I guai della (troppa) comunicazione

Renato Fuchs

Il sisma di L’Aquila è stato definito “Il primo terremoto di Internet” (questo il titolo di un interessante studio dello psicologo Massimo Giuliani) ed in effetti, almeno nel nostro Paese, per la prima volta le persone coinvolte nell’evento hanno avuto la possibilità di confrontarsi e di far conoscere le proprie ragioni per mezzo della rete.
Non solo: Internet è divenuta, come ormai in ogni settore, la fonte principale di informazione, di confronto, di scambio di opinioni relativamente al sisma, alla vita nelle tende e negli alberghi, a tutte le vicende seguenti.
Come sempre, il problema del web anche in questo caso è rappresentato – a mio parere – dall’eccesso di informazione e dalla quasi impossibilità di discernere il buono dal cattivo, il vero dal falso, il certo dall’ipotetico.

Ma se cucinare i bucatini all’amatriciana con la prima ricetta trovata sul web può risolversi in un pasto poco appetitoso, parlare di terremoti, della loro prevedibilità, della gestione dell’emergenza, della situazione degli sfollati, del costo degli interventi basandosi su ciò che si legge sui diversi siti, portali, forum e blog può portare a cantonate clamorose o, peggio, a pessima informazione ed a sentenze assurde.
Sia chiaro: il web è una straordinaria opportunità e non di rado ha consentito di far emergere problemi, scorrettezze, malcostume, gestioni allegre, falsità.
Ma la bellezza del web, la facilità e la velocità con cui è possibile pubblicare e reperire informazioni, coincide purtroppo con il suo lato negativo, ossia appunto la difficoltà ad appurare la veridicità ed affidabilità delle informazioni stesse.

Purtroppo ho avuto modo di verificare di persona come, ormai, quasi tutti i giornalisti – anche di testate blasonate – scrivano corposi pezzi ed interi libri stando comodamente seduti nel proprio studio, attingendo a piene mani da Internet e venendo, a loro volta, citati e replicati da altri colleghi o internauti, con uno straordinario – e spesso allucinante e fuorviante – effetto di moltiplicazione e di autogiustificazione.
L’ho verificato, anche, in maniera eclatante proprio occupandomi del Progetto CASE, di cui si è scritto moltissimo: dovendomi occupare del coordinamento delle attività dell’ufficio tecnico che quel lavoro ha gestito, non ho mai (e sottolineo mai) visto un giornalista che sia venuto a parlare con i tecnici, a chiedere informazioni, a toccare con mano ciò che veniva fatto.

Credo sinceramente che la vicenda aquilana abbia rappresentato (e continui a rappresentare) un esempio evidente di come la nostra “società dell’informazione” possa venire fuorviata dalla quantità a scapito della qualità dell’informazione stessa.

A L’Aquila l’emergenza abitativa conseguente al sisma è stata gestita in modo fortemente innovativo rispetto ai terremoti precedenti, realizzando abitazioni confortevoli e durature anziché baracche e roulottes, ma questa è stata presentata come un’operazione voluta e gestita direttamente dall’allora Presidente del Consiglio, attirandosi di conseguenza le critiche di tutti coloro che a lui erano e sono avversi. Ma quell’intervento, invece, è stato voluto dallo Stato – a prescindere dal colore di politici e governanti – per soccorrere quei cittadini che, nel sisma, avevano perso tutto.
Una comunicazione più veritiera non avrebbe eliminato le critiche agli errori che – inevitabilmente – sono stati commessi: ma avrebbe fatto sì che le stesse non fossero generate, nella stragrande maggioranza dei casi, da una contrapposizione politica “ad personam”.
E l’informazione, pervasiva ed invasiva come sopra rappresentato, non ha fatto che amplificare a dismisura le critiche stesse, tramutando un intervento che nel resto del mondo viene preso ad esempio e studiato per poter essere replicato in casi analoghi in un’operazione fosca e losca, gestita da una cricca che rideva e si fregava le mani la notte del terremoto: così non è stato, anzi i controlli frequentissimi da parte delle forze dell’ordine nei cantieri hanno dimostrato l’assenza di infiltrazioni mafiose e di subappalti truccati. Non solo: molte delle opere di urbanizzazione realizzate hanno sanato problematiche preesistenti. Ciò che oggi clamorosamente manca sono gli amministratori, i regolamenti e la manutenzione condominiale, con il risultato che un patrimonio edilizio importante viene lasciato deperire.

Temo, purtroppo, che anche la sentenza contro la Commissione Grandi Rischi abbia, in tutto o in parte, risentito di questo clima: sostenere che scienziati i quali hanno speso la propria esistenza a studiare i terremoti ed i modi per ridurne i rischi abbiano potuto affermare e comunicare che una forte scossa non fosse possibile, magari imbeccati da qualcuno, è cosa talmente enorme e così evidentemente assurda da richiedere la fantasia di Kafka per essere concepita.
Ed invece non solo è capitato ma si è arrivati ad una sentenza di condanna, oltre tutto “uguale per tutti” (sic!), membri della Commissione e semplici partecipanti alla riunione, ma non per tutti, dato che molti altri partecipanti alla stessa riunione non sono stati condannati.

In questo quadro di assurdità, la totale follia è rappresentata dal fatto che, al contrario, nulla si dica del costante e grave stato di pericolo in cui si trovano vaste aree del nostro paese, in cui la probabilità che forti scosse si verifichino in tempi relativamente brevi è elevata e la capacità di resistervi del costruito molto bassa.
Chi – tra cui, guarda caso, proprio i condannati dalla sentenza di primo grado – negli scorsi anni, ha tentato di sollevare questi problemi anche per le zone padane che poi hanno subito il terremoto, non ha ovviamente trovato ascolto, con i risultati che sono ora evidenti.

Ed al prossimo sisma, tragicamente ma inevitabilmente, le perdite saranno ingenti, sia in termini di vite umane che economici.
C’è da chiedersi cosa faccia lo Stato e cosa la magistratura. La risposta, purtroppo, è semplice: nulla o quasi.

Quasi, già: perché in effetti qualcosa inizia timidamente a muoversi. Dopo gli incentivi per cambiare l’auto (e aiutare la Fiat), per le energie alternative (ed ora le bollette sono alle stelle), per cambiare i mobili (i mobili!!!) ora le detrazioni fiscali del 65% sono possibili, nelle zone a maggior pericolosità, anche sugli interventi per l’adeguamento sismico degli edifici. Ma solo per interventi volontari e, per ora, fino alla fine del 2013.

Ovviamente questa non dovrebbe essere una norma temporanea ma perpetua, dato che edifici migliori subiscono meno danni e provocano meno morti, quindi minori costi per lo Stato: possiamo sperare che lo diventi, magari obbligando gli enti pubblici ad adeguare gli edifici strategici come scuole ed ospedali.

Altrimenti, come finora è accaduto, ci si attiverà, naturalmente e rumorosamente, dopo. Piangendo, scrivendo, accusando, condannando. E nulla facendo per evitare che, in futuro, le tragedie si ripetano.

Renato Fuchs

3 thoughts on “I guai della (troppa) comunicazione

  1. Dunque: Bertolaso riprende la Stati per il comunicato in cui si diceva che non erano previste altre scosse di alcuna intensità, le dice che certe cose non si dicono nemmeno sotto tortura ecc. Per ovviare alla confusione ingenerata da questa comunicazione e dagli allarmi infondati di opposto segno di Giuliani, indice la riunione della Commissione Grandi Rischi, al termine della quale il vice capo della Protezione Civile afferma che… non ci si aspetta una crescita di magnitudo! In sostanza, il contenuto della comunicazione finale non differisce da quello iniziale che si voleva correggere.
    La Protezione Civile ha gestito malissimo, in quell’occasione, la comunicazione, quasi si trattasse di dilettanti frettolosi, superficiali e distratti.

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