Senza aspettare l’ultimo minuto (Daniela Di Bucci)

 

Un anno fa, profondamente colpiti dalla cosiddetta sentenza della Commissione Grandi Rischi (anche se 3 su 7 dei condannati a 6 anni di reclusione non facevano parte di quella commissione), 253 funzionari e collaboratori del DPC, tra cui anche io, inviarono ai giornali una lettera aperta (si veda la sezione documentale di questo stesso blog) in cui, oltre a rappresentare la vicinanza alle persone condannate, si facevano alcune considerazioni a caldo sul futuro delle attività di protezione civile a seguito della sentenza. Nella lettera si diceva:

Nei prossimi anni i funzionari di questo Dipartimento rischiano di essere soli nello svolgere il proprio lavoro, soli e indeboliti.
Saremo senza il supporto della comunità scientifica, è evidente. Perché gli scienziati dovrebbero prendersi l’onere di continuare a stare al nostro fianco? Non per soldi, per altro azzerati dai vigorosi tagli alla spesa; non per senso civico, frustrato dai continui attacchi a cui essi sono sottoposti e da spropositati richiami alle proprie responsabilità.
Soli, perché quale professionalità con competenze adeguate accetterà, in futuro, ‘il rischio’ di dirigere gli Uffici ad alto tasso tecnico-scientifico, come ce ne sono all’interno del nostro Dipartimento?
Soli, e le nostre responsabilità, che sono già aumentate con la nuova legge 100/2012, aumenteranno ancora di più in futuro, perché saremo chiamati a decidere senza condividere con il mondo della ricerca le valutazioni tecnico-scientifiche a supporto delle nostre azioni. E nessuna imperfezione sarà ammessa: in una società imperfetta come è la nostra, nulla ci verrà concesso
”.

Ora, dopo un anno di continua, intensa attività al Dipartimento della Protezione Civile, nel rileggere quella lettera, che ancora muove in me profonde emozioni, provo a formulare alcune riflessioni, del tutto personali, alla luce delle esperienze fatte nel corso di questo periodo.
La comunità scientifica, dopo un primo momento di sconcerto, ha accettato di continuare, con dignità e senso civico, a stare al fianco della Protezione Civile. Ma le modalità, in realtà, sono profondamente cambiate. I contenuti dei comunicati e delle relazioni si sono fatti via via più stringati, e il tenore delle valutazioni sempre più cauto e generico, mentre i disclaimer si moltiplicano e diventano sempre più lunghi. Una cautela giusta, comprensibile e per certi versi condivisibile, che però implica un supporto scientifico molto più schematico alle decisioni di protezione civile. Nel contempo, alcuni colleghi ricercatori si sono posti più direttamente il problema del supporto scientifico al decision making, conducendo in prima persona una profonda analisi e una successiva condivisione di linee di ragionamento con la comunità scientifica, anche internazionale, quest’ultima molto interessata e sensibile al tema delle responsabilità nel supporto scientifico alle autorità governative, specie dopo la sentenza de L’Aquila.

Da parte non solo della comunità scientifica, ma anche degli operatori di protezione civile, la stesura di accordi, lettere di intenti, verbali è divenuta oggetto di meticolosa cura nei dettagli, fatto legittimo e di principio auspicabile; ma le motivazioni di questa modalità, lette in filigrana, possono essere ben rese dalle parole di Francesco D’Alessandro, professore di Diritto Penale dell’Università Cattolica di Milano (in: ‘Protezione Civile e responsabilità nella società del rischio’, 2011): “Il fenomeno … si contraddistingue per la progressiva, regolare adozione di comportamenti finalizzati non tanto alla migliore gestione del rischio …, quanto al tentativo di ridurre le possibilità di essere personalmente coinvolti in un futuro contenzioso legale”. Ciò implica, per altro, una non trascurabile dilatazione dei tempi di attuazione dei programmi.

Dopo la sentenza, il sistema di protezione civile, nel complesso, ha favorito molto più che in passato la circolazione delle informazioni scientifiche, promuovendo l’aumento delle conoscenze sui rischi e il conseguente incremento della consapevolezza alla base dell’assunzione di responsabilità ai diversi livelli territoriali, fino a quello dei sindaci, le prime autorità di protezione civile. Tuttavia, gli esiti di tale trasferimento della conoscenza, nel timore di essere vittime di un approccio accusatorio rispetto a un ipotetico errore decisionale, hanno portato a scelte estreme, come l’evacuazione di scuole per eventi sismici di magnitudo 2.1.

Le difficoltà, dunque, in questo anno sono certamente aumentate e hanno effettivamente portato ad un ulteriore carico di responsabilità in capo al Dipartimento per cui lavoro. E i colleghi del Dipartimento della Protezione Civile hanno continuato ad assumersi tali responsabilità – un esempio su tutti la gestione della Concordia nel settembre scorso – rifuggendo la tentazione “di tirare i remi in barca, minimizzare l’impegno e, in questo modo, anche la nostra esposizione ai rischi”, come affermato nella lettera di un anno fa.
Rimangono amaramente incompiute e attuali le parole conclusive di allora: “La sola possibilità per garantire al Paese le azioni che ci competono è che le istituzioni e i cittadini tornino a supportare il sistema di Protezione Civile ed i suoi operatori, riconoscendone e tutelandone il valore, che coincide con il valore della prevenzione da perseguire con rigore e costanza nel tempo. E non certo con il salvifico intervento all’ultimo minuto: se si confida in questo, la sfida è persa”.

 Daniela Di Bucci

(geologo, Dipartimento della Protezione Civile)

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