerto con Giuseppe Zamberletti, il padre della Protezione Civile italiana, allestendo una prima rudimentale sala operativa, nella quale affluivano i dati rilevati dalle poche stazioni della rete sismica, nella nostra sede di Monte Porzio Catone, in un’ala dell’Osservatorio astronomico che avevamo in subaffitto, con i marinai precettati da Zamberletti che fissavano tutta la notte i rulli dei sismografi e avvertivano il sismologo reperibile al minimo oscillare dei pennini…
Qualche tempo dopo, la sala operativa, presidiata ormai dai nostri ricercatori e tecnici, fu trasferita nella sede ING di Roma, nel quartiere Esquilino, in un appartamento alquanto malandato al secondo piano di un villino bello ma un poco sinistro. Una volta venne a trovarci il conduttore del TG2 La Volpe per un servizio sul terremoto di San Donato Val Comino (quindi, doveva essere l’ottantaquattro) e non riusciva a credere che il cuore di un servizio così importante come quello di sorveglianza sismica fosse alloggiato in quelle stanze spoglie; a un certo punto disse a qualcuno: “mi sembra di stare in una sede sotto copertura della CIA!”.
Il suo grande merito fu quello di sprovincializzare l’Istituto e, a cascata, la geofisica italiana, ad esempio trovando le risorse finanziarie per mandare i ricercatori in missione presso i centri di ricerca più avanzati nel mondo,
Da allora cominciammo una cavalcata frenetica verso il successo, una cavalcata disordinata ma impetuosa, terribilmente seria ma divertente, perché Enzo anche nei momenti più importanti, anche nei passaggi più difficili non rinunciava mai al suo spirito dissacrante, al gusto per la provocazione, al piacere della battuta; il suo slogan era “Comunque sarà un successo!” e noi lo seguivamo senza problemi; d’altra parte eravamo giovani, gratificati, un poco arroganti, guidati da capi rassicuranti come Cesidio Lippa e Renato Funiciello e, soprattutto, da un leader carismatico come lui, esigente ma disposto a favorire le progressioni di carriera di tutti e a non negare opportunità a nessuno.
Una fase di sviluppo formidabile, insomma, che sfociò all’alba del nuovo millennio in una svolta storica per il nostro mondo: l’ING confluisce nel nuovo INGV assieme ai vulcanologi vesuviani ed etnei, ai geochimici palermitani, ai sismologi milanesi e ai qualificati precari dei Gruppi Nazionali per la Difesa dai Terremoti e per la Vulcanologia che avevano raccolta l’eredità del glorioso Progetto “Geodinamica” diretto da Franco Barberi. E il Presidente del nuovo Ente non può che essere lui: il più brillante, il più spregiudicato, il più lungimirante, il più visionario (e anche il più fragile); lui che ha cominciato a essere leader praticamente da bambino e che non ha mai smesso di esserlo: Enzo Boschi.
Ma la nascita dell’INGV merita qualche ulteriore ricordo e tu, Max, puoi ben dire di aver partecipato alla “genesi” dell’Istituto.

MS. Direi proprio di si e ne ho parlato a lungo in un altro post dello scorso settembre.

https://terremotiegrandirischi.com/2019/09/26/come-e-quando-nacque-lingv-di-massimiliano-stucchi/

Ricordo che la svolta si registrò a Erice, alto luogo della ricerca scientifica, dove si tenne presso il Centro “Ettore Majorana” di Antonino Zichichi una delle “School of Geophysics” dirette da Boschi. Anche di questa ho raccontato nel post citato più sopra.

TP. Scusa Max, ti interrompo un attimo perché sono molto affezionato, pur non essendo un ricercatore, a Erice e al suo Centro, dove negli anni ottanta, perdurando ancora la guerra fredda, si incontravano i russi e gli americani e – secondo la leggenda – personaggi come Teller e Velikov tenevano i colloqui più riservati nel mare magnifico di San Vito Lo Capo, in costume da bagno, immersi in acqua fino alla vita, essendo così sicuri di non avere cimici intorno…: un posto veramente magico oltre che centrale per la società scientifica internazionale.

MS. A Erice Boschi era quasi sempre allegro. Era un piacere essere invitati al suo tavolo. Scherzava su molte cose, compresa la politica (vedi foto).

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Da buon direttore della Scuola restava quasi sempre per tutta la durata e seguiva le lezioni. Nella foto siamo insieme in occasione della Scuola dedicata alla Sismologia Storica, che ebbi l’onore di dirigere assieme a colleghi di altri paesi.

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TP. Torniamo all’INGV. Il Decreto Legislativo 29 settembre 1999, n. 381, stabilì definitivamente il perimetro del riordino prevedendo, come già ricordato, la confluenza nel costituendo ente di ING, di OV, di tre Istituti del CNR e dei Gruppi Nazionali del settore.
Io c’ero quel pomeriggio del 10 gennaio 2001 nello studio del Ministro della Ricerca pro tempore Ortensio Zecchino, alle 5 della sera!, quando l’INGV fu formalmente costituito con Enzo Boschi Presidente e al contempo il Ministro, con gesto teatrale, firmò il decreto che approvava in favore dell’Istituto il cosiddetto Progetto “Irpinia”, un affare da sessanta miliardi del vecchio conio: erano decisamente altri tempi!
Il successivo 1 febbraio 2001 Cesidio Lippa viene nominato Direttore Generale.
Nello stesso periodo vennero nominati i Direttori delle Sezioni nelle quali si articolava l’INGV: Napoli (Osservatorio Vesuviano), Milano, Palermo, Catania (oggi Catania – Osservatorio Etneo), Roma 1, Roma 2, Centro Nazionale Terremoti (oggi Osservatorio Nazionale Terremoti) e l’Amministrazione Centrale. Più tardi verranno istituite le Sezioni di Bologna e Pisa.
E qui Max, farà piacere anche a te ricordare i primi Direttori di Sezione: oltre a te e a me, Gianni Macedonio, Rocco Favara, Gianni Frazzetta, al quale subentrò presto Alessandro Bonaccorso, Massimo Cocco, Bruno Zolesi, Alessandro Amato, e poi, Andrea Morelli e Augusto Neri. Con tutti loro condividemmo – guidati da capi carismatici e rassicuranti come Enzo Boschi e Cesidio Lippa – una stagione caratterizzata da un forte sviluppo di tutte le attività istituzionali e da notevoli risultati scientifici e gestionali e anche l’emozione dell’avvio di un’avventura professionale e umana densa di speranze e di senso di appartenenza, in un clima generale di entusiasmo che negli anni successivi non sempre è stato possibile ricreare.

Seconda parte, dopo il 2001

TP. Nella storia dell’INGV le emergenze sismiche o vulcaniche hanno sempre costituito momenti di forte aggregazione. Ebbene, nel periodo immediatamente successivo alla nascita dell’Ente ci fu una incredibile concentrazione di emergenze. Tralasciando la tristissima emergenza legata al terremoto di San Giuliano di Puglia del 2002, un terremoto piccolo ma che portò a una tragedia immane, ricordo che tra il 2001 e il 2003 si registrarono due eruzioni dell’Etna, una eruzione dello Stromboli particolarmente spettacolare con tanto di tsunami allegato e perfino emissioni gassose al largo dell’isola di Panarea! Queste emergenze comportarono la mobilitazione non solo della Sezione di Catania ma di molte componenti dell’INGV; decine di ricercatori e tecnici provenienti da tutte le Sezioni si alternarono in Sicilia in un clima di grande collaborazione e unitarietà.
Il buon lavoro svolto, peraltro, non mancò di migliorare i rapporti con il DPC e con il MIUR: per alcuni anni vennero stipulate con il Dipartimento della Protezione Civile convenzioni particolarmente favorevoli all’Istituto e, sempre nei primi anni duemila, il MIUR finanziò un progetto dell’Istituto molto ricco e ambizioso che non a caso fu denominato “Progetto Fumo”!

MS. E non solo. Il terremoto di San Giuliano di Puglia del 2002, che tu hai ricordato, ebbe conseguenze importanti per l’INGV, per la Sezione di Milano che all’epoca dirigevo e soprattutto per la normativa sismica italiana.
Boschi, anche se considerava almeno all’inizio i temi della pericolosità e del rischio sismico come temi applicativi e non proprio scientifici, ne intuiva le potenzialità. Questa dell’intuito, del fiuto, era peraltro una delle sue qualità più spiccate.
Sta di fatto che venne il terremoto di San Giuliano di Puglia; era il 31 ottobre 2002 e il sisma fece particolare scalpore per via della tragedia nella scuola e per il fatto che la zona non era inserita in zona sismica. E qui Boschi fece uno dei suoi capolavori; convinse Gianni Letta, ai tempi potente Sottosegretario del governo Berlusconi, a indire subito dopo il terremoto, a Palazzo Chigi, una riunione con sismologi e ingegneri (i nomi li concordammo al telefono), oltre al Ministro per le Infrastrutture e alcuni funzionari.
Ne uscì una commissione che a tempo di record produsse una nuova normativa per le costruzioni da estendere, soprattutto, a tutto il territorio nazionale diviso in 4 zone sismiche: la celebre Ordinanza n. 3724, che richiedeva tra le altre cose la compilazione di una mappa di pericolosità. Quando la Commissione Grandi Rischi ne richiese la compilazione, Boschi si gettò sull’occasione, forte anche degli elaborati di prova che la Sezione di Milano gli aveva preparato, e fece assegnare l’incarico a INGV. Il resto è noto. Meno noto è che Boschi si trovò ad affermare, più tardi, che la mappa era stato uno dei migliori risultati scientifici dell’INGV, che con essa il mondo sismologico aveva saldato il suo “debito” nei confronti della ricerca sul rischio sismico, e che le cose più importanti vengono pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale e non sulle riviste.

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Non sono mai riuscito a convincerlo, tuttavia, del fatto che il cambiamento più importante di cui è stato il principale promotore fu la mappa di classificazione sismica allegata all’Ordinanza del 2003, che estese le zone sismiche a tutto il territorio nazionale.

TP: Poi, nel 2009, ci fu il tragico terremoto di L’Aquila con il suo carico di dolore, di rovine, di polemiche e di seguiti giudiziari. Nel 2010 iniziò il processo “Grandi Rischi”: Boschi lo visse come un calvario, come un’ingiustizia; una vicenda che lo segnò profondamente nel fisico e nello spirito, che cambiò il suo umore e il suo atteggiamento nei confronti degli altri; questo condizionò pesantemente l’ultimo segmento della sua presidenza: anche fargli sentire la vicinanza non fu semplice per nessuno di noi.

MS L’aspetto per lui beffardo della vicenda è che nel 2008 scadeva il suo secondo e ultimo mandato di presidente INGV (2000 – 2004 e 2004 – 2008) e, come è noto, Boschi fece di tutto per continuare in regime di proroga a tempo indeterminato. Ci riuscì, sfruttando lo stallo prodotto dall’ennesimo provvedimento legislativo di riordino degli Enti Pubblici di Ricerca vigilati dal MIUR nel frattempo intervenuto; non ci fosse riuscito avrebbe evitato il calvario del processo.
Non voglio addentrarmi qui sulla questione del processo, cui peraltro questo blog è stato dedicato inizialmente, se non per ricordare alcuni episodi.
Il giorno stesso del terremoto (6 aprile) convocò una riunione a Roma, per partecipare alla quale i sismologi non romani dovettero scapicollarsi, e propose subito di fare un volume scientifico. Notai però, e non solo io, che era molto preoccupato (sapevamo poco o nulla della riunione del 30 marzo).
Quando fu incriminato, in un’altra riunione disse più o meno: “abbiamo combattuto tante battaglie, combatteremo anche questa”. Si batté come un leone in tutte le sedi, compresi i social cui cominciò ad affacciarsi. Si preoccupava molto per Giulio Selvaggi, che aveva coinvolto nella riunione, come sua abitudine, sia per essere aiutato (era lì come Presidente INGV, non come esperto individuale), sia per lasciare il merito a chi dirigeva la sorveglianza sismica.
Ricevette un invito a incontrare, al Quirinale, il Presidente Giorgio Napolitano che già conosceva di persona. Fece in modo che l’invito venne esteso a diversi dirigenti dell’INGV, fra cui lo stesso Giulio e anche noi due.

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La sera della sentenza di primo grado (condanna), faceva finta di nulla, fingeva di stupirsi dei messaggi di solidarietà che gli pervenivano…
La sera della sentenza di appello (assoluzione) era molto commosso, abbracciava tutti, piangeva.
Più tardi maturò una sua versione di come andarono le cose prima e subito dopo quella riunione e divenne cattivo verso persone che secondo lui l’avevano incastrato e anche verso quelle che non si erano schierate decisamente dalla sua parte. E, beninteso, anche verso quelli che stavano dalla sua parte ma non fornivano esattamente la versione che lui voleva/sapeva. Più volte gli proposi di scrivere assieme un articolo e anche di più; ma lui voleva solo raccontare la sua verità e combattere quelli che considerava i suoi nemici.

TP. L’assoluzione definitiva, nel 2015, rappresentò per lui una soddisfazione grande e la fine di un incubo, ma non cancellò certe amarezze.
Nel frattempo, dopo un periodo veramente buio, un po’ per tutti, nel 2011 si concluse il suo mandato di Presidente. Un giorno di agosto, lo accompagnai alla fine della giornata di lavoro nel parcheggio dell’Istituto dove la macchina di servizio lo attendeva per portarlo a prendere l’areo per tornare a Bologna, per l’ultima volta come Presidente, e poi lo guardai mentre si allontanava. Quando risalii nella mia stanza ebbi fortissima la percezione della fine di un’epoca.

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MS. Per lui l’uscita di scena rappresentò una specie di partenza per l’esilio. Credo non capisse come mai non c’era stata una “insurrezione popolare” per farlo restare.
Nel 2013 partecipò, come sempre da protagonista, al piccolo convegno che avevo organizzato a Milano per celebrare il mio pensionamento. La sera prima cenammo insieme a molti colleghi.

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Il giorno dopo arrivò, nel bel mezzo del convegno, il testo delle motivazioni della sentenza di primo grado, di cui furono letti e commentati alcuni passaggi.
A fine giornata salutammo insieme i colleghi come Boschi aveva detto di voler fare: come i calciatori a fine carriera, che vanno a centrocampo e salutano.

TP. In quel periodo intervenne un fatto nuovo: una sua ex ricercatrice e amica fedele lo aveva introdotto nel mondo dei social network. Dopo alcuni impacci iniziali, Enzo aveva acquisito totale padronanza del mezzo, come un ragazzo, come un nativo digitale! Parlando, con il suo stile colto e provocatorio, rigoroso e dissacrante, di scienza ma anche di politica, di ambiente, di letteratura e soprattutto di arte, in poco tempo ha radunato oltre ventisettemila followers adoranti, diventando una specie di influencer. Una volta lessi una sua intervista nella quale diceva che Twitter gli aveva salvato la vita. In effetti, una volta in pensione, senza più cariche pubbliche e con l’incubo del processo aquilano sulle spalle, Twitter gli ha consentito di continuare a svolgere un ruolo importante nel Paese e di non smettere di essere protagonista Il suo profilo è ancora raggiungibile, fermo agli ultimi retweet dell’autunno 2018.

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MS. Si, è vero, più o meno dalla seconda metà del 2012 di dedicò ai “social”: su twitter coltivava anche interessi artistici: si veda ad esempio questo suo tweet, ripreso recentemente da un follower.

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E anche Facebook e soprattutto “Il foglietto della Ricerca”, dove gestiva una rubrica chiamata “L’angolo di Boschi”. Vale la pena di ricordare ad esempio uno dei tanti interventi, pubblicato a proposito della nuova ipotesi chiamata dei “gravimoti”, di cui questo blog si è occupato in questi giorni

https://ilfoglietto.it/l-angolo-di-boschi/5051-sara-tre-volte-natale-e-festa-tutto-il-giorno?fbclid=IwAR0PSIOb8r_xz0zkAV-LdznSRCfHNn1yYOA_2HlzJsv6ex9XGPxpc7qpKb0

Aveva molto seguito, come dici tu, ma devo aggiungere che verso la fine tendeva a raccattare soprattutto gli umori “populisti”. Passava facilmente dal consenso anche esagerato a “scazzi” furibondi. Rompemmo via social almeno tre volte; per fortuna ricomponemmo prima della sua scomparsa. Apprezzava questo blog e a volte “retweettava” il link dei nuovi contributi, facendo salire di molto il numero dei lettori.
Ma il suo obiettivo era bombardare il quartiere generale INGV: non digerì mai, invece di esserne fiero, che il suo posto fosse stato preso da due suoi allievi, con i quali era in buoni termini prima. Su alcune critiche aveva forse ragione, su altre era troppo severo.

TP. E qui devo dire che – secondo me – la sua maggiore responsabilità è stata proprio quella di non accettare mai di affrontare il problema della sua successione. A me, molto spesso ha dato l’impressione di essere uno di quei leader che non concepiscono un futuro senza di loro. Se qualcuno di noi cercava di avviare una discussione seria sulla questione, fatalmente incorreva, nella migliore delle ipotesi, nel suo sarcasmo; nella peggiore, diventava suo nemico. E bersaglio della sua cattiveria tutta toscana…

MS. Hai detto “uno di quei leader”…: me ne viene in mente uno a caso, di Cuba… Ho sempre trovato delle analogie fra Fidel e Boschi, al punto che mi veniva spontaneo pensarlo non come il Presidente ma come il “Comandante”. Non so se gli sarebbe piaciuto; non ho mai osato chiamarlo così in pubblico. Ricordo a questo proposito che Boschi esigeva che gli si desse del tu, cosa che non sempre risulta immediata. Però quando ti chiamava al telefono, soprattutto dall’INGV (quando non passava dalla segreteria), diceva “sono Boschi”. A me risultava difficile rivolgersi dicendo “Enzo”; mi veniva più semplice, soprattutto nelle riunioni, dirgli “Presidente”.
Anche mentre costruiva l’INGV e la rete scientifica collegata, il Comandante sembrava trarre energia dal fatto di essere sempre in conflitto con qualcosa o qualcuno. Spesso ci prendeva, altre volte no. E qui lasciami dire che una parte della comunità scientifica che era stata diciamo “maltrattata” da Boschi non perse l’occasione di cercare di “fargliela pagare” quando si presentò l’occasione, fornita dal processo. Un gruppetto di costoro, costituitosi in associazione, oltre a assistere le parti civili al processo “Grandi Rischi”, lasciò tracce indelebili nella requisitoria della accusa e nelle motivazioni della sentenza di primo grado.

TP. La cosa che mi dispiace è che in questa fase, caratterizzato dall’obiettivo che tu hai definito di “bombardare il quartier generale”, ha travolto con la sua vis polemica anche alcune “sue creature”: ricercatori con i quali ha condiviso anni di collaborazione, intesa umana e professionale, complicità scientifica, ecc.; ha manifestatamente strumentalizzato persone emerse e situazioni venutesi a creare sotto le nuove gestioni, sempre allo stesso fine: dimostrare che “dopo di me il diluvio”.

MS. Vero. A volte poi era difficile seguirlo. Non va però dimenticato che parte delle “sue creature”, in particolare molte di quelle che avevano ottimi motivi e mille ragioni di debito per dargli una mano, gli voltarono le spalle in occasione del già citato processo.
Forse anche per questo, e per il fatto che il personale INGV non si batté perché restasse alla guida dell’INGV (!?), nei primi anni dopo l’uscita non volle che si parlasse di una cerimonia INGV di ringraziamento. Gli restarono fedeli e vicini, sia pure spesso in modo critico, persone con cui aveva un legame personale solido, rinforzatosi attraverso diversità di opinione e anche conflitti momentanei.

TP. Enzo Boschi, in definitiva, è stata una figura discussa, spregiudicata, divisiva; negli anni successivi alcune sue scelte non hanno mancato di suscitare perplessità anche in chi – come me – gli è stato sempre vicino. Ma, se posso portare un ricordo personale, per molti anni ho visto all’opera un dirigente di alto livello, trascinante, capace di una visione, esigente ma sensibile alle aspettative del Personale. Una figura che ha recitato un ruolo fondamentale per le fortune dell’INGV e di moltissimi di noi.
Per questo motivo auspico che la sua memoria resti ben viva in tutti noi.

MS. Mi associo. E aggiungo che la complessità della sua figura ha fatto sì che in un anno si sia tenuta una sola occasione di ricordo (Gruppo Nazionale per la Geofisica della Terra Solida, 12 novembre 2019), organizzata dalla sensibilità del Direttore Alessandro Rebez all’interno di una manifestazione che peraltro Boschi non aveva mai “prediletto”.

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Le commemorazioni scritte si contano sulla punta delle dita di una mano. Per fortuna, alcuni ricercatori stanno organizzando, proprio in quella Erice che citavi prima, una “School of Geophysics” dedicata a Boschi, dal titolo “Frontiers in Geophysics for the third Millennium” (16-20 marzo 2020).

TP. E ora vorrei chiudere con un ricordo particolare.
Il 21 dicembre 2018 l’Istituto ha stabilizzato centoquarantanove precari, molti dei quali assunti durante la sua lunga presidenza. E’ stata una giornata di festa ed Enzo Boschi ha aspettato che si concludesse prima di lasciarci per sempre, il giorno dopo. Io, nel firmare gli atti che concludevano finalmente quella lunga, defatigante vicenda, non ho potuto fare a meno di ricordare una riunione di dieci anni fa in Funzione Pubblica, a Palazzo Vidoni, organizzata dal Ministro pro tempore della Funzione Pubblica Brunetta, con i presidenti e i direttori di tutti gli enti pubblici di ricerca, peraltro nei giorni in cui si apriva la grande crisi finanziaria che ci avrebbe attanagliato negli anni successivi. Quel pomeriggio, per la prima volta si affrontava in maniera organica il problema del precariato nei nostri enti e il Presidente che si prese ben presto la scena per spendersi più di ogni altro per la causa dei precari fu lui, parlando a braccio, con voce strozzata, davanti a un Brunetta quasi attonito, spiegando a tutti, senza troppi riferimenti normativi (e quei pochi anche un po’ confusi…) ma con le ragioni della ricerca scientifica, che il precariato nella ricerca non era una zavorra, ma una risorsa che il Paese non doveva disperdere.

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4 thoughts on “Enzo Boschi, un anno dopo (colloquio fra Massimiliano Stucchi e Tullio Pepe)

  1. Buongiorno, non siamo soliti pubblicare messaggi da chi non rivela la propria identità. Se vuole farlo secondo questa modalità, la invito a risottomettere il commento. Buona giornata

  2. Grazie per questo ricordo onesto, sensibile e pieno di umanità. Bellissima lettura, cosi come fu altrettanto bellissimo quel saluto da calciatori a fine carriera..

  3. Bellissimo questo ricordo “incrociato”. Avete ragione, la figura era complessa, e di indubbio fascino, persino letterario. Enzo era ieratico, di intelligenza feroce, a modo suo geniale, forse con qualche tratto del Michele Strogoff di Verne – e chi lo sa con quale battuta fulminante avrebbe risposto: quel “non c’è rosa senza spine” (non conoscevo l’episodio) è davvero straordinaria e, decisamente, degna del personaggio.
    Grazie, un abbraccio – Umberto

  4. Manca molto a tutti. Lo ricordo con tanto affetto, anche solo per il fatto che desse bado a una piccola portatrice d’acqua come me, esortandomi a fare il mio lavoro e farlo bene. Talvolta era tagliente con noi del mestiere, giustamente soleva spronare sul tema della sicurezza simica, tema dimenticato e purtroppo mai troppo urgente anche tra i tecnici. Ciao Enzo

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