Che cosa rimane della vicenda giudiziaria “Grandi Rischi” (di Claudio Moroni)

Introduzione di M. Stucchi.
Ogni tanto appaiono “aftershocks” del cosiddetto processo “Grandi Rischi”: in genere dalla parte dell’accusa e del giudizio di primo grado, ovvero di chi non si rassegna al fatto che le successive sentenze hanno demolito il castello accusatorio. Ad esempio, proprio in questi giorni alcuni media hanno rifritto un po’ di aria in relazione alla nomina di Mauro Dolce a Assessore della Regione Calabria.
Ma parliamo di cose più importanti.  
l giudice del processo di primo grado, Marco Billi, nel 2017 pubblicò un libro dal titolo “La causalità psichica nei reati colposi”, sottotitolo “Il caso del processo alla Commissione Grandi Rischi”. Nel volume, in realtà dedicato quasi integralmente al sottotitolo (peraltro errato, come provato dalle sentenze successive alla sua) e nelle occasioni in cui l’ha presentato, l’autore sostiene fra le altre cose che “riscriverebbe” oggi la stessa sentenza (in parte lo fa, appunto), frase che fa rabbrividire e addirittura dubitare della Giustizia. Per fare un paragone, gli arbitri di calcio che manifestamente fanno errori importanti vengono sospesi, anche se le partite non vengono rigiocate. In questo caso no: la Corte d’Appello ha letteralmente fatto a pezzi la sentenza di primo grado e l’accusa su cui si basava, e Billi può continuare a pensare di essere nel giusto e affermarlo in giro. Peraltro, è persona impegnata e sensibile, dato che ha pubblicato un volume sul problema del “fine vita”.
Di recente, il giornalista Alberto Orsini ha pubblicato un volume che raccoglie gli articoli da lui pubblicati su “abruzzoweb.it” nel corso della lunga vicenda giudiziaria. Un volume senza dubbio utile come antologia, con l’aggiunta di chiose dell’autore ai suoi stessi articoli, chiose meditate a vicenda conclusa: peccato solo per il titolo e l’iconografia. In una delle prefazioni, così come in una delle presentazioni in pubblico, il giudice Billi sostiene che sia giusto che lo Stato possa processare se stesso. Concordo, ma aggiungo: se vi sono le ragioni per farlo. Se si costruisce un impianto accusatorio a dir poco farlocco e la Corte d’Appello e la Corte di Cassazione concludono che per sei dei sette imputati “il fatto non sussiste”, di che cosa stiamo parlando? Questo blog tornerà sull’argomento con un prossimo post. Nel frattempo pubblichiamo un articolo rimasto in archivio per lungo tempo, dal 2017, scusandoci con l’autore per il ritardo.

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Claudio Moroni, ingegnere. Opera da sempre nel campo delle strutture, con particolare riferimento alla riduzione del rischio sismico, sia nell’ambito della ricerca numerica e sperimentale, sia in quello della diffusione della conoscenza e delle applicazioni reali sul campo. Fa, ed ha fatto parte, di numerose commissioni per la redazione di norme, linee guida ed istruzioni.

Premessa. Una fortuita ricerca di redazione ha rispolverato un pezzo ormai quasi dimenticato che, riletto oggi, è più che mai attuale. Si potrebbe dire che negli ultimi anni, con la questione “Palamara”, la cronaca ha acclarato che i riscontri sul campo relativi alle non rare distorsioni del sistema inquirente, e talvolta anche giudicante, in alcuni casi costituiscono persino la regola, invece che l’eccezione. Ciò, per contro, non muta di una virgola la sostanza di quanto, con riferimento al “processo Grandi Rischi”, era stato analizzato con il dovuto distacco di tempo dagli eventi e che, nel seguito, si riporta integralmente.

E’ passato qualche anno da quando, in attesa della sentenza d’appello, rimettevo la mia speranza in una magistratura capace di analizzare i fatti senza pregiudizio e con il dovuto distacco razionale che dovrebbe caratterizzare chi ha il compito di giudicare. Come sono poi andati i fatti è cosa nota all’intero mondo e, data la riforma della sentenza, sembrerebbe ovvio che possa considerarmi felice e tutto sia tornato a posto. Non è così, o almeno credo non potrà mai più essere esattamente come prima, così come non potrà esserlo per coloro che, erroneamente, sono stati definiti, e talvolta essi stessi si sono definiti, “parte” avversa. Un procedimento giudiziario, soprattutto quando penale, ha un effetto devastante sia per gli imputati, che quando innocenti non possono che considerarsi giustamente vessati da una abnorme ingiustizia, sia per le parti civili che, logicamente, devono dedurre che se una Procura richiede il rinvio a giudizio, necessariamente siano stati individuati elementi di colpevolezza tali che il Giudice chiamato ad analizzarli non potrà che confermarli nei diversi gradi previsti dal sistema giudiziario. Quest’ultimo aspetto è ciò che ho sempre pensato da cittadino estraneo alle vicende che di volta in volta la cronaca raccontava. Non vedo perché i parenti delle vittime, peraltro provati da un terribile dolore, ancor più insopportabile se relativo alla perdita di un parente o, peggio, di un figlio, dovrebbero riuscire ad averne una visione diversa.

Mio malgrado, seguendo il procedimento “Grandi Rischi”, ho imparato che è abissale la distanza tra la percezione che ne ha il cittadino comune e la realtà del sistema giudiziario. Ero fermamente contrario ai termini di prescrizione e convinto che fossero l’escamotage voluto dai malfattori per sfuggire alle loro responsabilità. Consideravo l’operato dei Pubblici Ministeri (PM) pressoché identico a quello dei Giudici e non sopportavo che un individuo rinviato a giudizio potesse asserire di essere una persona non solo innocente ma, addirittura, estranea ai fatti, in spregio al fatto che ben due magistrati, PM e Giudici dell’Udienza Preliminare (GUP), avevano ritenuto di imputarlo, magari a fronte di un fascicolo che i mezzi d’informazione comunicavano essere di migliaia di pagine.

Ho imparato che anche il mondo giudiziario, come qualsiasi settore, ha le sue regole, le sue prassi e non è affatto privo di storture. Ho dovuto apprendere che, se i cittadini avessero un’adeguata preparazione in materia, basterebbe analizzare quanto lunghi siano i termini di prescrizione italiani per comprendere che sono sintomatici di un sistema malfunzionante, quasi medievale e tutt’altro che assolutorio. Che il GUP non è chiamato a valutare se l’indagato è colpevole o innocente ma, esagerando, quasi solo a “ratificare” il rinvio a giudizio chiesto dal PM. Che i faldoni sono pieni di articoli di giornali (!?!!), fotocopie di missioni della Polizia Giudiziaria che esegue le indagini, richieste di missioni, autorizzazioni alle missioni, ricevute di buoni pasto, ecc., e che dei fatti oggetto delle indagini se ne parla spesso in poche pagine, al massimo ritrascritte o fotocopiate più volte. Che se sei veramente innocente, ed hai ragioni da vendere, l’avvocato ti consiglia di non raccontarlo praticamente mai, onde evitare che il PM si adoperi per forzare qualche elemento così da nascondere, o quanto meno rendere meno evidenti, le tue ragioni al Giudice. Peraltro, più l’innocente sta zitto, più il procedimento non ha tecnicamente modo di fermarsi (considerando che talvolta i PM si adoperano a trovare i pochi elementi a favore dell’indagato solo per confutarli e non per analizzarli a sua discolpa), cosa che ovviamente finisce con l’accrescere la parcella dell’avvocato ed aumentare la convinzione collettiva che sia stato individuato il colpevole.

La cosa per me più sconcertante è che analizzando il sistema non riesco ad individuare una colpa specifica in qualcuno. Certamente si potrebbe dire che le Procure dovrebbero operare con più diligenza. Ma quanti rischi corrono? I PM sarebbero da classificare santi già solo quando decidono di svolgere quel ruolo. E quante migliaia di pratiche hanno? Allora si appoggiano molto alla Polizia Giudiziaria, a cui di fatto viene affidata l’indagine. Allora sono questi ultimi i responsabili? Persone che con spirito di servizio passano il tempo a leggere carte, cercare di capire fatti di cui non hanno nessuna competenza, il tutto incrociandolo con una conoscenza giuridica spesso sommaria. Certo, qualche volta qualcuno di loro si esalta, sentendosi padrone della verità e giustiziere dei cattivi, forse talvolta inconsciamente considerati tali ancor di più se c’è un divario di ruoli o di stipendio, calpestando buon senso e diritto. Ma, per contro, se non trovassero un individuo a cui attribuire una colpa, i giornali griderebbero allo scandalo millantando che gli inquirenti non sanno fare il loro dovere. In fondo è dai tempi dei romani che, soprattutto l’italiano, trova piacere nel vedere qualcuno sbranato. Ieri si andava al Colosseo, oggi c’è l’informazione che ci solleva nel sapere che ci sono tanti cattivi/ladri/malfattori in giro per l’Italia a cui attribuire le malefatte ed il malfunzionamento del nostro Paese. Questo fornisce l’indulgenza plenaria alla nostra coscienza che possiamo così continuare a considerare candida e pulita, anche se magari delle otto ore di lavoro, una la passiamo a leggere sul giornale le presunte malefatte altrui e, altre due, a commentarle con i colleghi delle altre stanze.

Insomma, ho imparato tanto, a cominciare dal fatto che, soprattutto quando si cerca di operare seriamente e coscienziosamente, bisogna avere la fortuna di stare lontani da eventi mediatici che possano calamitare l’attenzione morbosa degli “spettatori”, e conseguentemente del sistema giudiziario (in particolare delle Procure per il tramite di consulenti d‘ufficio ansiosi di raccontare le loro ascetiche visioni dei fatti), e, soprattutto, della politica il cui gioco delle parti l’ha ridotta, più o meno consapevolmente, ad un altoparlante del sistema giudiziario, al solo fine di millantare le potenziali malefatte della controparte, rimanendo così imbrigliata in un gioco perverso dove non è più possibile distinguere la vittima dal carnefice. In sintesi potrei dire che ho appreso, in modo pieno e consapevole, quanto asserito da qualcuno molto lungimirante circa l’importanza di formare gli Italiani. Temo che tutt’ora sia una battaglia così impegnativa che difficilmente potrà essere realizzata in pochi anni.

Correttamente molti parenti delle vittime speravano che le loro battaglie giudiziarie potessero almeno portare ad un innalzamento generalizzato della prevenzione dagli effetti del sisma. Non posso che associarmi all’ambizione che le vite umane spezzatesi quel 6 aprile, come in altri casi, continuino a vivere, anche se in un’altra forma, specchiandosi in tutti quei processi virtuosi in grado di portare ad una riduzione del rischio. Avrei avuto, e credo avrei, l’identica aspirazione dei parenti sopravvissuti. Per contro ritengo che, proprio per perseguire questa strada, servirebbe la forza e la capacità di aggregare e costruire processi virtuosi, che sappiano fare tesoro della dialettica e del confronto competente di tutti i maggiori esperti della materia, a cominciare da quelli che sono stati visti, almeno da alcuni, come gli antagonisti. Talvolta mi è sembrato di non rilevare queste finalità. Ho persino constatato, di volta in volta e forse nella maggior parte dei casi in buona fede, attacchi rivolti a persone che sono estranee ad ogni addebito, anche in termini giudiziari (oggi che ho conosciuto il mondo giudiziario mi sentirei di aggiungere fortunatamente), quali coloro che erano stati individuati come imputati. Temo purtroppo che non potrò essere compreso da molti ma, così come sono consapevole che il dolore dei parenti, che uccide dentro e quotidianamente, lo puoi conoscere, purtroppo, solo se hai la disgrazia di provarlo dal vero, anche il male che si prova ad essere accusati ingiustamente si può capire solo quando lo si vive.

Qualche tempo fa era uscita la notizia che uno dei politici che più si era speso per dare solidarietà ai parenti delle vittime era stato indagato per corruzione. Anche per lui (un lui indicativo del politico, il sesso invece può restare indefinito), nonostante abbia avuto modo di rilevarne la cordialità e l’ondivaga agilità del pensiero, vale quanto ho detto sopra circa il sistema giudiziario, sebbene in questo caso sembrerebbe che ci sia un’accusa fatta direttamente da chi ha cacciato i soldi. Ciò che posso dire è che in questa vicenda “Grandi Rischi” l’unica cosa che mi è parsa, alla luce di quanto emerso nell’aula del Tribunale, è che molti di coloro che più si sono adoperati per portare accuse, e che non erano parenti delle vittime, per un motivo o per un altro probabilmente avevano piacere che l’attenzione si focalizzasse sui sette imputati. In fondo incitare a scagliare la pietra è sempre facile e riduce la possibilità che qualcuno miri altrove.

Concludo questo sfogo con un dettaglio, per me emblematico, che gli avvocati raccontavano senza remora alcuna, indipendentemente dal ruolo di difensore o di parte civile, il giorno in cui venne emessa la sentenza finale. Data la rilevanza dell’evento, infatti, rimasero ad attendere la lettura del dispositivo della Corte contrariamente all’approccio solito per il quale è prassi lasciare qualche euro di mancia al personale delle cancellerie affinché, all’esito della decisione, si venga poi chiamati la sera a casa per conoscere quale sia stata la statuizione. Nel solito paese civile ritengo che, nell’era dei computer, nella Suprema Corte di Cassazione il dispositivo della sentenza dovrebbe essere redatto dalla Corte con strumenti informatici in grado di renderlo automaticamente pubblico. Non la sera stessa, ma un attimo dopo che sia stato sottoscritto. E’ invece prassi ammessa, consolidata e accettata, in primo luogo proprio in quel “santuario” dove operano i magistrati che impersonano la più alta rappresentazione della giustizia della nazione, che le cose vadano così. Solo alcuni anni fa emerse che anche diversi magistrati nel medesimo ambiente fossero sensibili al denaro. Mi domando come possa, il genitore di un figlio deceduto, avere la lucidità per credere all’innocenza di coloro che inizialmente un qualche magistrato ha persino condannato. Allo stesso tempo, però, c’è da chiedersi chi possa capire la grande ingiustizia subita dall’innocente che, suo malgrado, è stato sottoposto ad un meccanismo così perverso che, in spregio ad una sentenza di piena assoluzione, deve supinamente accettare che chiunque, nella finzione del dovere d’informazione ed appoggiandosi ai titoloni (vecchi e nuovi) dei giornali, possa a proprio piacimento in qualsiasi momento ritirare fuori dal cilindro vicende passate e chiuse, finendo di fatto con l’addossargliele nuovamente, come se il povero malcapitato di turno (passivo spettatore di un erroneo inziale coinvolgimento in inchieste poi finite diversamente) debba quasi essere nuovamente processato per appurare di nuovo i fatti, prima su base popolare e poi, “auspicabilmente”, di nuovo giudiziaria.

Quel 31 marzo di dieci anni fa, a L’Aquila (Massimiliano Stucchi)

Il giorno 31 marzo 2009 si svolse a L’Aquila la riunione di esperti convocata dal Capo della Protezione Civile, G. Bertolaso, le cui conseguenze sono state oggetto di innumerevoli discussioni, articoli, volumi, e di un noto processo. Non è mia intenzione riprendere qui quegli argomenti, che peraltro vedono ancora una fioritura di interventi, come sempre non del tutto aggiornati.
Voglio soltanto ricordare come si arrivò a quella riunione. Continua a leggere

L’Aquila, 31 March 2009: ten years ago (Massimiliano Stucchi)

Translated by google translate, reviewed

On March 31, 2009, an earthquake expert meeting convened by the Head of Civil Protection, G. Bertolaso, took place in L’Aquila; the consequences of it were the subject of countless discussions, articles, volumes, and a famous trial.
It is not my intention to take up those arguments, which still see a flourishing of interventions, as always not completely updated.
I just want to remember how it came to that meeting.

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Che cosa resta del processo “Grandi Rischi”? (Massimiliano Stucchi)

Dopo la sentenza della Cassazione, questa domanda se la pongono in molti, in privato e in pubblico. Molti si chiedono come sia stato possibile che si siano spesi quasi quattro anni di – costose – attività giudiziarie; di ferite profonde agli imputati; di aspettative frustrate da parte dei parenti delle vittime e di quanti sono scesi in campo al loro fianco; di discussioni infinite su aspetti pseudoscientifici; di prese di posizione dettate da infinita sicurezza e presunzione.
Ci vorrà del tempo per meditare, con sufficiente distacco, sulla vicenda “Grandi Rischi”: su come sia stato possibile farla nascere, portarla avanti, crederci davvero. Sicuramente sarà utile leggere anche le Motivazioni della Cassazione. Tuttavia, da oggi è già possibile tentare di mettere insieme qualche considerazione, con una premessa: esprimere le proprie idee sul processo non significa mancare di rispetto alle vittime e ai loro parenti. Gli imputati e tutti quelli che operano nella ricerca scientifica e nella protezione civile hanno sempre rispettato le vittime, di questo terremoto come di tutti gli altri in occasione dei quali si sono trovato a operare. Continua a leggere

Ancora sul rischio sismico – parte prima (Massimiliano Stucchi)

La condanna in primo grado dei sette imputati al processo dell’Aquila ha determinato, nell’opinione pubblica come in molti intellettuali, alcune convinzioni che l’assoluzione di sei di essi in secondo grado non ha contribuito, almeno per il momento, a modificare, e che hanno implicazioni importanti per il futuro della riduzione del rischio sismico.
Si tratta in particolare delle tesi secondo cui:

  1. gli imputati sono stati condannati per non aver valutato “correttamente” il rischio sismico;
  2. gli eventi di cui al processo dell’Aquila sono stati determinati da una errata comunicazione del rischio.

Questi due aspetti sono strettamente interconnessi, anche perché hanno a che vedere entrambi con il concetto di rischio; questo concetto, come è noto, assume connotati variegati e spesso determinati dall’immaginario di chi ne tratta. A riprova del desiderio di fissarne i contorni in modo sempre più personale si può osservare l’apparizione, in volumi recenti e meno recenti, del concetto di “nuova rischiosità del rischio” (nella società dell’irresponsabilità), così come il titolo “oltre il rischio sismico”. Continua a leggere

Verso la Cassazione (Massimiliano Stucchi)

L’udienza del processo “Grandi Rischi” è stata fissata per il 19 novembre p.v.

Agli occhi dei più, il ricorso del Procuratore Generale di L’Aquila, Romolo Como, presentato il 13 marzo 2015, si presenta abbastanza debole, riproponendo in larga parte concetti e argomenti già sconfitti dalla sentenza di appello (Il ricorso verrà analizzato in un prossimo post). Il succo della richiesta del PG è di annullare la parte di sentenza di appello che assolve gli imputati Barberi, Boschi, Selvaggi, Calvi, Eva e Dolce, che nella vicenda avrebbero avuto – secondo lui – lo stesso ruolo di De Bernardinis (e quindi meriterebbero la stessa condanna, sembrerebbe lecito ipotizzare). Il fatto è che per annullare quella parte di sentenza occorrerebbe dimostrare inconsistente tutta la analisi che la sostiene, cosa che al PG – nelle 20 pagine di ricorso – non riesce proprio. Un avvocato di parte civile sostiene che sia comunque già positivo il fatto che il ricorso sia stato ammesso. Continua a leggere

Mancava solo Vauro….(Massimiliano Stucchi)

Alla protesta per la assoluzione, in secondo grado, di sei dei sette condannati in primo grado al “processo Grandi Rischi”, sono seguiti spunti e avvii di riflessione; e anche ragionamenti un po’ meno decisi, rispetto alla sentenza di primo grado, da parte di intellettuali e critici. La riflessione non è stata certo aiutata dalla contemporaneità di altri casi giudiziari (Cucchi, eternit e altri) assai diversi, rispetto ai quali molti non hanno saputo resistere alla tentazione di fare di tutta l’erba un fascio, contro la “malagiustizia”; e anche dalla contemporaneità di altri disastri, più o meno prevedibili.
Si ha anche la sensazione che vi sia una sorta di “magnetizzazione” nascosta, che cerca di orientare le opinioni secondo schieramenti politici, peraltro non propriamente attuali. I colpevolisti più accesi sembrano richiamarsi al PD, forse in contrapposizione – tanto ovvia quanto inutile – all’ex potente Bertolaso, che Berlusconi voleva nominare ministro, e ai suoi scienziati che qualcuno voleva “asserviti”. Continua a leggere

Finale, con lezioni e rapsodia (Massimiliano Stucchi)

Finale. Dunque il processo di Appello si è concluso, con la sentenza che conosciamo. Prima di tutto questa sentenza restituisce agli imputati la dignità di persone che hanno svolto il proprio compito, dopo aver dedicato decine di anni a valutare il rischio e a cercare di convincere stato, regioni, comuni e cittadini della possibilità e dell’importanza di farlo. Per il resto aspettiamo con interesse la motivazione e, come abbiamo sempre detto, rispettiamo il dolore per le vittime; questo rispetto ci ha sempre stimolato a chiederci, ben prima dell’Aquila, se avevamo fatto abbastanza per ridurre il rischio sismico. Rispettiamo anche le opinioni antagoniste: le sentenze di discutono, l’abbiamo sempre sostenuto e lo sosteniamo anche adesso. Invitiamo solo i colpevolisti a fare lo sforzo di collocare al loro posto i tasselli, che in generale vengono proposti e vivisezionati con logica da “moviola”; il loro posto nel tempo, cioè prima che l’accadimento del terremoto abbia favorito tutte le semplificazioni che sono state proposte. Continua a leggere

Verso la sentenza d’appello (M. Stucchi)

Dopo la replica del Procuratore Generale, che ha dichiarato di averla fatta anche per consentire alle parti civili di replicare anch’esse, e dopo quelle delle difese, manca ormai solo la replica di Coppi, difensore di Selvaggi, il 10 novembre mattina. Poi la Camera di Consiglio, “complessa” come l’ha definita la Presidente della Corte, e la Sentenza.
Nelle ultime settimane vi è stato un discreto fermento attorno al Processo di Appello.

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“Mi sarei inventato tutto”. Ehm, mi sa di sì….(M. Stucchi + 8 commenti)

Nelle ultime settimane la grancassa dei colpevolisti ha ripreso a tuonare, forse per cercare di ricordare ai giudici del processo di appello l’infelice frase dell’allora Procuratore Rossini “Speriamo di arrivare ad un risultato conforme a quello che la gente si aspetta”. Non poteva certo mancare il (neo) prof. A. Ciccozzi,

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/27/sentenza-grandi-rischi-sacralita-della-scienza-o-impunita-istituzionale/1174531/

che già aveva risposto in modo quanto meno aggressivo a G. Cavallo su Lettera 43, perchè gli aveva ricordato alcuni momenti del processo evidentemente non graditi. E infatti eccolo che risponde alle obiezioni dei difensori con il consueto stile, associandosi d’ufficio Pubblici Ministeri e addirittura “i miei concittadini”. Continua a leggere

In questi due anni…. (Massimiliano Stucchi)

Dunque, a breve comincerà il processo d’appello.
La Sentenza del 22 ottobre 2012 aveva lasciato incredula una parte dell’opinione pubblica, ed aveva trovato diversi consensi in un’altra parte, che ha compreso anche autorevoli commentatori. Ad esempio il 28 ottobre, sul Corriere, D. Maraini si lanciò in una violenta intemerata a favore della sentenza, che le valse una precisa replica da parte di G.D. Caiazza, presidente del Comitato Radicale per la Giustizia “Piero Calamandrei” (Radicali Italiani) su Radio Radicale (2 novembre 2012): “Cara Maraini, leggi almeno l’imputazione”.
Vale infatti la pena di sottolineare che la maggior parte dei commentatori della prima ora, di entrambi i fronti, aveva una conoscenza minima della sostanza dell’accusa e dei temi dibattuti al processo (certo, uno non può certo seguire tutto, deve affidarsi ai media; e quindi…). Il confronto fra colpevolisti e innocentisti si reggeva ancora su parole d’ordine imprecise, quali “processo alla scienza”, “mancato allarme”, “non aver previsto il terremoto”, “aver rassicurato”, ecc. Continua a leggere

Era facile prevederlo…..(Massimiliano Stucchi)

Era facile prevedere che qualche giornalista disinvolto si sarebbe impadronito della notizia (che poi notizia non è) del presunto avvio della sperimentazione del metodo denominato OEF (Operational Earthquake Forecast, ovvero previsione operativa dei terremoti) per collegarla al processo Grandi Rischi. E’ successo con un articolo di G. Sturloni Continua a leggere

“Science” e l’insostenibile pesantezza dell’attendere (Enzo Boschi)

Nel settembre 2013 la prestigiosa rivista “Science” ha pubblicato una lettera di Enzo Boschi dal titolo “L’Aquila’s Aftershocks Shake Scientists”, che ha destato molto interesse e anche un po’ fastidio (su questo aspetto si veda una nota alla fine del post). Data l’attualità degli argomenti abbiamo rivolto qualche domanda all’autore:

Nel settembre scorso “Science” ha pubblicato una tua lettera, nella quale presenti le tue opinioni sulla vicenda e sul processo. Alla pubblicazione ha fatto seguito un ampio dibattito sul blog Le Scienze di Marco Cattaneo, che di quella lettera ha pubblicato la traduzione italiana

http://cattaneo-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/07/25/le-riflessioni-di-boschi-sul-processo-dellaquila/

Che opinione hai avuto di quel dibattito? Continua a leggere

Il “rassicurazionismo” e la responsabilità dello scienziato: profili giuridico/cognitivi nel processo “Grandi Rischi” (Cataldo Intrieri)

 Cataldo Intrieri è un avvocato penalista in Roma, autore di diversi articoli e di una monografia (L’Euristica Scientifica. Buona e cattiva scienza nel processo penale, Aracne 2012) sul tema del rapporto tra scienza e diritto penale.
Il volume che pubblica gli atti del Convegno 2013 dell’ISICS di Siracusa, dedicato a “indagare il ruolo, il metodo e i punti critici dell’“operazione decisoria”, contiene anche un suo intervento dal titolo “Logica dei numeri e principio di precauzione nell’operazione decisoria. Nuovi paradigmi dopo la sentenza SSUU FRANZESE”, che dedica la parte centrale all’analisi della sentenza “Grandi Rischi”.

 https://www.academia.edu/3891454/La_sentenza_sul_Terremoto_dellAquila_ed_il_principio_di_precauzione_nel_diritto_penale_Convegno_ISISC_2013

L’intervento, scritto per un ambito specialistico, ha incuriosito anche l’ambiente scientifico. Per poter fruire meglio dei contenuti abbiamo chiesto all’autore di illustrarci alcuni punti. Continua a leggere

Il segnale, il rumore e l’approssimazione (arte e scienza della sciatteria) (Massimiliano Stucchi)

Domenica 19 gennaio 2014 A. Massarenti ha segnalato su Sole 24ore il corposo libro (664 pagine) di Nate Silver “Il segnale e il rumore; arte e scienza della previsione” (originale inglese del 2012), che comprende un capitolo sulla previsione dei terremoti – prendendo spunto dal terremoto aquilano del 2009 – e anche un paragrafo sul processo Grandi Rischi.

Secondo Massarenti Nate Silver, “statistico e scrittore”, 36 anni, è famoso per “aver azzeccato, grazie a un algoritmo da lui inventato, serie impressionanti di previsioni riguardo al baseball, il poker e la politica, annunciando con grande anticipo la rielezione di Obama, dopo che nel 2008 aveva previsto correttamente l’esito dell’elezione presidenziale in 49 stati su 50…”. Secondo Time, è uno dei cento uomini più influenti del mondo.
L’ho comprato subito. Continua a leggere

10 domande a una sentenza (Massimiliano Stucchi)

scritto con la collaborazione di alcuni lettori

Circa un anno fa, il 18 gennaio 2013, veniva rilasciato il testo della sentenza del processo “Grandi Rischi”, pronunciata a L’Aquila il 22 ottobre 2012.
Il testo era atteso con molta curiosità, per conoscere le motivazioni di una condanna che, tra le altre cose, aveva visto aumentare la pena rispetto alle richieste del PM e – non ultimo – determinare una somma molto elevata di risarcimento ai parenti delle vittime.
La lettura del testo si rivelò impegnativa, sia per la consistenza (946 pagine), sia per l’organizzazione del medesimo. Lungi da fugare i dubbi e le perplessità della parte che non riteneva giusta la condanna, la lettura non fece che aumentarli. Continua a leggere

Enzo Boschi a “Repubblica” su Marco Paolini

Subito dopo l’uscita su “Repubblica” dell’articolo di Marco Paolini che proponeva un parallelo fra il processo “Vajont” e quello all “Grandi Rischi” (entrambi tenutisi a L’Aquila), Enzo Boschi scrisse una sua replica al giornale che, ovviamente, non la pubblicò……

 

https://t.co/5wvvDTi1uD

L’Aquila, molto più di un’esperienza di vita, una vera sconfitta per la razionalità e la giustizia (Claudio Moroni)

Claudio Moroni

Dei sette condannati non avevo mai avuto il piacere di conoscerne solo tre, se non come figure quasi “mitologiche” sulla scorta dei loro articoli e convegni, degli altri conoscevo nei dettagli l’elevatissima competenza e le qualità umane. Il PM, senza dubbio per deriderli, ha detto che erano i migliori sette uomini di cui disponeva la nostra povera Italia. Continua a leggere

Il rischio, l’educazione, la solitudine: lettera a M. Paolini (Ingrid Hunstad)

Caro Marco Paolini,
ci sono alcuni personaggi, nel panorama italiano, che nel triste degrado culturale in cui si trova l’Italia da molti anni, hanno tenuto alto il morale per la loro lucidità, il loro coraggio nell’affrontare temi difficili, la loro fantasia e bravura. Lei era fra questi.  Oggi mi è difficile conservare questo pensiero.  Quando ho letto le sue pesanti accuse contro di noi, ho fatto fatica a credere che si trattasse dello stesso Marco Paolini a cui avevo scritto il 25  gennaio 2011.  Se è vero che ha studiato a fondo le vicende e i fatti legati alla tragedia del Vajont, è altrettanto vero che lo stesso approfondimento non lo ha dedicato alle vicende legate alla tragedia del terremoto di L’Aquila. Continua a leggere