20 anni fa, un terremoto nella normativa sismica: conversazione fra Massimiliano Stucchi e Gian Michele Calvi

Quello che segue è il racconto, necessariamente sintetico, di una vicenda che, in un tempo relativamente breve, modificò in modo straordinario il sistema della normativa sismica italiana. Molto è stato scritto in proposito. Qui la ricordano Massimiliano Stucchi e Gian Michele Calvi, che guidò la commissione incaricata della stesura delle nuove norme.

MS. Era la fine di ottobre del 2002. Era da poco evaporata la Agenzia di Protezione Civile auspicata da Franco Barberi. Al governo c’era Silvio Berlusconi: Guido Bertolaso era il capo del Dipartimento per la Protezione Civile (DPC), Vincenzo Spaziante il vice capo. Era nato da poco l’INGV con Enzo Boschi presidente. Eucentre stava per nascere. Vennero due terremoti in Molise, di pari magnitudo e localizzati poco lontani fra di loro, a distanza di un giorno. Zona povera, marginale, non classificata come sismica. Molti danni, non molti morti se non fosse stata per quella maledetta scuola di San Giuliano di Puglia che catturò tutta l’attenzione. La vecchia scuola resistette; quella nuova, sopraelevata da poco, no, con le conseguenze che sappiamo.

Il fatto che la zona di San Giuliano di Puglia non fosse classificata scosse tutti e soprattutto i sismologi: ma si sapeva bene che le classificazioni precedenti erano state fatte “al risparmio” per la rigidità del Ministero dei LL.PP. La situazione normativa ristagnava: in particolare ben 5135 Comuni (più della metà) non erano classificati in zona sismica. La proposta di riclassificazione del 1998 (“Proposta 98”, pubblicata nel 1999: Gavarini et al., 1999) a cura di Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti (GNDT), Servizio Sismico Nazionale (SSN) e Istituto Nazionale di Geofisica (ING), che pure avrebbe lasciato 3500 Comuni non classificati, giaceva nei cassetti del Ministero. Era iniziato un lento confronto con le Regioni, ma il problema principale era l’aumento (circa 1700) dei Comuni da inserire in terza categoria. SSN aveva formulato una propria proposta alternativa, sottomettendola alle Regioni e ricevendo qualche commento. Continua a leggere

Le “tradizionali precauzioni”: uscire di casa dopo una scossa di terremoto? (di Alessandro Venieri)

Le vicende processuali relative al terremoto dell’Aquilano del 2009 non sono ancora terminate. Esauriti i processi penali, e in particolare quello denominato “Grandi Rischi” che si è concluso – è bene ricordarlo – con la assoluzione di tutti gli imputati tranne uno “perché il fatto non sussiste”, restano ancora in essere alcuni processi civili. Di recente ha fatto scalpore una sentenza in cui il giudice ha individuato una parziale corresponsabilità negli inquilini – deceduti – per non avere abbandonato l’edificio secondo le presunte “consuetudini”. Nella stampa e nei social si è molto ironizzato su questa “corresponsabilità” invocando paragoni arditi e a volte infelici. La stampa stessa e alcune delle sue fonti locali non hanno esitato a ricordare il processo “Grandi Rischi”, ignorando o mistificandone le conclusioni ricordate più sopra.
Nell’intervento Alessandro Venieri analizza in dettaglio alcuni aspetti della sentenza, le cui motivazioni non sono ancora disponibili. Seguono commenti di Alessandro Amato e Rui Pinho.


Alessandro Venieri, geologo, ha lavorato per sei anni al Magistrato per il Po di Parma occupandosi di sistemazioni idrauliche e servizi di piena; poi un breve periodo alle Opere Marittime di Ancona e quindi per 15 anni alla Provincia di Teramo curando in materia di Protezione Civile il Programma Provinciale di Previsione e Prevenzione dei Rischi (che contiene gli studi prodotti dall’INGV a seguito della convenzione con la Provincia per gli aspetti legati al rischio simico). Dal 2015 ad aprile del 2022 ha lavorato presso la Regione Abruzzo occupandosi di concessioni di derivazioni d’acque e aree demaniali e a maggio del 2022 è stato trasferito presso l’Agenzia Regionale di Protezione Civile, sempre della Regione Abruzzo.


Nei giorni scorsi ha destato clamore a livello nazionale, con articoli di giornali e servizi televisivi, la sentenza definita da molti “choc” del Tribunale civile dell’Aquila riferita al crollo del palazzo di via Campo di Fossa all’Aquila, la tragica notte del 6 aprile 2009, dove morirono 24 persone.

Proteste
Il passaggio che ha destato clamore e proteste, con manifestazioni all’Aquila, è il seguente:

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“Le tre velocità”: la cultura del terremoto in Abruzzo. Colloquio con Fabrizio Galadini

Dopo aver presentato in questo blog, lo scorso anno, il volume “Tracce ondulanti di terremoto” di Fabrizio Galadini (https://terremotiegrandirischi.com/2021/03/15/tracce-ondulanti-di-terremoto-colloquio-con-fabrizio-galadini/, è ora il turno del recentissimo, fresco di stampa, “Le tre velocità” (https://www.alepheditrice.it/prodotto/le-tre-velocita/) del medesimo autore, con il quale parliamo dei contenuti.

Copertina

Fabrizio Galadini è dirigente di ricerca dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia ed è stato ricercatore del Cnr presso l’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria. Insegna Geologia per il rischio sismico all’Università Roma Tre. Svolge ricerche geologiche, geomorfologiche, archeosismologiche e storiche sulle faglie attive, sugli effetti dei terremoti del passato e sulle risposte antropiche alle criticità ambientali.

Questo tuo libro viene a valle di altri (recentemente, Tracce ondulanti di terremoto e la curatela di Marsica 1915-L’Aquila 2009. Un secolo di ricostruzioni) e, come affermi nella introduzione, rappresenta la sintesi della personale esperienza in rapporto a un concetto generale di cultura del terremoto. Ci puoi spiegare?

Il libro nasce da riflessioni su attività e personali esperienze di comunicazione della scienza negli anni seguenti al sisma aquilano del 2009. Mi riferisco, quindi, al secondo decennio di questo secolo che, in Abruzzo, è stato anche scandito dalle numerose manifestazioni legate al centenario del terremoto del 1915 e al decennale, appunto, di quello aquilano; in mezzo, la sequenza sismica del 2016-2017. Fino al 2009, svolgendo l’attività di ricerca nel campo delle Scienze della Terra, per me “cultura del terremoto” aveva senso quasi esclusivamente in riferimento al fenomeno fisico, alle sue evidenze geologiche, ai suoi effetti sul costruito, ai danni del passato ecc. Parlare di una storia della conoscenza, di evoluzione della cultura, poteva significare guardare a ciò che avevano scritto cento anni fa geologi e sismologi e confrontarlo con quanto sappiamo adesso.
Le urgenze del 2009, la necessità di un rapporto più stretto con i residenti nei territori sismici, di solito portatori di una conoscenza astratta o idealizzata dell’accaduto, l’impegno con i colleghi per la comprensione delle molteplici sfaccettature del “Processo Grandi Rischi” mi hanno costretto a un ampliamento dell’orizzonte. Quindi, nel tempo ho prestato attenzione anche a come la conoscenza scientifica fosse recepita in altri contesti, ad esempio al livello della società civile, delle amministrazioni territoriali e dei governi centrali che di quella dovrebbero essere specchio. “Cultura del terremoto”, nel libro, include certamente le conquiste scientifiche, ma anche le loro traduzioni in atti normativi cui si informa l’azione del cittadino e, soprattutto, la consapevolezza da parte di chi vive nei territori sismici di cosa sia e possa comportare un terremoto con effetti al di sopra della soglia del danno.

Il titolo del volume solleva una immediata curiosità. Puoi riassumere quali siano le tre velocità, in che relazione stanno fra di loro e il perché dell’uso di questo termine?

Se guardo alla cultura del terremoto nel senso ampio che ho detto, estremizzando, posso distinguere i tre aspetti prima richiamati, tenendo comunque presente che sono tra loro strettamente legati: i) l’avanzamento della conoscenza scientifica e la sua divulgazione, cioè l’esito del lavoro dei ricercatori; ii) la traduzione normativa delle acquisizioni scientifiche perché aggiornamenti e modifiche delle norme misurano il cambiamento della conoscenza, l’evoluzione di una cultura del decisore, oltre che il mutamento delle condizioni della società; iii) la cultura del cittadino in relazione a “sismicità”, “pericolosità sismica”, “vulnerabilità”, “riduzione del rischio sismico” ecc., temi rispetto ai quali, considerate le ricadute, proprio i cittadini dovrebbero rappresentare i principali portatori di interesse. Alle componenti che costituiscono questo sistema riferisco l’artificio delle tre velocità perché diversamente si evolvono la ricerca scientifica, l’azione dei decisori nei governi centrali e la sensibilità per la difesa dai terremoti da parte dei cittadini e di chi li rappresenta a livello locale.
Nonostante periodi più o meno fortunati, l’evoluzione della ricerca è caratterizzata da un andamento piuttosto costante. Anche la traduzione della conoscenza scientifica in atti normativi – il secondo elemento del sistema – è vincolata, sebbene dipendente dalla mediazione politica che stabilisce le priorità nei vari ambiti di intervento per la crescita del Paese. Il vincolo, in questo caso, è legato allo stesso progresso della scienza che il legislatore non può ignorare. In sintesi, come desumibile dalla storia della difesa dai terremoti nell’arco di un secolo, è accaduto che l’avanzamento della conoscenza scientifica sia stata non immediatamente tradotta sul piano delle politiche governative, ma in generale è impossibile non rilevare la consistente evoluzione. È il terzo elemento che compone il sistema, l’aggiornamento degli atteggiamenti culturali di coloro che vivono nei territori sismici, a procedere a rilento. Ed è una criticità non trascurabile, considerando che un aspetto come la riduzione del rischio necessita anche del convinto impegno del cittadino.
Le tre velocità, quindi, sintetizza una evoluzione della conoscenza scientifica che si attua con maggiore costanza rispetto a come avviene il suo recepimento sul piano normativo. Per entrambi gli aspetti si può comunque parlare di progresso assai più consistente della crescita della sensibilità per la difesa dai terremoti e della consapevolezza del rischio nei cittadini che, in ultima analisi, del cambiamento dovrebbero beneficiare.

La prima velocità, cui sono dedicati due capitoli, riguarda essenzialmente la geologia e in particolare le sorgenti dei terremoti. Possiamo dire che proponi uno sguardo particolare a questi aspetti?

Sì, diciamo per comodità, visto che si tratta del campo di ricerca nel quale ho lavorato per più di tre decenni. È stato più agevole guardare allo sviluppo della conoscenza sul rapporto tra faglie e terremoti. Per questa prima velocità, inizio con Federico Sacco, 1907: lo schema dell’Abruzzo con i colori tipici di una carta geologica, ma senza faglie. Queste sono riportate in una tavola a parte. La divisione, la geologia con le sue distinzioni stratigrafiche separata dallo Schema delle principali fratture degli Abruzzi (questo il titolo), fa capire che non era del tutto chiaro il ruolo dei movimenti delle faglie nell’evoluzione geologica di un territorio, come non lo erano le conseguenze in termini di sismicità. Se si paragona questa sintesi alle conoscenze rappresentate nei moderni schemi di faglie sismogenetiche, mettendo in fila tutte le tappe intermedie, si possono tangibilmente apprezzare gli enormi passi avanti della ricerca geologica in poco più di un secolo.

Figura_Sacco“Schema delle principali fratture degli Abruzzi” realizzato da Federico Sacco nel 1907 e pubblicato sul Bollettino della Società Geologica Italiana.

La seconda velocità riguarda la storia della cosiddetta “classificazione sismica”, ovvero della distribuzione delle aree (Comuni) nelle quali sono state adottate normative sismiche per la costruzione degli edifici. A questo proposito proponi anche qualche riflessione sul rapporto fra scienza e normativa. Argomento attuale e complesso, giusto?

Per una ricostruzione storica della classificazione sismica, ho riletto più volte i tanti atti normativi emanati nell’arco temporale di più di un secolo e ho fatto riferimento a quanto pubblicato in proposito, soprattutto i tuoi lavori con Carlo Meletti [es., Meletti et al., 2006; 2014]. Poi, ho approfondito il caso dell’Abruzzo, che di fatto ben si inserisce nel più ampio orizzonte dell’Italia sismica. Complessivamente, è facile cogliere il consistente progresso, nonostante interruzioni e qualche retromarcia (leggi declassificazione: comuni precedentemente classificati che non sono più considerati sismici o comuni in prima categoria che vengono posti in seconda). L’impostazione dei primordi, per cui la classificazione interessava territori per aggiunte di abitati terremotati, dopo singoli accadimenti particolarmente distruttivi (es. 1908, 1915) o insieme di eventi (es. quelli dell’Appennino settentrionale tra 1917 e 1920), ha comunque consentito avanzamenti anche significativi: i territori sismici soggetti a normativa per le costruzioni aumentavano, anche se i vincoli imposti avevano la prospettiva limitata del “già terremotato” e non quella delle conseguenze degli scuotimenti futuri in altre aree. L’impianto era sostanzialmente amministrativo, per aggiunte di liste di abitati danneggiati. Poi, a un certo punto, soprattutto dalla fine degli anni Settanta e in maniera più determinante dopo il terremoto del 1980, la conoscenza scientifica ha assunto un peso più determinante, con le ipotesi dell’epoca sulle aree sismiche, non definite solo sulla base di accadimenti degli anni precedenti. Non si è trattato esattamente dell’avvio di un sistema virtuoso; il ricorso alla conoscenza scientifica per aggiornamenti, modifiche, avanzamenti sostanziali in materia di classificazione e riferimenti normativi, come noto, è stato influenzato anche negli ultimi decenni dagli eventi sismici. Così, se c’è una costanza del progresso scientifico, all’impatto sul fronte dei vincoli per la società può attribuirsi l’andamento a singhiozzo: la necessità di fare il punto, tenendo conto dell’avanzamento della conoscenza, non è avvenuto fisiologicamente, ma è stato stimolato dall’evento esterno e luttuoso.

Class. AbruzzoA sinistra, la attuale classificazione sismica dell’Abruzzo. A destra, le tappe della classificazione del territorio. L’ultima tappa è del 2003.

La terza velocità riguarda il tentativo di leggere la consapevolezza del rischio sismico nella cittadinanza attraverso la mediazione dei programmi amministrativi per le elezioni in Abruzzo. In pratica, cerchi di analizzare se e come il tema della riduzione del rischio sismico sia presente nei propositi di liste e candidati delle varie tornate elettorali abruzzesi. Si tratta di un argomento piuttosto originale. Come mai hai scelto questa chiave di indagine?

Nelle realtà demograficamente contenute, come è il caso della maggior parte dei comuni abruzzesi, la politica ha un rapporto assai diretto con l’elettorato. In pratica, chi è eletto conosce bene necessità e desiderata di chi vota. Le visioni personali di un politico o le impostazioni generali di area politica, ammesso che ce ne siano, contano meno che nelle grandi e medie città. Allora, se ci sono priorità, esigenze, urgenze, più facilmente queste vengono incamerate e fatte proprie dai candidati e fissate nei programmi amministrativi. Ciò detto, in una regione negli ultimi anni colpita dai terremoti, ci si aspetterebbe che i residenti, cioè gli elettori, ponessero il tema della mitigazione del rischio al centro del dibattito politico e delle iniziative di governo locale. Perciò ho letto i programmi di tutte le liste e dei vari sindaci candidati in Abruzzo del 2015, 2016 e 2017: nel complesso, più di 3200 pagine, in verità non molto incoraggianti. A parte pochi casi virtuosi, che puntualmente richiamo, emerge la tendenza a non considerare il potenziale effetto di un terremoto come un problema prioritario. Si ravvisa un consistente disinteresse per l’argomento, oppure la tendenza ad affrontarlo in maniera inappropriata, su basi tecniche e culturali errate. Paradossalmente, nella regione in cui per anni si è parlato delle scosse sismiche e delle varie conseguenze sociali, emerge una maggiore attenzione per il rischio idrogeologico. Ecco la terza velocità: questo tipo di cultura del terremoto si evolve (se si evolve) col passo della lumaca.

Qua e là nel testo dedichi molta attenzione ai rapporti, diretti e mediati con la popolazione. Sembra di evincere che si tratta di un argomento complesso e controverso…

Della costante collaborazione tra esperti e cittadini dei territori sismici, a seguito del terremoto del 2009, sono prova le tante e multiformi iniziative e manifestazioni cui ho avuto modo di partecipare o assistere. Il carattere multiforme è, appunto, legato alle varie possibilità comunicative: si va dai seminari alle conferenze per platee selezionate, ai vari tipi di interventi nelle scuole, fino alle mostre, all’impegno nelle piazze con stand dedicati, alle visite guidate, alle escursioni geologiche e agli interventi sulla rete. Ho potuto constatare che ogni modalità ha positivi effetti, posto che si abbia la capacità di proporsi con rappresentazioni e linguaggio adeguati. Personalmente ho utilizzato con costanza, sperimentandone l’efficacia, immagini dal paesaggio fisico e dagli spazi edificati per trasmettere messaggi sulla storia sismica locale e sugli effetti delle manifestazioni della natura. Un versante montuoso su cui sia visibile l’emergenza di una faglia attiva, ruderi, edifici tipicamente riconducibili alle ricostruzioni post sisma, cesure nelle tessiture murarie, iscrizioni che ricordano l’evento distruttivo o celebrano l’avvenuta riedificazione – insomma tutto ciò che fa parte del quotidiano di chi vive in un certo luogo, e che però è legato alla natura sismica del territorio, può acquisire una forte valenza educativa. Del resto, questa potenziale funzione del paesaggio non è una mia scoperta.

Figura_Albe_colori

Resti dell’antico abitato di Albe distrutto dal terremoto del 1915, emersi a seguito degli scavi archeologici del primo decennio di questo secolo.

Gli argomenti trattati sono molto vasti; per certi versi potresti avere scoperchiato il classico vaso di Pandora, come già capitato ad altri. E, come d’obbligo, cerchi di proporre delle conclusioni. Quali, se è possibile sintetizzarle? In particolare, hai la sensazione che la cultura del terremoto sia aumentata in Abruzzo rispetto a cinquant’anni fa, e che di conseguenza il rischio sismico si stia riducendo?

C’è anzitutto la risposta alla seconda domanda, in pratica il punto di partenza. Il quadro della cultura del terremoto in Abruzzo, se ci si riferisce alla sensibilità e alla consapevolezza di chi vi abita, non è particolarmente confortante. È comunque per me difficile dire se la cultura media sia uguale o superiore a quella di cinquant’anni fa. A parte queste considerazioni, è evidente la non priorità della difesa dai terremoti per chi risiede nella regione. Le conseguenze di questo atteggiamento non investono soltanto chi vive nelle zone interne, se si considera che i territori costieri sono stati a lungo non classificati e quindi sono oggi caratterizzati da un significativo deficit di sicurezza sismica. L’obiettivo di chi dedica una parte del suo tempo alla divulgazione, indipendentemente dai modelli adottati, è semplice a dirsi e tante volte espresso: fare in modo che si passi da una sorta di aggiramento dei problemi da parte della maggioranza di residenti e proprietari a una maggiore attenzione e sensibilità, soprattutto considerando gli odierni strumenti per intervenire sul costruito che lo Stato mette a disposizione del cittadino.
Certo, le ragioni dell’inerzia su questo fronte sono molteplici. Ad esempio: l’enorme numero di seconde case, praticamente disabitate, di cui è costituito il tessuto di molti centri abitati non favorisce l’atteggiamento positivo dei proprietari. Può anche darsi che l’impegno per la divulgazione non sia stato ancora sufficiente a far sì che nei paesi ci siano più cantieri di quanti se ne vedono ora. Comunque, a fronte dei limitati interventi, piacerebbe almeno che i proprietari fossero più consapevoli delle caratteristiche dei loro immobili in termini di sicurezza sismica. Ciò sulla base di perizie determinate, ove possibile, anche attraverso azioni delle amministrazioni – ci sono un paio di casi di comuni “virtuosi” al proposito – oppure volute dagli stessi residenti più sensibili al problema di quanto non lo fossero in passato. Quindi, che siano disponibili le diagnosi, che siano note a chi usufruisce di un fabbricato e a chi lo possiede, che questi documenti siano un passaggio verso la responsabilizzazione, che non si debba sentire, a giochi fatti, a danni subiti “io non sapevo”. Ciò aprirebbe poi a scenari di altro tipo: forse lo Stato riparatore potrebbe avere uno strumento di misura per la sua azione.

In definitiva, riassumendo: la cultura del terremoto si sviluppa in Abruzzo secondo tre percorsi le cui velocità non sono sincrone, giusto? E adesso che hai concluso questo tuo libro, hai programmi per una successiva tappa?

Sulle velocità è come dici tu e credo che l’Abruzzo sia una sorta di parte per il tutto, in riferimento all’intero Paese. Con il pregio che valutare le tendenze in questa regione può essere di un certo interesse, in considerazione della peculiarità dei numerosi terremoti recenti e di ciò che a essi è seguito. Su un binario c’è l’impegno di chi fa ricerca e divulga la conoscenza, su un altro la traduzione di questa sul piano normativo e amministrativo, su un terzo la consapevolezza, la sensibilità e la cultura di chi vive nei territori sismici. Sembra che i tre percorsi, pur intersecandosi ogni tanto, soprattutto nei frangenti emergenziali, abbiano avuto per il resto una certa indipendenza e assai diverse siano state le velocità dei tre convogli portatori delle categorie culturali sopra citate.

Infine, uno sguardo al futuro: da un lato, personalmente, continuerò ad approfondire le potenzialità del paesaggio in funzione educativa. Anche riflettendo, criticamente, se sia opportuno o meno insistere sull’utilizzo di uno strumento come questo. Poi, mi piacerebbe ragionare e confrontarmi su una questione più alta: se a distanza di quasi tredici anni dal sisma dell’Aquilano stia cambiando qualcosa o meno al livello dei riferimenti su cui è stata finora incardinata la difesa dai terremoti. È chiaro che un qualsiasi cambiamento avrebbe per conseguenza la modifica del messaggio rivolto a chi vive nelle zone sismiche.

Riferimenti

Meletti C., Stucchi M., Boschi E., 2006. Dalla classificazione sismica del territorio nazionale alle zone sismiche secondo la nuova normativa sismica. In: D. Guzzoni (a cura di), Norme tecniche per le costruzioni, Milano, pp. 139-160, https://www.researchgate.net/publication/235960327_Dalla_classificazione_sismica_del_territorio_nazionale_alle_zone_sismiche_secondo_la_nuova_normativa_sismica

Meletti C., Stucchi M., Calvi G.M., 2014. La classificazione sismica in Italia, oggi. Progettazione sismica, 5 (3), pp. 13-23. https://bookstore.eucentre.it/progettazione-sismica/archivio-numeri/progettazione-sismica-2014/

Sacco F., 1907. Gli Abruzzi. Bollettino della Società Geologica Italiana, 26 (3), pp. 377-460.

 

Zamberletti e la gestione del post-terremoto del Friuli (1976-1977)

Di recente è scomparso Giuseppe Zamberletti, considerato con buona ragione il padre della Protezione Civile in Italia. Vogliamo ricordarlo qui pubblicando un estratto da un suo articolo, pubblicato in inglese su un numero speciale del Bollettino di Geofisica Teorica e Applicata (Pdf).

È interessante leggere questo bilancio dell’intervento dello Stato relativo ai terremoti del 1976 in Friuli, scritto dal principale protagonista. In particolare, colpisce la descrizione della situazione alla data finale dell’intervento diretto dello Stato, meno di un anno dopo il primo terremoto: il confronto con gli eventi recenti è impietoso.

 

Friuli 1976-1977: la gestione dell’emergenza in relazione ai terremoti di maggio e di settembre (di Giuseppe Zamberletti)

Al lupo, al lupo? Più cautela con gli allarmi sismici (Massimiliano Stucchi)

Premessa. In questo post si commentano – tra le altre cose – modelli scientifici e la loro possibile applicazione a fini di Protezione Civile. La trattazione è necessariamente semplificata: eventuali approfondimenti sono allo studio.

1. La previsione deterministica dei terremoti è da sempre invocata dall’umanità come possibile riparo da sciagure sismiche, in particolare per quello che riguarda la possibilità di restarne vittime. Per la ricerca scientifica, invece, si tratta di un obiettivo lontano e forse irraggiungibile, che presuppone conoscenze teoriche e osservazioni sperimentali sulle dinamiche di accumulo e rilascio dell’energia, oggi non disponibili. Il tema è ampio e complesso e non può essere certo trattato in profondità in queste pagine. Continua a leggere

Crying wolf? take care with earthquake alarms…..(Massimiliano Stucchi)


translated by Google Translate, revised

Introduction. In this post we comment – among other things – scientific models and their possible application for civil protection purposes. The discussion is necessarily simplified: a more detailed post is under consideration.

1. The deterministic earthquake prediction has always been invoked by humanity as a possible shelter from seismic disasters, in particular for what concerns the possibility of remaining victims. For science, on the other hand, it is a distant and perhaps unattainable goal, which requires theoretical knowledge and experimental observations on the dynamics of energy accumulation and release, which are not available today. The theme is broad and complex and cannot be treated at depth in these pages. Continua a leggere

Note d’agosto, con un altro processo a L’Aquila (Massimiliano Stucchi)

Da almeno un paio anni agosto ci somministra morti e danni: Amatrice nel 2016, Ischia nel 2017, quest’anno le autostrade, la piena del Pollino e una sequenza sismica (Molise) che fin qui ha prodotto solo danni lievi.
E altre notizie che vale la pena di commentare.

Sul ponte Morandi di Genova si è detto di tutto e di più. C’è poco da aggiungere, se non la riflessione che ponti di quel tipo, e anche di altro tipo, sono vulnerabili sia all’usura che a possibili impatti esterni (aerei, droni, attentati, ecc.). Questi ponti vengono progettati per resistere a un determinato evento esterno che non è mai il massimo possibile, anche perché in questi casi tale massimo non è conosciuto. Quindi, come tante cose, conservano un livello di rischio. Da sapersi.

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August notes, with another trial at L’Aquila (Massimiliano Stucchi)

translated by Google, revised

Since at least a couple years  August gives us death and damage: Amatrice in 2016, Ischia in 2017, this year the highways, the Pollino flood and a seismic sequence (Molise) that so far has produced only minor damage. And other news that is worth commenting on.

On the Morandi bridge in Genoa everything and even more was said. There is little to add, if not the reflection that bridges of that type, and also of another type, are vulnerable both to wear and possible external impacts (airplanes, drones, attacks, etc.). These bridges are designed to withstand a given external event that is never the maximum possible, also because in these cases this maximum is not known. So, like many things, they keep a level of risk. To be know. Continua a leggere

La prevenzione sismica come problema di risk governance (di Andrea Cerase)

A un mese esatto dal sisma di Amatrice, oltre al drammatico bilancio in termini di vite umane (al momento della pubblicazione il conteggio è fermo a 297 vittime accertate) c’è l’evidenza degli errori, anche involontari, emersi sin dalle prime analisi sui crolli, dell’inadeguatezza delle tipologie costruttive e, insieme, l’indignazione (legittima) per il denaro pubblico speso in interventi di adeguamento in seguito rivelatisi inefficaci e persino controproducenti. Le notizie sulle inchieste giudiziarie hanno avuto un peso rilevante, ma certamente non hanno monopolizzato la discussione com’è invece accaduto per il sisma dell’Aquila e, in misura minore, per quello dell’Emilia. Continua a leggere

Spigolature (AA.VV.)

In questo periodo, come spesso accade dopo un terremoto, vengono resi disponibili su web un certo numero di interventi interessanti che riguardano vari aspetti.
Senza pretesa di esaustività, di seguito proponiamo alcuni link, con brevi introduzioni.

Dov’era, com’era. Quando il terremoto distrugge tutto, anche il senso critico
(di Elena Granata e Fiore de Lettera)

In questo saggio viene coraggiosamente affrontato il problema della richiesta popolare che si genera subito dopo un terremoto di ricostruire subito “dov’era, com’era”. Si afferma tra l’altro:

Dopo ogni evento catastrofico, il Paese – nei suoi politici e nei suoi mezzi di informazione – tende rapidamente a convergere intorno ad una posizione semplice e rassicurante. Non c’è tempo per il pensiero e per il dubbio. Più un fatto è complesso e difficile da risolvere e più sono immediate e semplici le ricette proposte”. Continua a leggere

Le colpe degli altri. Considerazioni dopo il terremoto di Amatrice (Massimiliano Stucchi)

Questa volta nessuna “mancata previsione”, come per il caso del terremoto di L’Aquila del 2009. Il terremoto non è stato preceduto da una sequenza di scosse di minore energia, come nel caso del terremoto di L’Aquila del 2009. Non vi è stato quindi, questa volta, il consueto dibattito sulla prevedibilità a breve termine dell’evento. Va ricordato che tale dibattito, nel caso del terremoto del 2009, aveva portato, in conseguenza della riunione degli esperti nel capoluogo abruzzese una settimana prima dell’evento, alla successiva incriminazione e condanna degli esperti stessi in primo grado, condanna poi annullata in sede di Appello e di Cassazione. Questo blog aveva seguito attivamente quella vicenda. Continua a leggere

Ancora sul rischio sismico – parte seconda (Massimiliano Stucchi)

Questo post fa seguito alla parte prima, con lo stesso titolo, che inizia così:

“La condanna in primo grado dei sette imputati al processo dell’Aquila ha determinato, nell’opinione pubblica come in molti intellettuali, alcune convinzioni che l’assoluzione di sei di essi in secondo grado non ha contribuito, almeno per il momento, a modificare, e che hanno implicazioni importanti per il futuro della riduzione del rischio sismico.
Si tratta in particolare delle tesi che:

  1. gli imputati fossero stati condannati per non aver valutato “correttamente” il rischio sismico;
  2. gli eventi di cui al processo dell’Aquila siano stati determinati da una errata comunicazione del rischio.”

 Le conclusioni della prima parte erano che:

  1. il rischio sismico in una larga porzione di Italia è – oggi – alto;
  2. non aumenta in modo significativo a causa di sequenze sismiche non distruttive, quale era quella dell’aquilano al 31 marzo 2009;
  3. l’emergenza sismica non è iniziata con la sequenza del 2009. Era già iniziata (da sempre), ed è permanente, anche se la maggior parte degli italiani non se ne vuole convincere;
  4. quest’ultimo è il vero problema, e dovrebbe essere il cuore della comunicazione del rischio.

In questa seconda parte si discute la tesi b).

—————————–

E veniamo alla comunicazione del rischio.
Una premessa. Il rischio sismico nell’aquilano era indiscutibilmente elevato ben prima dell’inizio della sequenza sismica, a causa dell’alta pericolosità sismica e dell’alta vulnerabilità; tuttavia pochi ne parlavano, non vi si dedicavano volumi, articoli, blog, interviste. Zero comunicazione del rischio a fronte di alto rischio? Nessuno andava in cattedra perché ne aveva parlato. Giaceva nei cassetti – poco diffuso – qualche report di convegni promossi dalle Amministrazioni locali a scopo essenzialmente catartico, come spesso avviene. Solo qualcuno portava avanti con fatica interventi di educazione nelle scuole. Continua a leggere

Ancora sul rischio sismico – parte prima (Massimiliano Stucchi)

La condanna in primo grado dei sette imputati al processo dell’Aquila ha determinato, nell’opinione pubblica come in molti intellettuali, alcune convinzioni che l’assoluzione di sei di essi in secondo grado non ha contribuito, almeno per il momento, a modificare, e che hanno implicazioni importanti per il futuro della riduzione del rischio sismico.
Si tratta in particolare delle tesi secondo cui:

  1. gli imputati sono stati condannati per non aver valutato “correttamente” il rischio sismico;
  2. gli eventi di cui al processo dell’Aquila sono stati determinati da una errata comunicazione del rischio.

Questi due aspetti sono strettamente interconnessi, anche perché hanno a che vedere entrambi con il concetto di rischio; questo concetto, come è noto, assume connotati variegati e spesso determinati dall’immaginario di chi ne tratta. A riprova del desiderio di fissarne i contorni in modo sempre più personale si può osservare l’apparizione, in volumi recenti e meno recenti, del concetto di “nuova rischiosità del rischio” (nella società dell’irresponsabilità), così come il titolo “oltre il rischio sismico”. Continua a leggere

Verso la Cassazione (Massimiliano Stucchi)

L’udienza del processo “Grandi Rischi” è stata fissata per il 19 novembre p.v.

Agli occhi dei più, il ricorso del Procuratore Generale di L’Aquila, Romolo Como, presentato il 13 marzo 2015, si presenta abbastanza debole, riproponendo in larga parte concetti e argomenti già sconfitti dalla sentenza di appello (Il ricorso verrà analizzato in un prossimo post). Il succo della richiesta del PG è di annullare la parte di sentenza di appello che assolve gli imputati Barberi, Boschi, Selvaggi, Calvi, Eva e Dolce, che nella vicenda avrebbero avuto – secondo lui – lo stesso ruolo di De Bernardinis (e quindi meriterebbero la stessa condanna, sembrerebbe lecito ipotizzare). Il fatto è che per annullare quella parte di sentenza occorrerebbe dimostrare inconsistente tutta la analisi che la sostiene, cosa che al PG – nelle 20 pagine di ricorso – non riesce proprio. Un avvocato di parte civile sostiene che sia comunque già positivo il fatto che il ricorso sia stato ammesso. Continua a leggere

Finale, con lezioni e rapsodia (Massimiliano Stucchi)

Finale. Dunque il processo di Appello si è concluso, con la sentenza che conosciamo. Prima di tutto questa sentenza restituisce agli imputati la dignità di persone che hanno svolto il proprio compito, dopo aver dedicato decine di anni a valutare il rischio e a cercare di convincere stato, regioni, comuni e cittadini della possibilità e dell’importanza di farlo. Per il resto aspettiamo con interesse la motivazione e, come abbiamo sempre detto, rispettiamo il dolore per le vittime; questo rispetto ci ha sempre stimolato a chiederci, ben prima dell’Aquila, se avevamo fatto abbastanza per ridurre il rischio sismico. Rispettiamo anche le opinioni antagoniste: le sentenze di discutono, l’abbiamo sempre sostenuto e lo sosteniamo anche adesso. Invitiamo solo i colpevolisti a fare lo sforzo di collocare al loro posto i tasselli, che in generale vengono proposti e vivisezionati con logica da “moviola”; il loro posto nel tempo, cioè prima che l’accadimento del terremoto abbia favorito tutte le semplificazioni che sono state proposte. Continua a leggere

“Mi sarei inventato tutto”. Ehm, mi sa di sì….(M. Stucchi + 8 commenti)

Nelle ultime settimane la grancassa dei colpevolisti ha ripreso a tuonare, forse per cercare di ricordare ai giudici del processo di appello l’infelice frase dell’allora Procuratore Rossini “Speriamo di arrivare ad un risultato conforme a quello che la gente si aspetta”. Non poteva certo mancare il (neo) prof. A. Ciccozzi,

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/27/sentenza-grandi-rischi-sacralita-della-scienza-o-impunita-istituzionale/1174531/

che già aveva risposto in modo quanto meno aggressivo a G. Cavallo su Lettera 43, perchè gli aveva ricordato alcuni momenti del processo evidentemente non graditi. E infatti eccolo che risponde alle obiezioni dei difensori con il consueto stile, associandosi d’ufficio Pubblici Ministeri e addirittura “i miei concittadini”. Continua a leggere

Era facile prevederlo…..(Massimiliano Stucchi)

Era facile prevedere che qualche giornalista disinvolto si sarebbe impadronito della notizia (che poi notizia non è) del presunto avvio della sperimentazione del metodo denominato OEF (Operational Earthquake Forecast, ovvero previsione operativa dei terremoti) per collegarla al processo Grandi Rischi. E’ successo con un articolo di G. Sturloni Continua a leggere

Quando comincia l’emergenza sismica? (Massimiliano Stucchi)

Uno dei tanti messaggi devianti che l’esito e la sentenza del processo “Grandi Rischi“ ha diffuso a piene mani è che la riunione incriminata della Commissione, tenutasi il 31 marzo 2009, fosse stata convocata in una fase di “emergenza sismica”, legata in qualche modo al perdurare dello sciame da alcune settimane.
Naturalmente questa immagine si è formata concretamente solo dopo il terremoto del 6 aprile, quando per molti – con il senno di poi – è stato facile fare due più due: Continua a leggere

La consapevolezza del rischio, la nostra responsabilità e la colpa degli scienziati (Renato Fuchs)

Non amo le premesse, ma qui è necessario farne alcune:
♦ Non sono un sismologo né un ingegnere sismico;
♦ Mi sono occupato, dopo il terremoto di L’Aquila, sia del supporto logistico ed informatico ai tecnici impegnati nella realizzazione del Progetto CASE sia della fase di definitivo abbinamento tra le famiglie aventi diritto e gli appartamenti realizzati nell’ambito del Progetto stesso;
♦ Mi occupo ora di marketing e comunicazione in un centro di ricerca in ingegneria sismica.

Ho letto, con attenzione e con alterni sentimenti, l’articolo di Marco Paolini sulla “sentenza Grandi Rischi”. Continua a leggere