La prevenzione sismica come problema di risk governance (di Andrea Cerase)

A un mese esatto dal sisma di Amatrice, oltre al drammatico bilancio in termini di vite umane (al momento della pubblicazione il conteggio è fermo a 297 vittime accertate) c’è l’evidenza degli errori, anche involontari, emersi sin dalle prime analisi sui crolli, dell’inadeguatezza delle tipologie costruttive e, insieme, l’indignazione (legittima) per il denaro pubblico speso in interventi di adeguamento in seguito rivelatisi inefficaci e persino controproducenti. Le notizie sulle inchieste giudiziarie hanno avuto un peso rilevante, ma certamente non hanno monopolizzato la discussione com’è invece accaduto per il sisma dell’Aquila e, in misura minore, per quello dell’Emilia.

Tuttavia, il modo di affrontare la questione appare diversa, e si fa strada tra i cittadini e gli addetti ai lavori l’idea di un possibile cambio di passo rispetto ai temi della prevenzione sismica. Chi segue da qualche tempo i problemi legati ai terremoti, sa bene che gli appelli alla prevenzione, alla messa in sicurezza del patrimonio edilizio pubblico e privato e all’adozione di nuove politiche per la mitigazione del rischio siano diventati una sorta di refrain che accompagna inevitabilmente il dibattito pubblico a caldo nell’immediato post – catastrofe, per poi sparire velocemente dall’orizzonte dei media e della politica.

La sensazione questa volta è diversa: il dramma di Amatrice, Accumoli, Pescara sul Tronto ha posto ancora una volta il Paese e la sua classe dirigente di fronte all’evidenza della vulnerabilità fisica (e sociale) di vaste aree del nostro territorio, segnalando l’insufficienza e la scarsa organicità delle pur valide misure sin qui adottate, e quindi la necessità di affrontare il problema in termini più ampi e complessivi. C’è stata più attenzione alle cause geologiche e alla dinamica dei terremoti, insieme con quella per le condizioni del patrimonio edilizio, e appare sempre più chiaro come la vulnerabilità del territorio italiano renda necessaria una visione più ampia del rischio sismico, degli interventi da portare avanti e un più efficace coordinamento tra ricercatori, istituzioni e cittadini. Serve un approccio sistemico, che connetta in modo più efficace le conoscenze scientifiche, le capacità ingegneristiche, le risorse finanziarie, la legislazione ma anche il dialogo tra istituzioni e cittadini e tra pubblico e privato. L’efficacia complessiva degli interventi dovrebbe cioè far premio sulla logica della parcellizzazione delle competenze e dell’adempimento burocratico.

Da qualche tempo in molti paesi, soprattutto nel Nord Europa, si sta affermando il modello della Risk Governance, che fa appunto riferimento all’insieme di azioni, processi, tradizioni organizzative e istituzioni attraverso cui si esercita l’autorità e si prendono e attuano decisioni, con l’obiettivo di allocare al meglio le risorse disponibili e massimizzare i benefici, non solo economici, legati all’esposizione a determinati rischi[1]. La Risk Governance è un modello di policing che, prendendo atto della stretta interdipendenza tra valutazione scientifica dei rischi, comunicazione, decisione politica, azione amministrativa e giustizia penale dovrebbe consentire una più efficace riduzione del rischio e dei conflitti legati alla sua gestione.

L’attualità di questo tema è emersa tragicamente in occasione del terremoto di Amatrice: in queste settimane si è letto e discusso di scarsa informazione su sismicità e vulnerabilità, di intoppi burocratici, fondi non assegnati o impiegati male, conflitti di competenze tra enti, procedure troppo complesse, lavori approssimativi e controlli pressoché inesistenti.

Finora la politica ha dato due segnali importanti a riguardo, che sembrerebbero segnare una discontinuità rispetto al passato e un’opportunità di migliorare la governance del rischio sismico: esattamente un anno fa la Camera dei Deputati ha approvato all’unanimità la legge delega per il riordino del sistema nazionale e del coordinamento della Protezione Civile[2]. Il testo approvato rileva la necessità razionalizzare e armonizzare le normative già esistenti, facendole confluire in una sorta di Testo Unico della Protezione Civile, evidenziando allo stesso tempo come le risposte non debbano essere più demandabili all’iniziativa di singoli enti (comuni, prefetture, regioni etc.). Si segnala anche la necessità di allargare il sistema di protezione civile e di integrare in modo più efficace le conoscenze create attraverso progetti di ricerca innovativi promossi dall’Unione europea e da istituzioni internazionali specializzate nella difesa dai disastri naturali.

A questa iniziativa parlamentare hanno fatto seguito le dichiarazioni del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi sulla necessità di rafforzare le leggi e la cultura della prevenzione, che si è peraltro anche concretizzata nell’avvio del programma Casa Italia, con la convocazione di alcuni tavoli di lavoro ad hoc con Istituzioni, enti di ricerca, associazioni professionali e altri soggetti per dare un segno chiaro della volontà politica di investire in progetti di lungo respiro.

I segnali della politica andrebbero valutati con attenzione e senza pregiudizi, ricordando però che tra gli annunci e la realtà spesso c’è uno scarto netto. Ad esempio, la legge sul riordino della Protezione Civile, dopo un iter relativamente veloce nelle commissioni alla Camera è bloccata da un anno all’esame del Senato. Non doveva essere una priorità per il Paese?

Alcune notizie trapelate in questi giorni sulla natura e la qualità degli interventi previsti nel programma Casa Italia destano qualche perplessità: in nome dei possibili effetti negativi sul mercato immobiliare si parla di eliminare l’eventuale obbligo di verifiche sulla vulnerabilità delle abitazioni, e di sismabonus erogati anche senza diagnosi strutturale, che equivale a rimborsare un’operazione chirurgica senza sapere nemmeno cosa avesse il paziente. C’è solo da sperare che queste voci siano soltanto un ballon d’essai.

Lo snellimento delle procedure burocratiche è certamente un passo necessario e importante nell’elaborazione di una strategia di risk governance, ma l’obiettivo prioritario non può essere che quello della sicurezza dei cittadini. Se si devia da quest’obiettivo, l’intera strategia rischia di saltare, producendo benefici limitati a fronte d’investimenti gravosi, senza alcuna garanzia di un effettivo miglioramento negli standard di sicurezza.

[1] Aven, T., Renn, O. (2010) Risk Management and Governance: Concepts, Guidelines and Applications, Springer-Verlag Berlin Heidelberg.

[2] Il DDL S.2068 Delega al Governo per il riordino delle disposizioni legislative in materia di sistema nazionale della protezione civile è stato approvato all’Unanimità dalla Camera dei Deputati il 23/9/2016.

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