A proposito di terremoti “di origine antropica”: la situazione in Italia (conversazione con Enrico Priolo)

Di seguito viene pubblicata la seconda parte del post A proposito di terremoti “di origine antropica”: aspetti generali pubblicato in precedenza (https://terremotiegrandirischi.com/2023/02/27/a-proposito-di-terremoti-di-origine-antropica-aspetti-generali-conversazione-con-enrico-priolo/)
Questo secondo post è dedicato alla situazione italiana.

Schermata 2023-02-27 alle 09.46.03Raffigurazione delle differenti tipologie di attività che possono indurre o innescare sismicità. In un articolo pubblicato dalla rivista Reviews of Geophysics nel 2017, Grigoli et al. fanno il punto sulla sismicità indotta e analizzano le possibili strategie di controllo delle attività e mitigazione della sismicità che si stanno sviluppando. Figura tratta da Grigoli and Wiemer (2017).
Tra le attività rappresentate nella figura, in Italia non sono svolte: la produzione di olio o gas dalle rocce di scisto, con la meglio nota tecnica del fracking; la produzione di energia geotermica da rocce anidre con fratturazioni stimolate; il confinamento del CO2 nel sottosuolo, anche se per quest’ultima è prevista la costruzione di un impianto a Ravenna nel prossimo futuro.

Quali sono le tipologie di terremoti di origine antropica riscontrate nel nostro paese?
Vorrei iniziare con una premessa. In Italia, l’argomento della sismicità indotta è stato trascurato per lunghissimo tempo. In un articolo del 2013 Mucciarelli, riprendendo delle considerazioni fatte da Caloi nel 1970, riconduceva questo disinteresse alla (micro-)sismicità registrata prima del distacco della frana che portò al disastro del Vajont. Non era il primo caso di sismicità indotta in Italia, ma “ La possibile correlazione al Vajont tra sismicità indotta ed il seguente distacco franoso creava un precedente di cui alcuni avrebbero preferito tacere e dimenticare al più presto”. Mentre l’articolo andava in pubblicazione avvenne il terremoto dell’Emilia, che dette impulso a nuovi studi e iniziative.
Una ricognizione della sismicità indotta in Italia fu effettuata nel 2014 da un tavolo di lavoro coordinato da ISPRA (ISPRA, 2014), e fu successivamente completata da alcune pubblicazioni scientifiche (es: Braun et al., 2018). Il quadro che ne scaturisce evidenzia poco più di una quindicina di casi/siti interessati da attività per i quali si è verificata sismicità potenzialmente indotta. Tuttavia, per circa metà di questi casi il fatto che la sismicità sia stata causata dalle attività umane svolte è solo una ipotesi.
Ci sono 6 casi di sismicità associata ai bacini idrici, tutti di magnitudo piuttosto ridotta (M<3), eccetto uno per il bacino di Campotosto in Abruzzo, più forte ma solo ipotizzato. Altri 6 casi sono quelli associati alla geotermia, la maggior parte localizzati nell’area del Monte Amiata e Larderello e la cui causa umana è ancora solo ipotizzata (tra questi spicca l’evento di magnitudo M4.9 del Monte Amiata del 2000).
Sono poi censiti tre eventi legati alle attività di produzione di idrocarburi, di cui due sono ipotizzati associati alla estrazione di olio (Caviaga (LO) 1951 ed Emilia 2012) e uno è associato alla reintroduzione di fluidi di produzione in profondità (Montemurro 2006). Tornerò in seguito su questi tre eventi.
Un altro evento è infine associato, ma solo come ipotesi, alle attività minerarie svolte a Raibl/Predil (Friuli – Venezia Giulia); per questo evento, avvenuto nel 1965, in una area di rilevante sismicità naturale, è stata stimata solo l’intensità macrosismica, ovvero gli effetti generati, che è stata valuta pari a V MCS (appena sotto la soglia del danno).
Come già accennato, i casi probabilmente più noti in Italia per i quali venne attribuita inizialmente una origine umana sono quelli dei terremoti dell’Emilia del 2012 (con Mmax 5.9) e degli eventi avvenuti a Caviaga nel 1951 (Mmax 5.4). Entrambi gli eventi furono associati all’attività di produzione di idrocarburi, rispettivamente il primo per l’estrazione di olio e reiniezione delle acque di strato residue all’interno del giacimento presso la concessione di Mirandola-Cavone, e il secondo per l’estrazione di gas presso l’omonimo deposito naturale. In entrambi i casi, tuttavia, studi successivi hanno mostrato come essi siano plausibilmente legati a cause naturali, cioè tettoniche, e non innescati dalle attività svolte in loco. Come già detto, la scarsità di dati osservazionali pone grandi difficoltà nell’interpretazione univoca dei fenomeni potenzialmente ritenuti indotti, e questo è estremamente grave se pensiamo che questa situazione era vera pochi anni fa e non è ancora risolta dappertutto.

Restando nell’ambito della produzione di idrocarburi, i campi della Val D’Agri rappresentano una delle aree cui è rivolta la maggiore attenzione in questo periodo, sia per la vastità della zona coinvolta (i depositi della Val d’Agri, per quanto considerati non enormi a livello mondiale, sono il più grosso giacimento di olio on-shore europeo) sia perché, con lo scopo di ridurre l’impatto ambientale del trasporto a distanza delle acque residue (le cosiddette acque di strato) per il loro smaltimento, era stato avviato un progetto di sperimentazione per iniettare queste acque in un pozzo profondo all’interno di strati posti ben al di sotto del giacimento. Quest’attività provocò un terremoto di poco inferiore a magnitudo 2 nel 2014 che destò molta preoccupazione, dato che la Val d’Agri si colloca in una zona considerata tra le più pericolose d’Italia dal punto di vista sismico e nel 1857 fu teatro di uno dei terremoti più forti mai avvenuti in Italia (magnitudo stimata 7.1) e per il quale il sistema di faglie causativo è ancora in discussione. Sia a seguito di questo evento sia per la contiguità del bacino artificiale del Pertusillo, si è proceduto a un notevole irrobustimento delle reti locali di monitoraggio che oggi producono dati molto dettagliati.

Tornando ai casi di sismicità indotta in Italia, si noti anche che per la maggior parte dei casi, la sismicità associata ai bacini idrici è ben documentata e quindi non vi sono dubbi circa la sua natura. Questo fatto non è casuale, in quanto le dighe sono da sempre soggette a monitoraggio accurato in Italia, per questioni di sicurezza. Per contro, stupisce la scarsità di dati —per lo meno, dati pubblicamente disponibili— relativamente alle attività legate alla produzione di idrocarburi. È difficile stabilire se queste attività siano effettivamente meno “pericolose” o se il supposto minore impatto derivi da una mancanza di informazioni frutto di scelte deliberate da parte delle compagnie del settore. L’esperienza del terremoto dell’Emilia del 2012 mostra, a mio parere, che l’assenza o la inadeguatezza dei monitoraggi sia stata controproducente per tutto il paese e, probabilmente, anche per le compagnie stesse.
Riguardo agli idrocarburi, ricordo anche che l’Italia ha circa una quindicina di stoccaggi sotterranei di gas ed è il sesto/settimo paese al mondo per capacità complessiva di stoccaggio. Per questi stoccaggi non ci sono segnalazioni di sismicità indotta correlata all’attività svolta. Sottolineo però che solo alcuni di questi stoccaggi sono dotati da alcuni anni di monitoraggi sismici e della deformazione molto efficienti (ad esempio i siti di Collalto, Cornegliano Laudense e Minerbio) e per questi l’assenza di sismicità è un fatto scientificamente comprovato (es. Romano et al., 2019), che dimostra che se l’attività è ben progettata e ben gestita può non causare sismicità pericolosa per l’uomo. Ricordo anche che la maggior parte delle aree dove si effettuano queste attività è comunque soggetta a terremoti naturali che prima o poi avverranno indipendentemente dalle attività, dunque la riduzione del rischio sismico resta una priorità per vivere in sicurezza.
Infine, vale la pena sottolineare, anche se ormai dovrebbe essere piuttosto noto, che in Italia non viene praticato il “fracking”: ciò perché, al di là di scelte politiche circa l’opportunità o meno di praticare questa tecnica, la risorsa primaria, cioè gli scisti che contengono gas, non esiste in Italia.

E per quanto riguarda la recente vicenda dei terremoti emiliani del 2012?
A mio avviso, l’aspetto importante di questo caso, oltre a quello umano e dei danni economici, è rappresentato dall’insieme delle iniziative messe in atto dal governo nazionale e dall’amministrazione regionale per stabilire se gli eventi disastrosi fossero stati causati, o meno, da alcune attività umane svolte vicino all’area colpita. Il terremoto ebbe origine in strutture di faglie attive, già note nella letteratura scientifica. Dato che praticamente tutta l’Italia è un paese esposto ai terremoti, già solo l’ipotesi di una possibile attribuzione di causa antropica al terremoto, comportava una rivalutazione della potenziale pericolosità di tutte le attività simili esistenti o per le quali era in corso la concessione di nuove licenze. Per almeno due anni furono bloccate tutte le istanze di nuovi permessi di ricerca nel sottosuolo.
Le perplessità e la difficoltà a giungere a conclusioni ultimative era dovuta alla scarsità di dati osservazionali adeguati. La scarsità di monitoraggi specifici e di informazioni pubbliche circa le attività svolte nel sottosuolo favorirono la diffusione di una moltitudine di affermazioni false o distorte, creando in Italia un ambiente assolutamente ostile a una valutazione serena dei fatti e influenzando l’opinione pubblica e della classe politica riguardo alle azioni future da intraprendere in tema di politica energetica. Oggi assistiamo a una precipitosa inversione di rotta, che temo possa portare ad allentare le procedure di controllo e monitoraggio, anche con detrimento per gli avanzamenti in termini di conoscenza scientifica.

FOTO DEI LETTORI: SISMA EMILIA, SEI VITTIME
I danni del terremoto dell’Emilia 2012 sul campanile di Finale Emilia (LaPresse/Gianfilippo Oggioni)

Quali sono state le iniziative adottate in Italia a seguito del terremoto dell’Emilia e qual è oggi la posizione dell’Italia relativamente al problema della sismicità indotta sia a livello politico sia riguardo all’opinione pubblica?
Dopo il terremoto dell’Emilia, il Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE), allora competente per le attività svolte nel sottosuolo, istituisce la commissione scientifica internazionale ICHESE con il compito di stabilire se il terremoto possa essere attribuito a tre attività svolte nell’area circostante, e cioè la produzione di olio nella concessione di Mirandola-Cavone, l’estrazione di acqua calda a Casaglia per il teleriscaldamento della zona ovest di Ferrara, e le attività di ricerca presso la concessione di Rivara per un futuro stoccaggio di gas, comprendenti perforazioni profonde. La Commissione ICHESE rilascia il proprio rapporto a inizio 2014 (ICHESE, 2014), non escludendo che le attività svolte a Mirandola-Cavone possano avere contribuito a generare il terremoto e insistendo fortemente sulla necessità di dotare le attività svolte nel sottosuolo di monitoraggi di dettaglio per la sismicità, le deformazioni superficiali e le pressioni di poro nel sottosuolo. A seguito dei risultati della Commissione ICHESE viene bloccato il rilascio di nuove concessioni di “coltivazione” e il MiSE istituisce un gruppo di lavoro con lo scopo di definire delle linee guida per l’attuazione di monitoraggi dedicati per le attività svolte nel sottosuolo riguardanti l’estrazione di idrocarburi, lo stoccaggio di gas e la reintroduzione di fluidi in profondità. Le risultanze dell’attività di questo gruppo di lavoro vengono pubblicato in un rapporto a fine 2014 (MISE, 2014), e seguono la pubblicazione del rapporto di un altro gruppo scientifico, coordinato da ISPRA (2014), che fa lo stato dell’arte delle conoscenze sulla sismicità indotta in Italia. A seguito di queste iniziative, viene avviata una sperimentazione delle Linee Guida presso la concessione di Mirandola-Cavone di concerto con la Regione Emilia Romagna, che si concluderà alcuni anni dopo. Nel 2016 il MiSE rilascia un ulteriore documento che integra le Linee Guida anche per le attività geotermiche a media e alta entalpia (MISE, 2016).
Ritengo che l’attività del gruppo di lavoro che ha redatto gli Indirizzi e Linee Guida sia stato molto importante perché si sono cercate di definire le migliori modalità e pratiche di monitoraggio e di eventuale intervento sulle attività sulla base delle conoscenze scientifiche allora disponibili. Mancando in Italia una solida esperienza in questo settore (o, se vogliamo, appartenendo l’esperienza diretta solo alle compagnie private che gestiscono l’attività in proprio) si era prevista una fase di sperimentazione successiva. Per alcune (poche) attività avviate successivamente sono stati realizzati dei monitoraggi in linea con i suggerimenti delle Linee Guida (una prima riflessione sull’esperienza di applicazione delle Linee Guida è stata pubblicata da Braun et al, 2020), ma siamo ancora distanti dall’avere una modalità ben strutturata di condivisione e accesso anche pubblico ai dati rilevati, sia per quanto riguarda i monitoraggi sia per le attività. Questo è ancor più vero per le concessioni già esistenti. Direi quindi che c’è molto da fare in tal senso: da una verifica ex-post delle Linee Guida e un eventuale loro aggiornamento, alla verifica dello stato dei monitoraggi in essere per le varie attività esistenti, alla realizzazione di un punto di riferimento unico, ben strutturato e che favorisca l’accesso e l’uso, anche da parte del pubblico, di tutti i dati e le informazioni raccolti.
Certamente i cambi di Governo e delle competenze assegnate ai Ministeri nel corso del tempo non agevolano questa evoluzione. E credo anche che le compagnie vedano nella trasparenza più un rischio che un valore per le loro attività, anche se ho notato una progressiva, seppur lenta, modifica nell’atteggiamento. Purtroppo, questi vuoti lasciano campo libero alle interpretazioni di parte avversa e alle ipotesi più varie, spesso prive di fondamento scientifico.
Il panorama delle difficoltà connesse alla gestione delle attività in atto nel sottosuolo non riguarda solo l’Italia, ma genericamente tutti i paesi, seppur con alcune rilevanti differenze. Ci sono alcuni punti chiave comuni a tutti che devono assolutamente essere affrontati e risolti meglio, quali: l’esercizio del controllo sulle attività svolte (qui mi riferisco nello specifico all’uso dei monitoraggi come quelli suggeriti dall’ICHESE) da parte di enti indipendenti rispetto al concessionario e legati all’interesse pubblico; la diffusione di  informazioni complete in modo trasparente e autorevole; e di conciliare le necessità energetiche e di risorse di un paese con gli interessi delle compagnie private e con i diritti delle popolazioni residenti sia in termini di serenità che di utilizzo del territorio.

Come noto, capita spesso che i terremoti che interessano la fascia costiera marchigiana vengano messi in relazione alle attività di ricerca e di estrazione di idrocarburi. Ricordiamo il caso della sequenza sismica dell’anconetano nel 1972 e anche dei recenti terremoti al largo di Fano. Che cosa si può dire al riguardo?
Tutta la fascia a Est degli Appennini è ricca di risorse di idrocarburi. Molte infrastrutture di estrazione/produzione si concentrano lungo la costa a partire dall’area al confine tra Veneto e Romagna fino all’Abruzzo. Nell’area marchigiana, molte installazioni si trovano off-shore nella zona prospicente Pesaro-Ancona approssimativamente dai 20 ai 60 km dalla costa. Un’altra concentrazione si trova lungo la costa a sud di Ancona, nell’area di Civitanova Marche e Porto S. Elpidio.
D’altra parte, è ben noto che la fascia costiera marchigiana è in grado di rilasciare terremoti moderati (cioè fino a circa M6) sia lungo la costa sia off-shore. La localizzazione fornita dall’INGV colloca i terremoti avvenuti a fine 2022 all’interno della fascia dove si trovano le concessioni di estrazione di idrocarburi, tuttavia bisogna dire che, dato che le stazioni usate per localizzare si trovano per la maggior parte dal medesimo lato (quello costiero) e distano almeno 25 km dall’evento, la localizzazione non può essere ben vincolata. A maggior ragione, mancando stazioni al di sopra dell’evento, anche la profondità stimata in 5 km è mal vincolata. Pertanto non è possibile determinare con sufficiente accuratezza quanto i terremoti recenti siano vicini ai giacimenti di estrazione. Il meccanismo focale stimato è totalmente in linea con lo stile compressivo già riconosciuto in passato per eventi occorsi in quell’area e attribuito a strutture di sovrascorrimento che sono effettivamente presenti. Non è stata rilevata alcuna sismicità nei giorni precedenti.
Non ho altre informazioni riguardo alle attività in corso, e, in assenza di situazioni eclatanti di cui non vi è notizia, penso che l’evento si inquadri coerentemente nella sismicità naturale che caratterizza l’area.

Come possiamo concludere queste riflessioni?
Spero che si sia compreso perché sia così importante rilevare la microsismicità e altre grandezze fisiche, in sostanza disporre di monitoraggi efficaci, nelle zone dove vengono svolte le attività nel sottosuolo. Avere una rete di monitoraggio che permette di riconoscere i microsismi (per intenderci fino a magnitudo compresa tra 0 e 1, ma anche meno se necessario) consente di vedere da subito la fenomenologia in atto e di capire se il sistema complessivo si evolve o è stabile. Inoltre il rapporto tra il numero di terremoti piccoli e più grandi è riconosciuto come parametro che può aiutare a discriminare la sismicità naturale da quella indotta. È su questo gioco “di anticipo” che si sviluppano oggi le linee di ricerca scientifica per cercare di prevenire dinamiche che possano sfuggire dal controllo (cfr. ad esempio Grigoli et al., 2017).
A differenza dei terremoti naturali, quando si parla di sismicità indotta vi è sempre la necessità di dovere attribuire o meno gli eventi a delle attività svolte. Purtroppo, eccetto che per alcuni casi eclatanti, l’interpretazione è sempre difficile, e ciò è tanto più vero se le attività sono svolte in zone sismiche, come in pratica è tutt’Italia. Non è sufficiente né agevole stabilire una correlazione tra un episodio di sismicità e le attività svolte, a meno di situazioni che si ripetono regolarmente, come ad esempio la microsismicità legata alle fluttuazioni dei bacini idrici. La ricchezza e la qualità dei dati di monitoraggio è una base fondamentale e imprescindibile per poter effettuare interpretazioni che abbiano un minimo di solidità. Non sono completamente convinto che oggi si stia procedendo con la necessaria determinazione in questa direzione.
Vorrei insistere ancora su due concetti che devono essere assolutamente rinforzati, quali l’indipendenza degli enti che acquisiscono e interpretano i dati osservativi, e la trasparenza e il libero accesso alle informazioni e ai dati sia per le attività svolte sia per i monitoraggi effettuati. Solo in questo modo si potrà ridurre la diffusione di una moltitudine di affermazioni false o distorte e favorire, in Italia e altrove, un clima adatto a una valutazione serena dei fatti e delle azioni da intraprendere in tema di politica energetica per il futuro.
Infine, è evidente nel periodo che stiamo vivendo quanto sia importante per un paese avanzato, come l’Italia vorrebbe essere, poter disporre di energia e poter svolgere attività che portino occupazione e progresso. Tutto ciò ha un costo, anche in termini di rischi e il concetto di rischio zero non è sostenibile né praticabile, neanche a livello personale. Se vogliamo dare spazio al progresso dobbiamo investire parallelamente in controllo, sicurezza e trasparenza, ma non come mera pratica burocratica. Un altro aspetto collegato a questa considerazione è quello dell’utilizzo delle “royalties”, cioè degli indennizzi, dati dalle compagnie alle amministrazioni dei territori dove le attività si svolgono. Penso in tal senso che, dato che una delle principali argomentazioni di opposizione da parte dei residenti sia quella relativa ai terremoti, sarebbe opportuno che molti di questi soldi fossero investiti per la riduzione del rischio sismico a livello locale anziché per altre iniziative che magari sono ritenute più remunerative per acquisire consenso nell’immediato.
Qualsiasi tipo di produzione di energia ha effetti collaterali e capire su quali attività investire e come queste debbano essere gestite al meglio è frutto di scelte politiche che in democrazia dovrebbero essere condivise. Per esempio, si pensa (e si spera) che molta dell’energia del futuro potrà venire dall’idrogeno. Si tenga però presente che l’idrogeno dovrà essere contenuto in qualche posto, e che, per le grandi quantità che saranno necessarie, lo stoccaggio sotterraneo rappresenterà l’opzione più favorevole. E qui si riaprono le danze …

Riferimenti
Braun T., Cesca S., Kühn D., Martirosian-Janssen A., Dahm T. (2018).  Anthropogenic seismicity in Italy and its relation to tectonics: State of the art and perspectives. Anthropocene, 21, 80–94; https://doi.org/10.1016/j.ancene.2018.02.001
Braun T, Danesi S., Morelli A. (2020). Application of monitoring guidelines to induced seismicity in Italy. J. Seismol., 24,  1015–1028; https://doi.org/10.1007/s10950-019-09901-7
Caloi P. (1970). Come la natura reagisce all’intervento dell’uomo – Responsabilità di chi provoca e di chi intrepreta tali reazioni, Annali di Geofisica, XXII, 247-282.
Grigoli, F., Cesca, S., Priolo, E., Rinaldi, A.P., Clinton, J.F., Stabile, T.A., Dost, B., Garcia Fernandez, M., Wiemer, S., and Dahm, T. (2017). Current challenges in monitoring, discrimination, and management of induced industrial activities: a European Perspective, Rev. Geophys., 55, https://doi:10.1002/2016RG000542
Grigoli, F., and Wiemer, S. (2017), The challenges posed by induced seismicity, Eos, 98, https://doi.org/10.1029/2018EO074869. Published on 09 June 2017.
ICHESE (2014). International Commission on Hydrocarbon Exploration and Seismicity in the Emilia Region – Report on the hydrocarbon exploration and seismicity in Emilia region, February 2014, http://geo.regione.emilia-romagna.it/gstatico/documenti/ICHESE/ICHESE_Report.pdf
ISPRA (2014) Rapporto sullo stato delle conoscenze riguardo alle possibili relazioni tra attività̀ antropiche e sismicità indotta/innescata in Italia. Tavolo di Lavoro ai sensi della Nota ISPRA Prot. 0045349 del 12 novembre 2013, 71 pp.
MISE (2014). Indirizzi e linee guida per il monitoraggio della sismicità, delle deformazioni del suolo e delle pressioni di poro nell’ambito delle attività antropiche. https://unmig.mise.gov.it/unmig/agenda/upload/85_238.pdf
MISE (2016). Linee guida per l’utilizzazione della risorsa geotermica a media e alta entalpia. https://unmig.mite.gov.it/risorse-geotermiche/linee-guida-per-lutilizzazione-della-risorsa-geotermica-a-media-e-alta-entalpia/
Mucciarelli M. (2013). Induced Seismicity and Related Risk in Italy. Ingegneria Sismica, XXX (1-2), 118-125.
Romano M. A., Peruzza L., Garbin M., Priolo E., and Picotti V. (2019). Microseismic Portrait of the Montello Thrust (Southeastern Alps, Italy) from a Dense High-Quality Seismic Network. Seismol. Res. Lett., 90(4), 1502-1517; https://doi:10.1785/0220180387

A proposito di terremoti “di origine antropica”: aspetti generali (conversazione con Enrico Priolo)

Premessa. Attorno ai terremoti chiamati “di origine antropica” vi è molta confusione, generata soprattutto dai media ma anche, forse inconsapevolmente, da alcuni addetti ai lavori. L’immaginario più diffuso vorrebbe che questi terremoti siano una categoria completamente a parte rispetto ai terremoti di origine naturale; in definitiva che senza l’intervento dell’uomo non verrebbero generati. Le cose non stanno esattamente così; non va trascurato, tra le altre cose, il fatto che l’energia rilasciata da un terremoto deve essersi accumulata in qualche modo: occorre dunque capire se le attività umane sono del tutto responsabili di questo accumulo, e ciò pone ulteriori difficoltà, anche considerando le possibili conseguenze in termini di eventuali responsabilità.
Per cercare di fare un po’ di chiarezza abbiamo rivolto qualche domanda a Enrico Priolo. Poiché l’argomento è complesso e necessita di approfondimento, questa conversazione è divisa in due parti: la prima è dedicata agli aspetti generali, la seconda alla situazione italiana.

Enrico Priolo è stato per quasi quarant’anni ricercatore presso l’OGS, e direttore del Centro di Ricerche Sismologiche dell’OGS dal 2003 al 2008. È stato responsabile delle reti di monitoraggio delle attività di stoccaggio sotterraneo di gas a Collalto in Veneto e Cornegliano Laudense in Pianura Padana. Inoltre, è stato membro del gruppo di esperti nominato dal Ministero dello Sviluppo Economico per la stesura degli Indirizzi e Linee Guida per il monitoraggio delle attività svolte nel sottosuolo, ed è membro dell’Innovation Advisory Commettee del Thematic Core Service Anthropogenic Hazard del consorzio EPOS.

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Campi con torri di perforazione per l’estrazione del gas di scisto in Wyoming (USA). L’immissione di acque/fluidi di scarto di produzione derivanti dalla produzione di gas di scisto ma anche di altre attività industriali può innescare eventi sismici nel sottosuolo. Credito: Bruce Gordon, EcoFlight, CC BY 2.0

Puoi precisare ai lettori quali sono le tipologie di attività antropiche che possono contribuire a generare terremoti cui la ricerca scientifica fa riferimento?
La maggior parte delle attività che può generare terremoti è legata allo sfruttamento di risorse naturali, in particolar modo alla produzione di energia, argomento molto attuale. Storicamente, le miniere (di materiali lapidei, di carbone, e di diamanti) sono state i primi ambienti dove l’uomo ha generato terremoti. I terremoti si manifestano in forma molto simile a scoppi e sono dovuti al cedimento improvviso della roccia che, sottoposta naturalmente a sforzi tettonici e a compressione per il carico del materiale sovrastante, si riequilibra quando viene rimossa una porzione di materiale.
Poi, anche in ordine cronologico, ci sono i bacini idrici artificiali, che sono spesso identificati attraverso le dighe che intercettano e accumulano l’acqua lungo il corso dei fiumi. I meccanismi con cui i bacini idrici possono produrre terremoti sono principalmente due: a) l’effetto gravitativo, cioè il peso della massa d’acqua accumulata che agisce sulla roccia sottostante, e in particolare sulle faglie (discontinuità o frattura della roccia) eventualmente esistenti nel sottosuolo; b) l’effetto della pressione di poro, ovvero quello legato alla imbibizione e diffusione dell’acqua in profondità nel sottosuolo. Nel primo caso viene modificato lo stato delle forze statiche; il bacino idrico col suo carico può destabilizzare (ma anche stabilizzare) una faglia nel sottosuolo, a seconda delle caratteristiche geometriche della faglia e del campo di stress tettonico esistente. Nel secondo caso, l’acqua si infiltra e si muove all’interno di tutti i vuoti esistenti e, nel caso di faglie esistenti e già sottoposte naturalmente a carichi tettonici, trasmette tutte le variazioni di pressione, agendo talvolta come una sorta di lubrificante tra le superfici della faglia stessa; in sostanza agevolando, ovvero anticipando, la rottura di una faglia già prossima alla rottura. Per i bacini idrici artificiali, la fase più pericolosa per quanto riguarda la sismicità indotta è quella dei primi anni di riempimento e messa in esercizio. Successivamente, quando il sistema si stabilizza, si manifesta una micro-sismicità prevalentemente legata alle fluttuazioni del livello d’acqua dell’invaso.

Un altro tipo di attività è quello legato alla produzione di idrocarburi. L’estrazione di idrocarburi (olio o gas) svuota i depositi in profondità e crea uno stato di tensione nella crosta terrestre circostante che può dare origine a terremoti. Nei giacimenti di idrocarburi (spesso confinati, cioè in cui il deposito è sigillato da barriere di roccia o acqua che impediscono la comunicazione della pressione con l’esterno) si usa re-iniettare le acque reflue di produzione, le cosiddette acque di strato; esse in parte compensano la perdita di pressione interna e non creano problemi dal punto di vista della sismicità. Tuttavia, l’estrazione di olio o gas genera molti “scarti”, che devono essere smaltiti; nei decenni recenti si è affermata la pratica di re-iniettare questi fluidi esternamente al giacimento in pozzi profondi, all’interno di strati che stanno al di sotto dei livelli produttivi. C’è dunque una maggiore possibilità che i fluidi iniettati intercettino zone sismogenetiche, in quanto sottoposte a stress tettonico. E ciò è tanto più vero quanto più i volumi dei fluidi iniettati aumentano e si diffondono all’interno degli strati profondi.
Questa pratica di re-iniezione delle acque reflue in profondità è diventata una prassi in particolari tipi di giacimenti che sfruttano la presenza di microscopiche frazioni di idrocarburi dispersi nella roccia madre, come i giacimenti in rocce di scisto (oil- e gas-shales), che in Italia, peraltro, non esistono. Con la tecnica chiamata fracking (idro-fratturazione delle rocce ad alta pressione) vengono estratti idrocarburi a fronte della produzione di enormi quantità di scarti liquidi. Il fracking, di per sé, produce solo microsismi —con mini-cariche esplosive si frattura la roccia per liberare gli idrocarburi in essa contenuti— che hanno impatto per lo più trascurabile per l’uomo. E’ la reintroduzione dei fluidi in profondità, invece, la causa dell’enorme aumento dei terremoti indotti a livello mondiale e, in conseguenza, delle preoccupazioni e dell’ostilità da parte della popolazione.

Ci sono poi gli stoccaggi sotterranei di gas per i quali, nel mondo, sono usate diverse modalità. Essi possono provocare terremoti, ma bisogna anche dire che tra le varie modalità di stoccaggio sotterraneo ve ne sono alcune ritenute particolarmente sicure anche riguardo la sismicità indotta, come quella di usare depositi di gas naturali esauriti (cioè dove il gas si è creato naturalmente e già sfruttati per la produzione). Questo tipo di stoccaggi è l’unico utilizzato in Italia, e naturalmente è fondamentale che essi siano ben gestiti e controllati. Altra attività attuale per la produzione di energia in modo sostenibile è la geotermìa. Anche in questo caso vi sono svariate modalità di recupero del calore dal sottosuolo, e non tutte sono “pulite”. I maggiori problemi in termini di sismicità indotta si generano in due situazioni. La prima è quando il sistema di circolazione di acque calde profonde viene alimentato con ulteriore (molta) acqua a temperatura più bassa, per “estrarre” il calore residuo delle rocce. La seconda è la cosiddetta stimolazione di sistemi anidri (ovvero rocce prive di acqua) ad elevata temperatura, tecnica con cui vengono dapprima generate fratturazioni artificiali per aumentare la permeabilità della roccia anidra e successivamente viene iniettata acqua per estrarre il calore. Basta pensare a cosa succede se si riempie di acqua fredda un bicchiere rovente appena uscito dalla lavastoviglie, per capire cosa succede. C’è una forte sperimentazione di queste tecniche perché si ritiene che la risorsa geotermica possa essere una delle soluzioni per il futuro per generare energia in modo sufficientemente pulito e sostenibile. Spesso l’attività di sfruttamento geotermico si svolge in prossimità di grandi città, perché è lì che c’è il massimo bisogno di energia, e sfortunatamente ci sono stati alcuni casi importanti di terremoti a seguito di stimolazioni geotermiche avvenuti vicino a grandi centri (es. Basilea nel 2006 e Pohang in Corea nel 2017). Tuttavia vi sono altri casi in cui ciò non è successo e la produzione di energia procede in modo regolare (es. Helsinki).
Concludo questa carrellata, per completezza, con le altre attività umane, talvolta meno note,che possono generare sismicità e non sono legate allo sfruttamento di georisorse. La realizzazione di infrastrutture (gallerie, tunnel sottomarini); la costruzione di edifici, che esercitano pressioni molto localizzate (ricordiamo il caso del grattacielo di Taipei a Taiwan, che si ritiene abbia innescato un terremoto M3.8 nel 2004). Infine, impianti industriali (es. cementifici) e mezzi di trasporto (treni e veicoli pesanti) non generano terremoti in senso stretto, ma producono vibrazioni sismiche che possono avere un certo impatto sull’edificato e causare gran disturbo alla popolazione.

Da quanto detto sembra che i terremoti di origine antropica si possano diversificare a seconda delle attività umane. Se ciò è vero, quali sono le principali tipologie di terremoti di questa origine?

Volendo distinguere le tipologie di terremoti che l’uomo può generare ci dovremmo riferire alle diverse tipologie di sorgenti, perché il campo sismico propagato risponde alla medesima fisica per tutte le sorgenti. Questa distinzione ha interesse soprattutto scientifico, ma relativamente scarsa rilevanza per quanto riguarda la percezione da parte della popolazione e i danni potenzialmente causati. Riconoscere e studiare le modalità con cui la sismicità indotta si produce è però estremamente importante dal punto di vista scientifico, perché questo è l’unico modo che possiamo usare per sviluppare criteri e metodologie di gestione delle attività attraverso le quali si possa contenere, se non proprio controllare, la sismicità generata entro livelli accettabili.
Un concetto importante per comprendere meglio come si generano molti terremoti indotti è quello di stato di sforzo critico in cui si trova la crosta terrestre, che, sottoposta a enormi ma lenti movimenti tettonici, accumula al suo interno stress (in italiano, sforzo) meccanico. Questo accumulo di stress è molto difficile da quantificare, e quindi in generale non siamo in grado di sapere se le rocce in profondità siano in uno stato prossimo alla rottura (appunto, stato critico), tale che basti una minima perturbazione dello stato di sforzo per anticipare (ma, talvolta, anche ritardare) il rilascio del terremoto che comunque si starebbe preparando. Va detto che queste perturbazioni del campo di stress sono prodotte anche da numerose cause naturali, come ad esempio altri terremoti, le precipitazioni piovose, lo spessore del manto dei ghiacci, etc.
Ritornando alla domanda, si riconoscono due tipologie principali di terremoti di origine antropica, rispettivamente quelli “indotti” in senso stretto e quelli “attivati” o “innescati” (dall’inglese “triggered”). Si parla di terremoti indotti, in senso stretto, quando le attività antropiche sono responsabili della gran parte delle variazioni del campo di stress che genera la sismicità. In un terremoto indotto, la sorgente rilascia l’energia che è stata accumulata a seguito delle attività svolte. Si usa invece il termine di terremoti innescati per quegli eventi che sono generati da una perturbazione ridotta rispetto allo stato di sforzo in cui la roccia (prossima allo stress critico) si trova già; questa perturbazione può essere o un incremento dello stress lungo direzioni che favoriscono la rottura o una riduzione della forza d’attrito all’interno delle faglie presenti. Per un terremoto innescato, la sorgente rilascia energia che è fondamentalmente “naturale” (di origine tettonica), tuttavia l’uomo induce ovvero facilita/accelera la rottura come effetto indiretto della propria attività. Da quanto detto si intuisce anche che le attività̀ antropiche non sono in grado di indurre (in senso stretto) grandi e disastrosi eventi sismici ma possono invece innescarli.
Vi sono però terremoti che non ricadono in maniera netta in nessuna di queste due tipologie, ovvero sono un misto delle due. Ad esempio i terremoti che avvengono a seguito delle stimolazioni appartengono a questa tipologia. In generale, comunque, si può sempre parlare di sismicità indotta, o terremoti indotti, comprendendo tutti i casi enunciati, e la distinzione sulla tipologia di terremoto indotto viene menzionata solo se si vogliono meglio specificare certi fattori.

Tornando alle due tipologie principali, le principali cause di innesco di terremoti possono essere: a) la rimozione o l’aggiunta di grandi masse di materiale; b) l’estrazione o iniezione di fluidi in profondità in volumi confinati; c) l’iniezione o la percolazione o la circolazione di fluidi in profondità. Per a e b viene perturbato lo stato di sforzo nell’intorno della zona di attività, mentre per c, il fluido, penetrando in profondità all’interno delle fessure e delle faglie, esercita una pressione che allenta l’adesione delle due parti a contatto e riduce quindi la capacità della faglia di resistere allo stato di sforzo cui è già sottoposta.
Vorrei infine sottolineare l’importanza della profondità nella generazione della sismicità a seguito delle attività antropiche, dato che è a profondità elevate (alcuni km) che si accumula lo stress tettonico. Quindi l’iniezione di grandi volumi di fluidi è pericolosa se fatta in profondità perché la loro diffusione aumenta la probabilità di intercettare faglie pronte alla rottura. Similmente per le stimolazioni geotermiche (per le quali si cerca di scendere in profondità per trovare alte temperature) lo stress termico può avere un effetto maggiore in rocce già sottoposte a elevato stress tettonico.

Da quanto tempo si è cominciato a ipotizzare scientificamente la possibilità che alcuni terremoti siano di origine antropica?

La parola “scientificamente” mi costringe, giustamente, a non parlare delle ipotesi che ritengono la genesi dei terremoti come una punizione divina per dei comportamenti da parte dell’uomo ritenuti scellerati dal punto di vista morale; ciò non solo nei tempi antichi, ma anche di recente, come è ad esempio emerso da alcune dichiarazioni pubbliche durante l’ultima sequenza sismica che ha colpito l’Italia Centrale.
I primi studi scientifici sistematici sulla sismicità indotta sono stati sviluppati già negli anni ’50 per le miniere (soprattutto nel Regno Unito) e negli anni ‘60-’70 a seguito di alcuni casi importanti quali l’attività di produzione di olio con re-introduzione delle acque residue di strato in profondità a Rangely (Colorado), l’attività estrattiva di gas a Lacq (Francia) e a Gazli (Uzbekistan), e la realizzazione del bacino idrico con la diga di Koyna (India).
In Italia, vanno ricordati alcuni studi condotti da Pietro Caloi, geofisico dell’allora Istituto Nazionale di Geofisica, per il terremoto di Caviaga nel 1951, associato all’attività di estrazione del gas dal deposito omonimo (uno dei depositi considerati giganti che diede impulso allo sviluppo dell’allora AGIP), e successivamente, all’inizio degli anni ’60, per i microsismi provocati dal movimento della massa rocciosa che poi avrebbe causato il disastro del Vajont.
Collocando delle date importanti riguardo alla fenomenologia della sismicità indotta, direi che un altro periodo importante è rappresentato dalla prima decade degli anni 2000. Relativamente a questo periodo, ritengo utile ricordare alcune esperienze: ognuna di queste è stata seguita da numerosissimi studi scientifici e ha determinato sostanziali avanzamenti nelle conoscenze scientifiche e nella “coscienza” pubblica.
La prima è quella del terremoto M3.4 di Basilea del 2006, a seguito della sperimentazione di geotermia stimolata. Il terremoto produsse numerosi danni di debole entità e spavento in città e il progetto dell’impianto fu bloccato. La scossa principale si verificò a seguito di numerosi sciami di sismicità debole, per lo più non percepita dalla popolazione, effetto dei test di stimolazione. Probabilmente l’evento forte si sarebbe potuto evitare attuando modalità di controllo differenti, ma questa è una considerazione fatta con il senno di poi, dato che l’esperienza quella volta era limitata. Il caso di Basilea ha aperto la strada a una miriade di studi scientifici e di conoscenze che da allora sono progredite.
Un altro caso importante è quello dell’attività di produzione di gas olandese, di cui Groeningen è il principale centro. L’area di Groeningen (Olanda settentrionale) ospita il più grande giacimento di gas naturale europeo in terraferma e la produzione di gas, iniziata negli anni ’60, valeva fino a pochi anni fa più del 10% dell’intero bilancio olandese. Dal 1986, oltre a importanti fenomeni superficiali (subsidenza) incominciò a manifestarsi una sismicità inizialmente debole, ma che divenne via via più significativa, generando più di mille scosse nel corso degli anni successivi e un terremoto di magnitudo 3.6 nel 2012. Considerando che l’area non conosceva alcuna sismicità nel passato e gli edifici non erano stati costruiti seguendo criteri antisismici, questi fenomeni produssero danni, seppur lievi, in moltissimi edifici e generarono una forte opposizione nella popolazione locale.
La terza esperienza è lo studio pubblicato da W. Ellsworth nel 2013 in cui viene mostrata la prima evidenza a livello statistico (quindi di grandi numeri) della sismicità indotta. In pratica, questo studio mostra che, a partire dall’inizio degli anni 2000, il numero complessivo dei terremoti rilevato negli Stati Uniti, cresciuto fino a quel momento in modo uniforme, comincia ad aumentare con un tasso molto più elevato: questo incremento, mai riscontrato fino a quel momento, non è dovuto a cause naturali ma è effetto della sismicità indotta dalle attività umane, e principalmente —anche se non unicamente— allo sviluppo della tecnologia di estrazione mediante fracking. I “nuovi” terremoti comprendono numerosissimi eventi deboli con magnitudo da meno di 2 a 3, ma anche alcuni eventi più forti come il terremoto M5.7 avvenuto in Oklahoma nel 2011. Dato che le stime di pericolosità sismica si basano sul sul tasso di occorrenza dei terremoti, questo evidente incremento di sismicità innescò svariate discussioni sull’aggiornamento delle mappe di pericolosità adottate a livello nazionale.
L’ultima esperienza che voglio citare è quella di “Castor”. Il progetto Castor consisteva nello sviluppo di un impianto di stoccaggio di gas sotterraneo utilizzando come deposito il giacimento esaurito di olio di Amposta, situato nel Golfo di Valencia a circa 20 km dalla costa spagnola. L’iniezione di gas iniziò nel settembre 2013 e culminò con un terremoto M4.3 il 4 ottobre 2013, che è stato uno dei più forti associati a operazioni di stoccaggio del gas. Studi successivi spiegarono che la pressione dovuta all’iniezione del gas aveva attivato un ramo secondario del sistema di faglie di Amposta, situato direttamente sotto il giacimento. Questo caso mostrò che, per lo stoccaggio del gas, l’uso dei giacimenti di petrolio esauriti è più critico rispetto di quello dei giacimenti di gas esauriti, soprattutto nelle fasi iniziali, perché, dato che l’olio originariamente contenuto è molto più denso e viscoso del gas iniettato per stoccaggio, non è detto che il serbatoio sia in grado di garantire la tenuta del gas al suo interno. Inoltre, a causa del sistema di monitoraggio troppo povero, non fu rilevata tempestivamente la microsismicità risultante dalla migrazione del gas iniettato verso il sistema di faglie. Questi fattori, insieme alla lentezza decisionale e alla “prudenza” nell’interrompere le attività in corso per motivi industriali, fecero sì che i fenomeni di sismicità indotta andassero fuori controllo. Il danno economico fu enorme, con l’ulteriore beffa che i debiti conseguenti furono addossati allo stato, ovvero alla popolazione spagnola. Relativamente a questa esperienza, consiglio vivamente di ascoltare la presentazione (in italiano) di M. Garcia-Fernandez che ho inserito in bibliografia.

Schermata 2023-02-18 alle 16.45.49Rappresentazione grafica di uno dei meccanismi di innesco di terremoti da parte di attività svolte nel sottosuolo. La comprensione di questi meccanismi e la capacità di riconoscere e seguire l’evoluzione dei fenomeni che avvengono nel sottosuolo, in primis quelli sismici, sono argomenti di ricerca molto attuali. A questo argomento è dedicato una sezione speciale dell’importante rivista Journal of Geophysical Research – Solid Earth, dal titolo “Understanding and Anticipating Induced Seismicity: From Mechanics to Seismology”, da cui la presente figura è tratta.  

Quali sono i livelli energetici “massimi” riferibili ai terremoti antropogenici?

Prima di rispondere è necessario fare una premessa e introdurre un paio di concetti. La premessa riguarda le fonti di dati parametrici sui terremoti di natura antropica. Pur essendoci varie fonti, direi che quella più esaustiva, in termini di eventi principali, deriva dal progetto di ricerca internazionale HiQuake (Foulger et al, 2018) che censisce gli eventi indotti o supposti indotti in seguito a studi scientifici. I dati sono riportati in un sito, regolarmente aggiornato, cui si può accedere liberamente (http://inducedearthquakes.org/) e da cui si possono ricavare moltissime informazioni (nella bibliografia in fondo a questa intervista ho riportato i link diretti al database e alla pagina dei riferimenti bibliografici). Sono inclusi nel database, e dunque sono classificati come indotti, eventi per i quali anche un solo lavoro scientifico ipotizza la possibile origine antropica; dunque, per molti casi queste informazioni vanno prese con molta, sottolineo, molta prudenza. Gli autori di HiQuake non necessariamente aggiungono lavori successivi che reinterpretano in qualche modo gli eventi, quindi eventi ipotizzati come indotti magari da un solo lavoro iniziale mantengono la classificazione di “evento indotto” senza possibilità di remissione. Questo è il caso, per esempio, dei due terremoti avvenuti in Pianura Padana nella località di Caviaga nel 1951. Il lettore tenga ben presente queste considerazioni nel prosieguo.
Il primo concetto è che la sismicità antropogenica deriva nella maggior parte dei casi dal progressivo accumulo di certe quantità correlate alle attività svolte: per esempio, accumulo di acqua che si infiltra e diffonde nel sottosuolo, accumulo di stress meccanico dovuto all’estrazione di materiale, accumulo di stress poro-elastico dovuto all’iniezione o estrazione di gas, accumulo di stress termico dovuto all’iniezione di fluidi in rocce calde. Eccetto che per le esplosioni o l’impatto di grandi masse, lo sviluppo di sismicità è quindi progressivo e parte, di norma, con il manifestarsi di micro-sismicità, inizialmente localizzate nelle zone di origine dell’attività e che poi via via si diffonde.
Poi, riguardo ai livelli energetici della sismicità indotta, la prima cosa da dire è che, in genere, essa si manifesta inizialmente come microsismicità localizzata in un intorno abbastanza stretto dell’attività svolta. Poi, nel tempo, se non viene raggiunto uno stato di equilibrio e se l’accumulo dei fattori influenti prosegue, la sismicità può aumentare e diffondersi in volumi di roccia via via più ampi fino a interessare zone di faglia anche importanti. Perciò la magnitudo dipende spesso dai sistemi faglia intercettati più che dall’attività stessa —è ovvio che qui ci stiamo riferendo alla sismicità innescata—, ed è quindi difficile definire in modo univoco una magnitudo massima che può essere indotta da una data attività. Inoltre, dobbiamo sempre tenere presente che in molti casi non è certa, ma solo possibile, l’attribuzione di un terremoto ad una certa attività, quindi i valori di magnitudo massima possono essere certamente sovrastimati.
Tuttavia, seguendo i principi già esposti si riescono a trarre delle considerazioni di carattere generale (per dati di base e i valori di magnitudo massima mi riferirò a quanto riportato da HiQuake, mentre ulteriori considerazioni sono mie personali). Bacini idrici, estrazione di acque dal sottosuolo e produzione di olio e gas convenzionale sono le tre classi per cui HiQuake documenta le magnitudo massime più elevate, con valori che superano il 7.
I bacini idrici, soprattutto quelli profondi oltreché grandi, sono i principali candidati a generare terremoti forti, soprattutto nei primi anni di messa in esercizio. Numerosi terremoti di magnitudo superiore a 6 e in qualche caso anche a 7 sono attribuiti ai bacini idrici (ricordo, per esempio, il terremoto di M6.3 di Koyna (India) del 1967, due terremoti in Grecia, rispettivamente M6.2 di Kremasta nel 1966 e M6.5 di Polyphyto nel 1995; ma anche per il terremoto M7.9 del Sichuan (o Wenchuan), Cina, avvenuto nel 2008 si ipotizza —sottolineo il “si ipotizza”— una possibile origine antropica dovuta al bacino formato dalla diga Three Gorges. Un caso molto noto è quello del terremoto M5.7 di Assuan (Egitto) del 1981, che avvenne 15 anni dopo il riempimento dell’invaso delimitato dalla diga omonima.  Inoltre, si ipotizza che l’estrazione di acque sotterranee possa aver causato il terremoto M7.8 di Ghorka (Nepal) del 2015. HiQyake attribuisce circa 200 casi ai bacini idrici e circa una decina all’estrazione di acque sotterranee.
Per l’estrazione convenzionale di olio e gas, sono citati tre terremoti di magnitudo superiore a 7.  Tra questi troviamo il terremoto M7.3 di Gazli (Usbekistan) del 1976, ben noto in letteratura, avvenuto relativamente vicino a un giacimento gigante da cui veniva estratto gas, e per il quale vi sono lavori scientifici di orientamento diverso. Tuttavia, troviamo anche due eventi molto forti, quali il terremoto M7.5 avvenuto nel 1995 a Neftegorsk all’estremo est della Russia, e il terremoto M7.4 avvenuto a Izmit in Turchia nel 1999, che si ipotizza possano essere causati dall’uomo in base a singoli studi, con argomentazioni che, a mio parere, dovrebbero essere come minimo approfondite. Per gli altri casi documentati (più di un centinaio) le magnitudo si attestano da circa 6 in giù.
Per la geotermia, su una settantina di casi censiti si documentano due casi con magnitudo 6.6 (in Messico e Islanda), poi si scende dal 5.5 in giù. Come caso importante ricordiamo il recente terremoto M5.5 di Pohang (Corea del Sud) nel 2017.
Per le miniere sono documentati circa 300 casi, e le magnitudo si sgranano da magnitudo 6.1 (terremoto generato da una miniera di carbone a Bachatsky, Russia, nel 2013) in giù.
Più di 400 casi sono documentati per il fracking, con magnitudo massima di 5.2 per un evento avvenuto in Cina nel 2018. Tuttavia il database distingue la categoria di “fracking” e quella di “reiniezione di fluidi di scarto” di vario tipo, la quale include in maniera massiccia i fluidi di scarto derivanti dal fracking stesso. Sicché, la categoria di reiniezione di fluidi di scarto nel sottosuolo registra una ulteriore cinquantina di casi, con magnitudo massima 5.8, i cui casi più forti sono due terremoti ben noti in ambiente scientifico avvenuti entrambi in Oklahoma, rispettivamente a Pawnee nel 2016 e Prague nel 2011, entrambi dovuti ad attività di produzione di idrocarburi con la tecnica del fracking.
Infine menziono anche il caso del grattacielo Taipei 101 di Taiwan, responsabile di un terremoto 3.8 nel 2004.

Vuoi aggiungere qualche commento, a conclusione di questa riflessione?

Solo un breve commento per inquadrare correttamente quanto detto finora. Abbiamo visto che le attività umane possono causare o favorire terremoti, anche grossi se sono in grado di attivare faglie importanti. Tutto il discorso è stato focalizzato al fatto che è possibile che ciò accada. Vorrei tuttavia sottolineare che non è detto che ogni attività debba generare terremoti pericolosi o dannosi, anzi, sono numerosissime le attività svolte nel sottosuolo che non hanno portato a problemi e questo dipende molto da come queste sono gestite. È una valutazione di rischio e di azioni atte a ridurlo. Per fare un paragone è come se ci concentrassimo sugli incidenti stradali causati dagli autoveicoli. Gli incidenti ci sono e sono numerosi, ma non per questo è stato proibito l’uso dei veicoli. Invece sono state realizzate azioni atte a prevenire gli incidenti e a causare feriti o morti. Queste vanno dalla maggiore sicurezza dei veicoli stessi, a norme di guida più stringenti, alla formazione alla guida dei conducenti, all’educazione stradale dei cittadini, fino al miglioramento delle strade e alla realizzazione di segnalazioni adeguate. Ecco, il mio commento è solo per dire che abbiamo visto il problema della sismicità indotta da una certa angolatura e nella seconda parte avremo sicuramente la possibilità di vederlo in modo più completo.

Come anticipato, la seconda parte di questa conversazione sarà dedicata alla situazione italiana.

Bibliografia
Ellsworth, W. L. (2013). Injection-induced earthquakes, Science, 341(6142), 1225942.
Foulger, G. R., Wilson, M. P. , Gluyasa, J. G. , Julian, B. R. , Davies, R. J. (2018). Global review of human-induced earthquakes. Earth-Sci. Rev., 178, 438-514, https://doi.org/10.1016/j.earscirev.2017.07.008
Garcia-Fernandez M. (2015). CASTOR: Contesto scientifico e socio-economico. Workshop su “Sismicità indotta e innescata”, Roma 12 giugno 2015, Ministero dello Sviluppo Economico; https://www.youtube.com/watch?v=-tUApwW_V3k
HiQuake Database: http://inducedearthquakes.org/wp-content/uploads/2022/06/The_Human_Induced_Earthquake_Database_v11.16.22.xlsx
HiQuake Bibliography: http://inducedearthquakes.org/bibliography/

 

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Qualche considerazione a margine del terremoto in Turchia (‘the builder was at fault’, cit.) di Gian Michele Calvi

Pubblichiamo volentieri questa riflessione di Gian Michele Calvi sui terremoti del 6 febbraio, che contiene anche una poesia di C. Richter, ricordando che si è trattato di due terremoti, poco distanti nello spazio e nel tempo come indica la figura. E questo fatto ha contribuito, in particolare per le zone comprese fra i due epicentri, ad aumentare la distruzione e le vittime.

Gian Michele Calvi, professore allo IUSS di Pavia e Adjunct Professor alla North Carolina State University. Calvi è stato il fondatore della Fondazione Eucentre e della ROSE School a Pavia. Ha coordinato, fra le altre cose, il Gruppo di Lavoro che ha redatto il testo dell’Ordinanza PCM 3274 del 2003, che ha innovato il sistema della normativa sismica in Italia. È stato presidente e componente della Commissione Grandi Rischi, sezione rischio sismico.

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Charles Richter (si veda più sotto una sua poesia) avrebbe voluto diventare un astronomo.
Ma era il tempo della grande depressione e nemmeno con un dottorato a Caltech era facile rifiutare una posizione all’appena costituito Seismo Lab, diretto allora da Harry Wood (quello del sismometro Wood-Anderson).
In pochi anni Richter[1] osserva che “sarebbe desiderabile avere una scala per misurare le scosse in termini di energia rilasciata, indipendentemente dagli effetti che possono essere indotti in un particolare punto di osservazione”, propone una scala e decide di chiamarla magnitudo, il termine usato per classificare la luminosità delle stelle.
Richter certo non immaginava quante volte la parola magnitudo sarebbe stata usata male.

“Professore di che magnitudo è la scossa che avete applicato alla tavola?” È la domanda più ricorrente quando un giornalista assiste alla simulazione della risposta di una struttura costruita su tavola vibrante. Ma alla tavola si applica un moto, non un’energia; un moto che può essere originato da rilasci di energia (e quindi magnitudo) molto diversi, se originati a distanze diverse, o amplificati localmente da situazioni orografiche o stratigrafiche diverse. Continua a leggere

20 anni fa, un terremoto nella normativa sismica: conversazione fra Massimiliano Stucchi e Gian Michele Calvi

Quello che segue è il racconto, necessariamente sintetico, di una vicenda che, in un tempo relativamente breve, modificò in modo straordinario il sistema della normativa sismica italiana. Molto è stato scritto in proposito. Qui la ricordano Massimiliano Stucchi e Gian Michele Calvi, che guidò la commissione incaricata della stesura delle nuove norme.

MS. Era la fine di ottobre del 2002. Era da poco evaporata la Agenzia di Protezione Civile auspicata da Franco Barberi. Al governo c’era Silvio Berlusconi: Guido Bertolaso era il capo del Dipartimento per la Protezione Civile (DPC), Vincenzo Spaziante il vice capo. Era nato da poco l’INGV con Enzo Boschi presidente. Eucentre stava per nascere. Vennero due terremoti in Molise, di pari magnitudo e localizzati poco lontani fra di loro, a distanza di un giorno. Zona povera, marginale, non classificata come sismica. Molti danni, non molti morti se non fosse stata per quella maledetta scuola di San Giuliano di Puglia che catturò tutta l’attenzione. La vecchia scuola resistette; quella nuova, sopraelevata da poco, no, con le conseguenze che sappiamo.

Il fatto che la zona di San Giuliano di Puglia non fosse classificata scosse tutti e soprattutto i sismologi: ma si sapeva bene che le classificazioni precedenti erano state fatte “al risparmio” per la rigidità del Ministero dei LL.PP. La situazione normativa ristagnava: in particolare ben 5135 Comuni (più della metà) non erano classificati in zona sismica. La proposta di riclassificazione del 1998 (“Proposta 98”, pubblicata nel 1999: Gavarini et al., 1999) a cura di Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti (GNDT), Servizio Sismico Nazionale (SSN) e Istituto Nazionale di Geofisica (ING), che pure avrebbe lasciato 3500 Comuni non classificati, giaceva nei cassetti del Ministero. Era iniziato un lento confronto con le Regioni, ma il problema principale era l’aumento (circa 1700) dei Comuni da inserire in terza categoria. SSN aveva formulato una propria proposta alternativa, sottomettendola alle Regioni e ricevendo qualche commento. Continua a leggere

Le “tradizionali precauzioni”: uscire di casa dopo una scossa di terremoto? (di Alessandro Venieri)

Le vicende processuali relative al terremoto dell’Aquilano del 2009 non sono ancora terminate. Esauriti i processi penali, e in particolare quello denominato “Grandi Rischi” che si è concluso – è bene ricordarlo – con la assoluzione di tutti gli imputati tranne uno “perché il fatto non sussiste”, restano ancora in essere alcuni processi civili. Di recente ha fatto scalpore una sentenza in cui il giudice ha individuato una parziale corresponsabilità negli inquilini – deceduti – per non avere abbandonato l’edificio secondo le presunte “consuetudini”. Nella stampa e nei social si è molto ironizzato su questa “corresponsabilità” invocando paragoni arditi e a volte infelici. La stampa stessa e alcune delle sue fonti locali non hanno esitato a ricordare il processo “Grandi Rischi”, ignorando o mistificandone le conclusioni ricordate più sopra.
Nell’intervento Alessandro Venieri analizza in dettaglio alcuni aspetti della sentenza, le cui motivazioni non sono ancora disponibili. Seguono commenti di Alessandro Amato e Rui Pinho.


Alessandro Venieri, geologo, ha lavorato per sei anni al Magistrato per il Po di Parma occupandosi di sistemazioni idrauliche e servizi di piena; poi un breve periodo alle Opere Marittime di Ancona e quindi per 15 anni alla Provincia di Teramo curando in materia di Protezione Civile il Programma Provinciale di Previsione e Prevenzione dei Rischi (che contiene gli studi prodotti dall’INGV a seguito della convenzione con la Provincia per gli aspetti legati al rischio simico). Dal 2015 ad aprile del 2022 ha lavorato presso la Regione Abruzzo occupandosi di concessioni di derivazioni d’acque e aree demaniali e a maggio del 2022 è stato trasferito presso l’Agenzia Regionale di Protezione Civile, sempre della Regione Abruzzo.


Nei giorni scorsi ha destato clamore a livello nazionale, con articoli di giornali e servizi televisivi, la sentenza definita da molti “choc” del Tribunale civile dell’Aquila riferita al crollo del palazzo di via Campo di Fossa all’Aquila, la tragica notte del 6 aprile 2009, dove morirono 24 persone.

Proteste
Il passaggio che ha destato clamore e proteste, con manifestazioni all’Aquila, è il seguente:

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“Le tre velocità”: la cultura del terremoto in Abruzzo. Colloquio con Fabrizio Galadini

Dopo aver presentato in questo blog, lo scorso anno, il volume “Tracce ondulanti di terremoto” di Fabrizio Galadini (https://terremotiegrandirischi.com/2021/03/15/tracce-ondulanti-di-terremoto-colloquio-con-fabrizio-galadini/, è ora il turno del recentissimo, fresco di stampa, “Le tre velocità” (https://www.alepheditrice.it/prodotto/le-tre-velocita/) del medesimo autore, con il quale parliamo dei contenuti.

Copertina

Fabrizio Galadini è dirigente di ricerca dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia ed è stato ricercatore del Cnr presso l’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria. Insegna Geologia per il rischio sismico all’Università Roma Tre. Svolge ricerche geologiche, geomorfologiche, archeosismologiche e storiche sulle faglie attive, sugli effetti dei terremoti del passato e sulle risposte antropiche alle criticità ambientali.

Questo tuo libro viene a valle di altri (recentemente, Tracce ondulanti di terremoto e la curatela di Marsica 1915-L’Aquila 2009. Un secolo di ricostruzioni) e, come affermi nella introduzione, rappresenta la sintesi della personale esperienza in rapporto a un concetto generale di cultura del terremoto. Ci puoi spiegare?

Il libro nasce da riflessioni su attività e personali esperienze di comunicazione della scienza negli anni seguenti al sisma aquilano del 2009. Mi riferisco, quindi, al secondo decennio di questo secolo che, in Abruzzo, è stato anche scandito dalle numerose manifestazioni legate al centenario del terremoto del 1915 e al decennale, appunto, di quello aquilano; in mezzo, la sequenza sismica del 2016-2017. Fino al 2009, svolgendo l’attività di ricerca nel campo delle Scienze della Terra, per me “cultura del terremoto” aveva senso quasi esclusivamente in riferimento al fenomeno fisico, alle sue evidenze geologiche, ai suoi effetti sul costruito, ai danni del passato ecc. Parlare di una storia della conoscenza, di evoluzione della cultura, poteva significare guardare a ciò che avevano scritto cento anni fa geologi e sismologi e confrontarlo con quanto sappiamo adesso.
Le urgenze del 2009, la necessità di un rapporto più stretto con i residenti nei territori sismici, di solito portatori di una conoscenza astratta o idealizzata dell’accaduto, l’impegno con i colleghi per la comprensione delle molteplici sfaccettature del “Processo Grandi Rischi” mi hanno costretto a un ampliamento dell’orizzonte. Quindi, nel tempo ho prestato attenzione anche a come la conoscenza scientifica fosse recepita in altri contesti, ad esempio al livello della società civile, delle amministrazioni territoriali e dei governi centrali che di quella dovrebbero essere specchio. “Cultura del terremoto”, nel libro, include certamente le conquiste scientifiche, ma anche le loro traduzioni in atti normativi cui si informa l’azione del cittadino e, soprattutto, la consapevolezza da parte di chi vive nei territori sismici di cosa sia e possa comportare un terremoto con effetti al di sopra della soglia del danno.

Il titolo del volume solleva una immediata curiosità. Puoi riassumere quali siano le tre velocità, in che relazione stanno fra di loro e il perché dell’uso di questo termine?

Se guardo alla cultura del terremoto nel senso ampio che ho detto, estremizzando, posso distinguere i tre aspetti prima richiamati, tenendo comunque presente che sono tra loro strettamente legati: i) l’avanzamento della conoscenza scientifica e la sua divulgazione, cioè l’esito del lavoro dei ricercatori; ii) la traduzione normativa delle acquisizioni scientifiche perché aggiornamenti e modifiche delle norme misurano il cambiamento della conoscenza, l’evoluzione di una cultura del decisore, oltre che il mutamento delle condizioni della società; iii) la cultura del cittadino in relazione a “sismicità”, “pericolosità sismica”, “vulnerabilità”, “riduzione del rischio sismico” ecc., temi rispetto ai quali, considerate le ricadute, proprio i cittadini dovrebbero rappresentare i principali portatori di interesse. Alle componenti che costituiscono questo sistema riferisco l’artificio delle tre velocità perché diversamente si evolvono la ricerca scientifica, l’azione dei decisori nei governi centrali e la sensibilità per la difesa dai terremoti da parte dei cittadini e di chi li rappresenta a livello locale.
Nonostante periodi più o meno fortunati, l’evoluzione della ricerca è caratterizzata da un andamento piuttosto costante. Anche la traduzione della conoscenza scientifica in atti normativi – il secondo elemento del sistema – è vincolata, sebbene dipendente dalla mediazione politica che stabilisce le priorità nei vari ambiti di intervento per la crescita del Paese. Il vincolo, in questo caso, è legato allo stesso progresso della scienza che il legislatore non può ignorare. In sintesi, come desumibile dalla storia della difesa dai terremoti nell’arco di un secolo, è accaduto che l’avanzamento della conoscenza scientifica sia stata non immediatamente tradotta sul piano delle politiche governative, ma in generale è impossibile non rilevare la consistente evoluzione. È il terzo elemento che compone il sistema, l’aggiornamento degli atteggiamenti culturali di coloro che vivono nei territori sismici, a procedere a rilento. Ed è una criticità non trascurabile, considerando che un aspetto come la riduzione del rischio necessita anche del convinto impegno del cittadino.
Le tre velocità, quindi, sintetizza una evoluzione della conoscenza scientifica che si attua con maggiore costanza rispetto a come avviene il suo recepimento sul piano normativo. Per entrambi gli aspetti si può comunque parlare di progresso assai più consistente della crescita della sensibilità per la difesa dai terremoti e della consapevolezza del rischio nei cittadini che, in ultima analisi, del cambiamento dovrebbero beneficiare.

La prima velocità, cui sono dedicati due capitoli, riguarda essenzialmente la geologia e in particolare le sorgenti dei terremoti. Possiamo dire che proponi uno sguardo particolare a questi aspetti?

Sì, diciamo per comodità, visto che si tratta del campo di ricerca nel quale ho lavorato per più di tre decenni. È stato più agevole guardare allo sviluppo della conoscenza sul rapporto tra faglie e terremoti. Per questa prima velocità, inizio con Federico Sacco, 1907: lo schema dell’Abruzzo con i colori tipici di una carta geologica, ma senza faglie. Queste sono riportate in una tavola a parte. La divisione, la geologia con le sue distinzioni stratigrafiche separata dallo Schema delle principali fratture degli Abruzzi (questo il titolo), fa capire che non era del tutto chiaro il ruolo dei movimenti delle faglie nell’evoluzione geologica di un territorio, come non lo erano le conseguenze in termini di sismicità. Se si paragona questa sintesi alle conoscenze rappresentate nei moderni schemi di faglie sismogenetiche, mettendo in fila tutte le tappe intermedie, si possono tangibilmente apprezzare gli enormi passi avanti della ricerca geologica in poco più di un secolo.

Figura_Sacco“Schema delle principali fratture degli Abruzzi” realizzato da Federico Sacco nel 1907 e pubblicato sul Bollettino della Società Geologica Italiana.

La seconda velocità riguarda la storia della cosiddetta “classificazione sismica”, ovvero della distribuzione delle aree (Comuni) nelle quali sono state adottate normative sismiche per la costruzione degli edifici. A questo proposito proponi anche qualche riflessione sul rapporto fra scienza e normativa. Argomento attuale e complesso, giusto?

Per una ricostruzione storica della classificazione sismica, ho riletto più volte i tanti atti normativi emanati nell’arco temporale di più di un secolo e ho fatto riferimento a quanto pubblicato in proposito, soprattutto i tuoi lavori con Carlo Meletti [es., Meletti et al., 2006; 2014]. Poi, ho approfondito il caso dell’Abruzzo, che di fatto ben si inserisce nel più ampio orizzonte dell’Italia sismica. Complessivamente, è facile cogliere il consistente progresso, nonostante interruzioni e qualche retromarcia (leggi declassificazione: comuni precedentemente classificati che non sono più considerati sismici o comuni in prima categoria che vengono posti in seconda). L’impostazione dei primordi, per cui la classificazione interessava territori per aggiunte di abitati terremotati, dopo singoli accadimenti particolarmente distruttivi (es. 1908, 1915) o insieme di eventi (es. quelli dell’Appennino settentrionale tra 1917 e 1920), ha comunque consentito avanzamenti anche significativi: i territori sismici soggetti a normativa per le costruzioni aumentavano, anche se i vincoli imposti avevano la prospettiva limitata del “già terremotato” e non quella delle conseguenze degli scuotimenti futuri in altre aree. L’impianto era sostanzialmente amministrativo, per aggiunte di liste di abitati danneggiati. Poi, a un certo punto, soprattutto dalla fine degli anni Settanta e in maniera più determinante dopo il terremoto del 1980, la conoscenza scientifica ha assunto un peso più determinante, con le ipotesi dell’epoca sulle aree sismiche, non definite solo sulla base di accadimenti degli anni precedenti. Non si è trattato esattamente dell’avvio di un sistema virtuoso; il ricorso alla conoscenza scientifica per aggiornamenti, modifiche, avanzamenti sostanziali in materia di classificazione e riferimenti normativi, come noto, è stato influenzato anche negli ultimi decenni dagli eventi sismici. Così, se c’è una costanza del progresso scientifico, all’impatto sul fronte dei vincoli per la società può attribuirsi l’andamento a singhiozzo: la necessità di fare il punto, tenendo conto dell’avanzamento della conoscenza, non è avvenuto fisiologicamente, ma è stato stimolato dall’evento esterno e luttuoso.

Class. AbruzzoA sinistra, la attuale classificazione sismica dell’Abruzzo. A destra, le tappe della classificazione del territorio. L’ultima tappa è del 2003.

La terza velocità riguarda il tentativo di leggere la consapevolezza del rischio sismico nella cittadinanza attraverso la mediazione dei programmi amministrativi per le elezioni in Abruzzo. In pratica, cerchi di analizzare se e come il tema della riduzione del rischio sismico sia presente nei propositi di liste e candidati delle varie tornate elettorali abruzzesi. Si tratta di un argomento piuttosto originale. Come mai hai scelto questa chiave di indagine?

Nelle realtà demograficamente contenute, come è il caso della maggior parte dei comuni abruzzesi, la politica ha un rapporto assai diretto con l’elettorato. In pratica, chi è eletto conosce bene necessità e desiderata di chi vota. Le visioni personali di un politico o le impostazioni generali di area politica, ammesso che ce ne siano, contano meno che nelle grandi e medie città. Allora, se ci sono priorità, esigenze, urgenze, più facilmente queste vengono incamerate e fatte proprie dai candidati e fissate nei programmi amministrativi. Ciò detto, in una regione negli ultimi anni colpita dai terremoti, ci si aspetterebbe che i residenti, cioè gli elettori, ponessero il tema della mitigazione del rischio al centro del dibattito politico e delle iniziative di governo locale. Perciò ho letto i programmi di tutte le liste e dei vari sindaci candidati in Abruzzo del 2015, 2016 e 2017: nel complesso, più di 3200 pagine, in verità non molto incoraggianti. A parte pochi casi virtuosi, che puntualmente richiamo, emerge la tendenza a non considerare il potenziale effetto di un terremoto come un problema prioritario. Si ravvisa un consistente disinteresse per l’argomento, oppure la tendenza ad affrontarlo in maniera inappropriata, su basi tecniche e culturali errate. Paradossalmente, nella regione in cui per anni si è parlato delle scosse sismiche e delle varie conseguenze sociali, emerge una maggiore attenzione per il rischio idrogeologico. Ecco la terza velocità: questo tipo di cultura del terremoto si evolve (se si evolve) col passo della lumaca.

Qua e là nel testo dedichi molta attenzione ai rapporti, diretti e mediati con la popolazione. Sembra di evincere che si tratta di un argomento complesso e controverso…

Della costante collaborazione tra esperti e cittadini dei territori sismici, a seguito del terremoto del 2009, sono prova le tante e multiformi iniziative e manifestazioni cui ho avuto modo di partecipare o assistere. Il carattere multiforme è, appunto, legato alle varie possibilità comunicative: si va dai seminari alle conferenze per platee selezionate, ai vari tipi di interventi nelle scuole, fino alle mostre, all’impegno nelle piazze con stand dedicati, alle visite guidate, alle escursioni geologiche e agli interventi sulla rete. Ho potuto constatare che ogni modalità ha positivi effetti, posto che si abbia la capacità di proporsi con rappresentazioni e linguaggio adeguati. Personalmente ho utilizzato con costanza, sperimentandone l’efficacia, immagini dal paesaggio fisico e dagli spazi edificati per trasmettere messaggi sulla storia sismica locale e sugli effetti delle manifestazioni della natura. Un versante montuoso su cui sia visibile l’emergenza di una faglia attiva, ruderi, edifici tipicamente riconducibili alle ricostruzioni post sisma, cesure nelle tessiture murarie, iscrizioni che ricordano l’evento distruttivo o celebrano l’avvenuta riedificazione – insomma tutto ciò che fa parte del quotidiano di chi vive in un certo luogo, e che però è legato alla natura sismica del territorio, può acquisire una forte valenza educativa. Del resto, questa potenziale funzione del paesaggio non è una mia scoperta.

Figura_Albe_colori

Resti dell’antico abitato di Albe distrutto dal terremoto del 1915, emersi a seguito degli scavi archeologici del primo decennio di questo secolo.

Gli argomenti trattati sono molto vasti; per certi versi potresti avere scoperchiato il classico vaso di Pandora, come già capitato ad altri. E, come d’obbligo, cerchi di proporre delle conclusioni. Quali, se è possibile sintetizzarle? In particolare, hai la sensazione che la cultura del terremoto sia aumentata in Abruzzo rispetto a cinquant’anni fa, e che di conseguenza il rischio sismico si stia riducendo?

C’è anzitutto la risposta alla seconda domanda, in pratica il punto di partenza. Il quadro della cultura del terremoto in Abruzzo, se ci si riferisce alla sensibilità e alla consapevolezza di chi vi abita, non è particolarmente confortante. È comunque per me difficile dire se la cultura media sia uguale o superiore a quella di cinquant’anni fa. A parte queste considerazioni, è evidente la non priorità della difesa dai terremoti per chi risiede nella regione. Le conseguenze di questo atteggiamento non investono soltanto chi vive nelle zone interne, se si considera che i territori costieri sono stati a lungo non classificati e quindi sono oggi caratterizzati da un significativo deficit di sicurezza sismica. L’obiettivo di chi dedica una parte del suo tempo alla divulgazione, indipendentemente dai modelli adottati, è semplice a dirsi e tante volte espresso: fare in modo che si passi da una sorta di aggiramento dei problemi da parte della maggioranza di residenti e proprietari a una maggiore attenzione e sensibilità, soprattutto considerando gli odierni strumenti per intervenire sul costruito che lo Stato mette a disposizione del cittadino.
Certo, le ragioni dell’inerzia su questo fronte sono molteplici. Ad esempio: l’enorme numero di seconde case, praticamente disabitate, di cui è costituito il tessuto di molti centri abitati non favorisce l’atteggiamento positivo dei proprietari. Può anche darsi che l’impegno per la divulgazione non sia stato ancora sufficiente a far sì che nei paesi ci siano più cantieri di quanti se ne vedono ora. Comunque, a fronte dei limitati interventi, piacerebbe almeno che i proprietari fossero più consapevoli delle caratteristiche dei loro immobili in termini di sicurezza sismica. Ciò sulla base di perizie determinate, ove possibile, anche attraverso azioni delle amministrazioni – ci sono un paio di casi di comuni “virtuosi” al proposito – oppure volute dagli stessi residenti più sensibili al problema di quanto non lo fossero in passato. Quindi, che siano disponibili le diagnosi, che siano note a chi usufruisce di un fabbricato e a chi lo possiede, che questi documenti siano un passaggio verso la responsabilizzazione, che non si debba sentire, a giochi fatti, a danni subiti “io non sapevo”. Ciò aprirebbe poi a scenari di altro tipo: forse lo Stato riparatore potrebbe avere uno strumento di misura per la sua azione.

In definitiva, riassumendo: la cultura del terremoto si sviluppa in Abruzzo secondo tre percorsi le cui velocità non sono sincrone, giusto? E adesso che hai concluso questo tuo libro, hai programmi per una successiva tappa?

Sulle velocità è come dici tu e credo che l’Abruzzo sia una sorta di parte per il tutto, in riferimento all’intero Paese. Con il pregio che valutare le tendenze in questa regione può essere di un certo interesse, in considerazione della peculiarità dei numerosi terremoti recenti e di ciò che a essi è seguito. Su un binario c’è l’impegno di chi fa ricerca e divulga la conoscenza, su un altro la traduzione di questa sul piano normativo e amministrativo, su un terzo la consapevolezza, la sensibilità e la cultura di chi vive nei territori sismici. Sembra che i tre percorsi, pur intersecandosi ogni tanto, soprattutto nei frangenti emergenziali, abbiano avuto per il resto una certa indipendenza e assai diverse siano state le velocità dei tre convogli portatori delle categorie culturali sopra citate.

Infine, uno sguardo al futuro: da un lato, personalmente, continuerò ad approfondire le potenzialità del paesaggio in funzione educativa. Anche riflettendo, criticamente, se sia opportuno o meno insistere sull’utilizzo di uno strumento come questo. Poi, mi piacerebbe ragionare e confrontarmi su una questione più alta: se a distanza di quasi tredici anni dal sisma dell’Aquilano stia cambiando qualcosa o meno al livello dei riferimenti su cui è stata finora incardinata la difesa dai terremoti. È chiaro che un qualsiasi cambiamento avrebbe per conseguenza la modifica del messaggio rivolto a chi vive nelle zone sismiche.

Riferimenti

Meletti C., Stucchi M., Boschi E., 2006. Dalla classificazione sismica del territorio nazionale alle zone sismiche secondo la nuova normativa sismica. In: D. Guzzoni (a cura di), Norme tecniche per le costruzioni, Milano, pp. 139-160, https://www.researchgate.net/publication/235960327_Dalla_classificazione_sismica_del_territorio_nazionale_alle_zone_sismiche_secondo_la_nuova_normativa_sismica

Meletti C., Stucchi M., Calvi G.M., 2014. La classificazione sismica in Italia, oggi. Progettazione sismica, 5 (3), pp. 13-23. https://bookstore.eucentre.it/progettazione-sismica/archivio-numeri/progettazione-sismica-2014/

Sacco F., 1907. Gli Abruzzi. Bollettino della Società Geologica Italiana, 26 (3), pp. 377-460.

 

L’ossessione della mappa di pericolosità sismica (di Massimiliano Stucchi)

Questo post è il seguito di “Ferma restando l’autonomia scientifica”
https://terremotiegrandirischi.com/2021/11/09/ferma-restando-lautonomia-scientifica-di-massimiliano-stucchi
in cui si è analizzato il tentativo di INGV di “sganciarsi” dal controllo che DPC eserciterebbe sull’ente tramite la gestione di una parte dei suoi finanziamenti, limitandone così l’autonomia scientifica, senza che sia emersa alcuna evidenza di come questa limitazione si sia fin qui manifestata.
In questo post si dimostra che, se un lettore attento cerca nei documenti citati i motivi che mettono a repentaglio l’autonomia scientifica delle attività svolte da INGV per DPC trova ben poco. Trova solo critiche non nuove, inconsistenti e mal documentate, alla mappa di pericolosità sismica prodotta dall’INGV nel 2004: una vera e propria ossessione del suo attuale Presidente.

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Quando le azioni sismiche di progetto vengono superate: colloquio con Iunio Iervolino

La stampa riporta, con attenzione crescente, informazioni sull’avvenuto superamento – in occasione di terremoti forti in Italia – delle azioni sismiche di progetto previste dalla normativa sismica. Il confronto fra le azioni sismiche di progetto, previste dalle attuali NTC, e i valori registrati in occasione di terremoti forti in Italia ha una storia abbastanza recente. Questo confronto è reso possibile dal fatto che le azioni sismiche di progetto sono espresse oggi in termini direttamente confrontabili con quelli delle registrazioni stesse, per esempio mediante spettri di risposta, cosa che non avveniva in passato.
Spesso l’informazione sui superamenti è accompagnata – nella stampa o da commenti inesperti – da un giudizio sommario di inadeguatezza delle norme sismiche e, a volte, dei modello di pericolosità sismica sui quali si appoggiano. Questo giudizio rischia di gettare un’ombra anche sulla sicurezza degli edifici costruiti secondo quelle norme.
Ne parliamo oggi con Iunio Iervolino, ingegnere, professore ordinario per il settore scientifico-disciplinare Tecnica delle Costruzioni presso l’Università Federico II di Napoli, dove coordina anche il dottorato di ricerca in Ingegneria Strutturale, Geotecnica e Rischio Sismico. Tra le altre cose ha conseguito un dottorato in Rischio Sismico ed è stato allievo di C. Allin Cornell alla Stanford University in California. Da circa vent’anni si occupa di ricerca nel campo della pericolosità e del rischio sismico delle costruzioni. Ha recentemente scritto, per Hoepli, Dinamica delle Strutture e Ingegneria Sismica.

Da diversi anni ti sei occupato dei problemi di cui al titolo di questo colloquio. Ricordo un tuo lavoro in cui sostenevi che il confronto fra lo spettro di una singola registrazione con gli spettri della normativa non fosse “lecito”. In altri lavori, pubblicati con i tuoi collaboratori, hai analizzato le caratteristiche e la distribuzione dei “superamenti” in occasione dei terremoti più recenti, il cui numero è aumentato nel 2016 anche a seguito dell’aumento del numero di registrazioni (si veda l’esempio, ormai classico, delle registrazioni di Amatrice). Se non vado errato tu concludi che è impossibile evitare che si verifichino tali superamenti.

La figura è tratta da: Iervolino I., Giorgio M. (2017). È possibile evitare il superamento delle azioni di progetto nell’area epicentrale di terremoti forti? Progettazione Sismica, 8 (3), https://drive.google.com/file//1lAcn0GMlBhvSeYEjgT7U0rdRbFuhsA8x/view

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Sismabonus, un aggiornamento (colloquio con Alessandro Grazzini)

I recenti provvedimenti governativi hanno aggiornato la possibilità di usufruire degli aiuti di Stato per ridurre la vulnerabilità sismica degli edifici. Abbiamo chiesto a Alessandro Grazzini, che già aveva discusso l’argomento in https://terremotiegrandirischi.com/2020/07/02/sismabonus-qualche-spiegazione-dedicata-a-chi-abita-gli-edifici-colloquio-con-alessandro-grazzini/, di illustrarci le novità.

Alessandro, ci puoi riassumere le novità introdotte, di cui hai parlato ad esempio in https://www.ediltecnico.it/79648/sismabonus-superbonus-110-classificazione-sismica/?

Il D.L. 19/05/2020 n. 34 (c.d. Decreto Rilancio a sostegno dell’economia dopo il lockdown COVID-19) ha introdotto un superbonus di detrazione fiscale al 110% da utilizzare anche per i lavori di miglioramento sismico relativi al tradizionale Sismabonus. Il Superbonus può essere sfruttato per lavori svolti dal ‪1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021, anche se ci auguriamo una proroga in quanto gli interventi di miglioramento sismico, come sappiamo, richiedono più tempo nella pianificazione e nell’esecuzione. La novità principale consiste nel fatto che la super aliquota del 110% vale sia per gli interventi di semplice consolidamento statico (cucitura delle lesioni, consolidamento delle fondazioni, rinforzo di solai solo per fare qualche esempio) sia per gli interventi di miglioramento sismico.

Il Decreto ha eliminato la necessità di dimostrare che gli interventi abbiano portato al passaggio di una o due classi di “rischio”, come richiesto dalla normativa precedente. Non è forse un passo indietro nella direzione della prevenzione?

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Sismabonus: qualche spiegazione dedicata a chi abita gli edifici (colloquio con Alessandro Grazzini)

I problemi legati alla pandemia Covid-19 hanno messo in secondo piano quelli legati alla sicurezza sismica. Tuttavia, in modo apparentemente sorprendente il Governo ha deciso di sostenere l’iniziativa del Sismabonus aumentando addirittura al 110% il valore del contributo dello Stato sotto forma di credito di imposta, abbassando il periodo di recupero del credito e agevolando la possibilità di cederlo a banche o imprese che possono farsi promotori delle ristrutturazioni.
L’iniziativa del Sismabonus nacque quando un Governo – come vedremo – cercò di rendere operativo il concetto secondo il quale è meglio spendere soldi per ridurre i danni piuttosto che per ripararli; ma, e questa fu la novità, introdusse il concetto che il problema non riguarda solo lo Stato, ossia la collettività, ma anche – almeno in parte – i proprietari. Da questo concetto, semplificando, proviene il Sismabonus.
La comunicazione al pubblico su questo argomento non è mai stata molto dettagliata. Vi sono molti articoli tecnici che ne parlano, ma è difficile trovare materiale che spieghi in modo chiaro i vantaggi. Spesso i proprietari di casa si affidano agli ingegneri in un modo simile a come un malato si affida al chirurgo che gli consiglia la soluzione migliore, che poi la praticherà nei fatti. Ora, un paziente non deve certo studiare medicina per capire ma è giusto che richieda qualche spiegazione e qualche alternativa. Questo dovrebbe avvenire anche nel caso del Sismabonus.

Ne parliamo oggi con Alessandro Grazzini, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Ingegneria Strutturale Edile e Geotecnica del Politecnico di Torino, esperto in consolidamento e miglioramento sismico degli edifici storici in muratura, che ha scritto diversi interventi in materia che vengono ripresi nelle sue risposte. Alla formulazione delle domande ha contribuito Carlo Fontana.
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La vulnerabilità dimenticata (colloquio con Gianluca Valensise)

Gianluca Valensise, del Dipartimento Terremoti, INGV, Roma, è sismologo di formazione geologica, dirigente di ricerca dell’INGV, è autore di numerosi studi sulle faglie attive in Italia e in altri paesi. In particolare è il “fondatore” della banca dati delle sorgenti sismogenetiche italiane (DISS, Database of Individual Seismogenic Sources: http://diss.rm.ingv.it/diss/).  Ha dedicato oltre 30 anni della sua carriera a esplorare i rapporti tra tettonica attiva e sismicità storica, con l’obiettivo di fondere le osservazioni geologiche con l’evidenza disponibile sui grandi terremoti del passato. Di recente, con altri colleghi ha pubblicato un lavoro che propone una sorta di graduatoria di vulnerabilità dei comuni appenninici. Gli abbiamo chiesto di illustrarcelo.

Luca, tu sei un geologo del terremoto. Ti occupi di faglie attive, di sorgenti sismogenetiche, di terremoti del passato, di pericolosità sismica. Di recente ti sei avventurato, con altri colleghi, nel tema della vulnerabilità sismica del patrimonio edilizio italiano[1],[2]. Come mai questa scelta? Continua a leggere

The forgotten vulnerability (interview with Gianluca Valensise)


Gianluca Valensise, of the Earthquake Department of INGV, Rome, is a seismologist with a geological background, an INGV research manager, and the author of numerous studies on active faults in Italy and other countries. In particular he is the “founder” of Italy’s Database of Individual Seismogenic Sources (DISS, http://diss.rm.ingv.it/diss/). He has spent over 30 years of his career exploring the relationships between active tectonics and historical seismicity, with the goal of merging geological observations with the available evidence on the largest earthquakes of the past.
Recently, with other colleagues, he published a work that proposes a sort of vulnerability ranking of Apennines municipalities. We discuss it below.

Luca, you are an earthquake geologist. You deal with active faults, seismogenic sources, past earthquakes, seismic hazard. Recently, with other colleagues, you have ventured into the theme of seismic vulnerability of the Italian building heritage. How come this choice? Continua a leggere

L’educazione al rischio sismico: un bilancio parziale (colloquio con Romano Camassi)

Earthquake risk education: a partial statement (interview with Romano Camassi).


Romano Camassi è un ricercatore dell’INGV (Sezione di Bologna). ‘Sismologo’, di formazione eccentrica (una laurea in Pedagogia, una tesi in storia moderna), impegnato da oltre tre decenni in ricerche storiche su terremoti. Coautore dei principali cataloghi di terremoti italiani. Da oltre 15 anni dedica una parte del suo lavoro a progetti di educazione al rischio sismico.

Dopo ogni terremoto distruttivo, in Italia come altrove, viene richiamata la necessità di migliorare l’educazione al terremoto ovvero al rischio sismico, o addirittura di introdurla a vari livelli. E’ vero che, sia pure non in modo generalizzato, vi sono state e vi sono diverse iniziative in questo ambito. Ci puoi dare una idea, e magari rinviare a qualche pubblicazione che le riassuma? Continua a leggere

Earthquake risk education: a partial statement for Italy (interview with Romano Camassi)

Translated by Google Translate, revised

Romano Camassi is a researcher at INGV (Department of Bologna). ‘Seismologist’ of eccentric training (a degree in Pedagogy, a thesis in modern history), engaged for more than three decades in historical research on earthquakes. Co-author of the main catalogues of Italian earthquakes. For over 15 years he has dedicated a part of his work to seismic risk education projects.

After every destructive earthquake, in Italy as elsewhere, the need to improve the earthquake education the seismic risk education, or even to introduce it at various levels, is recalled. It is true that, albeit not generally, there have been and there are several initiatives in this area. Can you give us an idea, and maybe refer to some publication that summarizes them?
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Tutti sulla stessa faglia: un’esperienza di riduzione del rischio sismico a Sulmona (colloquio con Carlo Fontana)

Carlo Fontana è un ingegnere meccanico che vive nei pressi di Sulmona, e quindi nei pressi di una delle faglie appenniniche più pericolose: quella del Morrone. Lavora nel settore industriale e fino al 2009 non ha considerato il rischio sismico come rilevante nella sua vita. Con lui abbiamo discusso della sua esperienza di riduzione della vulnerabilità sismica della sua casa e di impegno pubblico sul tema della prevenzione nel suo territorio.

Ci racconti come era – dal punto di vista sismico – l’edificio in cui vivevi ?

L’edificio in questione è la casa paterna di mia moglie, che abbiamo deciso di ristrutturare dopo il matrimonio per renderla bifamiliare. Era composto da un nucleo originario in muratura calcarea tipica della zona, primi anni del 900, a cui è stato affiancato un raddoppio negli anni  ‘60 con muratura in blocchi di cemento semipieni. Solai in profili metallici e tavelle, scala in muratura e tetto in legno. E’ stata danneggiata e resa parzialmente inagibile dai terremoti del 7 e 11 maggio 1984. Nel 2008 era ancora in attesa del contributo per un intervento di riparazione progettato a ridosso del sisma.

Fig01

Qual è stata la molla che è scattata per indurti a rivedere il progetto relativo alla tua abitazione? Continua a leggere

Sisma Safe: come scegliere di “essere più antisismico” (colloquio con Giacomo Buffarini)

Quando un edificio può essere definito sicuro in caso di terremoto? E’ sufficiente che sia stato progettato e realizzato secondo le norme sismiche? E quali norme, visto che sono cambiate e migliorate nel corso degli anni?
Queste ed altre problematiche vengono affrontate dalla iniziativa “Sisma Safe”, un’associazione senza scopo di lucro che, attraverso un’attività informativa, vuol dare una risposta al bisogno di sicurezza individuando degli esempi positivi che siano in grado di trascinare il mercato edilizio. Ne parliamo con Giacomo Buffarini, ingegnere, ricercatore presso l’ENEA, ente che collabora a questa iniziativa.

Come è nata l’iniziativa “Sisma Safe” e quali sono gli obiettivi che persegue?

Sisma Safe nasce dalla sensibilità di alcune professioniste (ingegneri e architetti) che hanno compreso come ogni sforzo in ambito edilizio di miglioramento delle performance energetiche, del comfort abitativo, o ogni altro investimento risultano vani se non è garantita la sicurezza strutturale e che risulta, quindi, necessario limitare la vulnerabilità sismica di un edificio. L’obbiettivo è fare in modo che l’edificio, a seguito di un evento sismico della portata di quello previsto dalla normativa, non solo consenta la salvaguardia della vita (ossia non crolli), ma che possa continuare ad essere usato; più semplicemente subisca un danneggiamento nullo o estremamente limitato. Continua a leggere

Towards the new seismic hazard model of Italy (interview with Carlo Meletti)


In 2004 a small research group, coordinated by INGV, released the Map of Seismic hazard of the Italian territory (MPS04), compiled as required by the Ordinance n. 3274 of the President of the Council of Ministers (2003). The map was to serve as a reference for the Regions, whose task is to update the seismic classification of the respective territories. The map was then made “official” by the Ordinance n. 3519 of the President of the Council of Ministers (28 April 2006) and subsequently published on  the Official Gazette (No. 108 of 11 May 2006).
In the following, other elaborations were added to the map using the same conceptual structure. It  represents the first modern seismic hazard model for Italy. For the first time estimates for different return periods and for various spectral accelerations were released. This model has been then used as the basis for the building code contained in the 2008 Technical Regulations (NTC08), which became operational in 2008 and was also adopted by the 2018 Technical Regulations.
Features and events related to the success of MPS04 are described, among other things, in two posts of this blog:

https://terremotiegrandirischi.com/2016/09/26/che-cose-la-mappa-di-pericolosita-sismica-prima-parte-di-massimiliano-stucchi/
https://terremotiegrandirischi.com/2016/10/05/la-mappa-di-pericolosita-sismica-parte-seconda-usi-abusi-fraintendimenti-di-massimiliano-stucchi/

As usual in many seismic countries, since a few years a research group is compiling a new hazard model, which uses updated data and techniques.
Massimiliano Stucchi discusses about it with Carlo Meletti who, after its important contribution to MPS04, coordinates the new initiative through the INGV Seismic Hazard Center.

MPS04,  even if compiled  “in a hurry” in order to meet the State requirements, had a considerable success, both in the technical-administrative field and – after a few years – at the public level. What drives a new model to be built?

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Come ridurre una volta per tutte il rischio sismico in Italia (Patrizia Feletig e Enzo Boschi)

In un articolo sul Corriere della Sera lunedì 19 marzo, Milena Gabanelli scrive di copertura assicurativa contro i terremoti ipotizzando un intervento dello Stato come avviene in alcuni paesi esteri, quale alternativa finanziariamente più sostenibile rispetto al risarcimento finanziato con varie “tasse sulla disgrazia”.
Giusto, anche perché i costi per la ricostruzione inseguono una parabola incontrollabile considerato l’aumento della concentrazione di ricchezza per metro quadro. Ma soprattutto con la diffusione di un sistema di copertura assicurativa, gli edifici verrebbero per forza sottoposti a collaudi strutturali. Come dovrebbe essere per attuare la famosa “carta d’identità del fabbricato” rimasta lettera morta. Mentre negli altri paesi europei un fabbricato senza una validazione strutturale non ottiene l’allacciamento di luce, acqua, ecc. in Italia, ci si limita alla verifica formale della sola certificazione energetica del fabbricato in occasione di vendita o locazione!

Una polizza potrebbe allora diventare un incentivo alla prevenzione con la responsabilizzazione delle istituzioni come testimonia la copertura da rischio contro catastrofi naturali francese a partecipazione mista stato-mercato in vigore dal 1982 e incresciosamente non citato nell’articolo! Per non discriminare tra aree ad alto rischio e quelle poco esposte, il premio è fisso, varia invece la franchigia a secondo se il comune dove risiede il fabbricato ha adottato provvedimenti come dei lavori di contenimento di corsi d’acqua o adeguamenti alle norme antisismiche, per contenere la propria esposizione ad alluvioni, terremoti, eruzioni vulcaniche.
Considerando gli otto terremoti più forti che hanno colpito la Penisola negli ultimi 42 anni, non si può non convenire che una polizza contro il sisma sia una misura più che necessaria. Deplorevole che se ne discuta da un quarto di secolo (il primo disegno di legge risale al 1993) e sebbene a volte la proposta sia anche riuscita a spuntare in qualche Finanziaria, è stata velocemente stralciata come fosse l’ennesima gabella impossibile da fare ingoiare al popolo dei proprietari di case.

Ma proprio la politica è doppiamente colpevole.
Primo per il suo irresponsabile fatalismo a ritenere di poter continuare ribaltare sull’iniziativa del singolo la messa in sicurezza delle abitazioni recentemente “incentivata” con la detraibilità fiscale. Il sisma bonus è un lodevole strumento fortemente voluto da Ermete Realacci ma la cui efficacia si scontra con il cronico vizio dei lavori edili in nero.
Secondo, se il 70% del patrimonio immobiliare di un territorio sismico come l’Italia, risulta inadeguato a scosse di medie magnitudo, è anche grazie alla sconsideratezza con la quale gli amministratori locali spesso, non hanno vietato l’edificabilità in aree a rischio. Casamicciola è solo l’ultimo dei tanti casi. Lo stesso vale quando nelle nuove costruzioni o negli interventi di riqualificazione, non hanno fatto rispettare le leggi sulla prevenzione sismica.
Il sindaco di Amatrice è indagato proprio per il crollo di una palazzina che nel 2009 venne evacuata a seguito delle scosse dell’Aquila e, in seguito degli interventi di ripristino, dichiarata dal comune agibile salvo franare la notte del 24 agosto 2016 causando la morte dei suoi abitanti.

Decisamente scellerata poi è la piaga dei condoni, la cui madre di tutte le regolarizzazioni dell’abusivismo è la legge 47 del 1985 del governo Berlusconi. Una sanatoria per la quale grande fu la protesta affinché almeno i territori dichiarati sismici fossero esclusi da questa delittuosa fittizia idoneità assegnata per default all’edificazione precaria, fuori norma, illecita. Sì delittuoso, perché la natura è matrigna ma le vittime dei terremoti sono attribuibili all’abusivismo, alle irregolarità, alla sciatteria, che hanno molti corresponsabili. In un tragico intreccio dove i colpevoli magari finiscono anche per essere loro stessi vittime delle loro azioni o omissioni. Ma questa non è giustizia.

Belice 1968: 50 anni dopo – Belice 1968, 50 years after (Massimiliano Stucchi)

Si ringraziano Renato Fuchs, Maurizio Ferrini e Andrea Moroni

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Il terremoto – o meglio la sequenza sismica – del Belice (i parametri sismologici si possono trovare in https://emidius.mi.ingv.it/CPTI15-DBMI15/ arrivò nel gennaio del 1968, quando il “Sessantotto” non era ancora cominciato. Non si era “abituati” ai terremoti come lo siamo ai giorni nostri: sei anni prima c’era stato quello del Sannio-Irpinia e per avere un altro M6 bisognava risalire al 1930, anche se, nel frattempo, non erano mancati terremoti capaci di produrre danni.
I terremoti del Belice annunziarono in un certo senso il decennio sismico degli anni 70: 1971 Tuscania, 1972 Ancona, 1976 Friuli, 1978 Golfo di Patti, 1979 Norcia e Cascia, 1980 Irpinia e Basilicata. E il dopo-terremoto divenne simbolo di spopolamento, emigrazione, rapine di fondi pubblici, follie urbanistiche e quant’altro.

All’epoca studiavo fisica, con interessi prevalenti rivolti alla fisica cosmica. In occasione di un soggiorno a Palermo nel 1969 raccolsi le descrizioni di amici e parenti che avevano vissuto il periodo sismico. Scoprii Segesta e partecipai alla mattanza a Favignana ma non andai nel Belice. Visitai per la prima volta il Belice nel 1977, in autostop, in coda alla mia prima scuola di Geofisica di Erice, dopo aver partecipato alle celebrazioni del trentennale della strage di Portella della Ginestra. Si stava costruendo: diverse località – secondo tradizione – venivano ricostruite altrove, e le rovine di Gibellina non erano ancora state sigillate dal Cretto di Burri. 

Ci ritornai altre volte con la benemerita Scuola di Geofisica diretta da Enzo Boschi, sempre diretto alla mia preferita – e ancora viva – Poggioreale ormai “antica”.

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“Ricostruire…dove, come?” Un opuscolo del 1981 – “Reconstructing … where, how?” A 1981 booklet (Massimiliano Stucchi)

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Come già ricordato, il terremoto del 1980 trovò la comunità scientifica (sismologi, geologi, ingegneri, vulcanologi) impegnata nel Progetto Finalizzato Geodinamica (PFG) del CNR che stava volgendo al termine (avviato nel 1976 il PFG aveva incontrato i terremoti del Friuli, 1976; Patti, 1978; Norcia, 1979).

Lo sforzo fu enorme. Oltre alle osservazioni strumentali coordinate dall’Osservatorio Vesuviano, che consentirono in seguito una delle prime ricostruzioni “moderne” della sorgente sismica, furono svolte indagini macrosismiche e geologiche. Continua a leggere

Achille e la tartaruga, ovvero la riduzione di vulnerabilità e rischio sismico in Italia (colloquio con Gian Michele Calvi)

Come dopo ogni terremoto distruttivo in Italia, anche dopo la sequenza sismica del 2016-2017 si sono risvegliati i dibattiti sul rischio sismico, sulla messa in sicurezza degli edifici, i relativi costi, ecc.
Ne discutiamo con Gian Michele Calvi, professore allo IUSS di Pavia e Adjunct Professor alla North Carolina State University. Calvi è stato il fondatore della Fondazione Eucentre e della ROSE School a Pavia; è attualmente uno dei Direttori della International Association of Earthquake Engineering. Ha coordinato, fra le altre cose, il Gruppo di Lavoro che ha redatto il testo dell’Ordinanza PCM 3274 del 2003, che ha innovato il sistema della normativa sismica in Italia. È stato presidente e componente della Commissione Grandi Rischi, sezione rischio sismico. È stato imputato, e successivamente assolto “perché il fatto non sussiste”, nel cosiddetto “Processo Grandi Rischi”.

Ha sempre lavorato ad innovare la progettazione sismica, concentrandosi inizialmente sulle strutture in muratura e sui ponti, l’isolamento e la progettazione basata sugli spostamenti negli ultimi vent’anni. Ha pubblicato un gran numero di articoli sull’argomento e ricevuto vari riconoscimenti internazionali.

C’è qualcosa di nuovo all’orizzonte, secondo te?

Sai bene quanto me che si tratta di risvegli a carattere cronico, che si ripetono in modo analogo da più di un secolo. Nel caso specifico mi pare che ci siano ancora più chiacchiere e meno fatti. Incluso la fantomatica “Casa Italia” di cui confesso di non capire nulla, obiettivi strategia tattica risultati.
Gli unici momenti in cui ho percepito fatti veri, in modo diretto o attraverso lo studio della cronaca sono stati:

  • l’incredibile sviluppo scientifico e tecnico che ha seguito il terremoto di Messina del 1908;
  • la strategia di ricostruzione dopo il Friuli, in cui si è privilegiato il settore produttivo rispetto al residenziale;
  • la rivoluzione di norme e mappa di pericolosità dopo il terremoto di San Giuliano di Puglia del 2002;
  • la costruzione di 186 edifici isolati in poco più di sei mesi dopo il terremoto di L’Aquila.

So bene che gli ultimi due casi possono apparire come auto citazioni, ma ciò non toglie nulla ai fatti. Quello che ora mi piacerebbe vedere è un cambiamento della politica di intervento dopo un evento, con la creazione di incentivi che favoriscano l’azione dei privati ed il progressivo passaggio dallo Stato al sistema assicurativo della copertura delle perdite.
Spero, senza ottimismo. Continua a leggere

Achilles and the Turtle, or the reduction of vulnerability and seismic risk in Italy (interview with Gian Michele Calvi

(translated from the Italian by Google Translate, reviewed)

As after every destructive earthquake in Italy, the sequence of 2016-2017 has awakened the debates on seismic risk, on the safety of buildings, the relative costs, etc.
We discuss this with Gian Michele Calvi, who is professor at the IUSS of Pavia and Adjunct professor at North Carolina State University. He was the founder of the Eucentre Foundation and the ROSE School in Pavia; he is currently one of the directors of the International Association of Earthquake Engineering.
He coordinated, among other initiatives, the working group that drew up the text of the Ordinance PCM 3274 of 2003, which innovated the system of the seismic building code in Italy. He was president and member of the Commission of Major Risks, seismic risk section. He was accused, and subsequently acquitted “because the fact does not exist”, in the so-called “Great risks” or L’Aquila trial.
He has always worked to innovate the seismic design, concentrating mainly on masonry structures and bridges, isolation and design based on displacements over the last twenty years. He has published a large number of articles on the subject and received various international recognitions.

Is there something new on the horizon, according to you?

You know as well as me that there are chronic awakenings, which are repeated in a similar way since more than a century. In the specific case it seems to me that there is even more talking and less facts. Including the fancy “Casa Italia”, of which I confess I do not understand anything: tactics, strategy, goals.
The only moments in which I perceived real facts, directly or through the study of the history were:

  • the incredible scientific and technical development that followed the Messina earthquake of 1908;·
  • the rebuilding strategy after Friuli, where the production sector was more privileged than the residential one;
  • the revolution of codes and seismichazard maps the earthquake of San Giuliano of Puglia in 2002;
  • the construction of 186 isolated buildings in just over six months after the earthquake in L’Aquila.I know that the last two cases may appear as self-quotes, but that does not detract from the facts.
    What I would like to see now is a change in the policy of intervention after an event, creating incentives for private action and progressive transition from the state to the loss coverage insurance system.
    Hope, without optimism.

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Che cosa vuol dire “antisismico”? What does “anti-seismic” mean? (Colloquio con Rui Pinho)

English version below

Il termine “antisismico” è entrato da qualche tempo a far parte del linguaggio corrente dei media: si legge ad esempio che “il 70% degli edifici italiani non è antisismico”; “9 scuole su 10 non sono antisismiche” (si veda ad esempio un recente articolo pubblicato dall’Espresso che fornisce la possibilità di interrogare il database delle scuole italiane, gestito dal MIUR, ottenendo la risposta al quesito se la singola scuola sia o meno antisismica – ne discutiamo più avanti). Il termine, tuttavia, assume differenti significati a seconda di chi lo usa: l’immaginario collettivo lo percepisce, più o meno, come una sorta di sistema binario che si risolve per l’appunto in un sì o un no (antisismico uguale “a prova di terremoto”): l’ingegnere lo intende in un modo un po’ diverso, e preferisce parlare ad esempio di “quanto antisismico”.
Ne discutiamo con Rui Pinho, ingegnere sismico, professore associato all’Università di Pavia, per cinque anni segretario generale dell’iniziativa internazionale GEM (Global Earthquake Model) e che svolge ora l’incarico di Direttore Scientifico della Fondazione Eucentre di Pavia. Continua a leggere

Ischia, Torre Annunziata, percezione del rischio e magnitudo (Massimiliano Stucchi + 8 commenti)

L’Italia si stava avviando a ricordare l’anniversario del terremoto di Amatrice (24 agosto 2016) con modalità diverse, ovviamente, quando il terremoto di Ischia ha riaperto drammaticamente il problema della cosiddetta prevenzione, di cui tanto si è parlato e si parla. La mattina del 21, giorno del terremoto, il Ministro Del Rio aveva parlato al meeting di Rimini. Del Rio è ministro di un paio di governi che non mi piacciono, ma fra i tanti è una persona che stimo. Dopo aver (purtroppo) riproposto una “perla” che deve essergli rimasta in tasca dai tempi dei terremoti del 2012 (“la zona non era conosciuta come sismica”, ignorando il lavorio fatto dalla Regione Emilia e Romagna per ritardare il più possibile l’inserimento in zona sismica della gran parte del suo territorio), ha ricordato, illustrato e difeso il “sismabonus” e le iniziative di “Casa Italia”, ricordando anche che la soluzione dei problemi non è per domani. Stimolato da qualche interlocutore si è anche spinto più in là, parlando della necessità del fascicolo di fabbricato e di eventuali demolizioni, ove necessario. Ohibò! Continua a leggere

Dopo i terremoti: alloggi provvisori e ricostruzione consapevole (di Renato Fuchs)

Da varie settimane si assiste a un crescendo di proteste per i ritardi con cui vengono portati avanti i piani di ricostruzione dei paesi colpiti dai terremoti del 2016, il cui numero si è esteso a seguito degli eventi del gennaio 2017. Di recente, lo stesso Commissario Straordinario Vasco Errani ha sostenuto che poco è stato fatto.
E’ bene precisare, tuttavia, che si tratta di ritardi riferiti alla fase di assistenza post-terremoto, e non di ricostruzione vera e propria, della quale non si conoscono ancora i piani definitivi.
Abbiamo posto alcune domande a Renato Fuchs, di Eucentre, che ha svolto un importante ruolo organizzativo nell’ambito del “Progetto CASE” (L’Aquila, 2009) ed è ora responsabile del sistema informativo di supporto alla gestione delle necessità di assistenza alla popolazione a seguito delle recenti emergenze in Centro Italia, realizzato in collaborazione con il Dipartimento della Protezione Civile (DPC).

Con quali strumenti è stata gestita la fase di prima assistenza, per assicurare ai terremotati un alloggio provvisorio dopo il periodo trascorso nelle tendopoli?
Ai cittadini colpiti dagli ultimi terremoti sono state offerte le seguenti forme di assistenza:
– Container collettivi: sono soluzioni “ponte” tra le tende e le altre sistemazioni, consistenti in edifici prefabbricati di grandi dimensioni, in ciascuno dei quali vengono ospitate 20-30 persone;
– CAS (Contributo di Autonoma Sistemazione): un contributo economico mensile alla famiglia che intenda alloggiare a proprie spese. L’importo dipende dal numero di componenti il nucleo famigliare e dalla presenza nello stesso di anziani, disabili o portatori di handicap. Tale importo, inizialmente fissato in 200 euro a persona al mese, è stato aumentato a partire dal 15 novembre 2016 a 300 euro a persona;
– Alloggio in strutture ricettive: è stata stipulata una convenzione con le associazioni di categoria, in base alla quale per ogni giornata di presenza di un cittadino presso una struttura ricettiva, viene riconosciuto alla stessa un importo di 40, 35 o 25 euro in funzione del trattamento ricevuto (rispettivamente pensione completa, mezza pensione o camera e colazione);
– SAE (Soluzioni Abitative di Emergenza): sono edifici prefabbricati, realizzati dalle ditte che si sono aggiudicate nel 2014 una gara CONSIP, di diverse metrature in funzione della numerosità del nucleo familiare, generalmente “a schiera”. Le tempistiche per la loro disponibilità dipendono anche dall’individuazione delle aree e dalla realizzazione dei necessari lavori di fondazione e di urbanizzazione;
– MAPRE (Moduli Abitativi Provvisori Rurali Emergenziali): si tratta di edifici prefabbricati singoli, installati in prossimità di stalle o fattorie, destinati ad ospitare gli allevatori/agricoltori che abbiano la necessità di rimanere vicini ai propri luoghi di lavoro. Continua a leggere

Terremoti e faglie nell’Appennino centrale, tra prevedibilità e sorprese (Gianluca Valensise)

Gianluca Valensise, sismologo di formazione geologica, dirigente di ricerca dell’INGV, è autore di numerosi studi sulle faglie attive in Italia e in altri paesi. In particolare è il “fondatore” della banca dati delle sorgenti sismogenetiche italiane (DISS, Database of Individual Seismogenic Sources: http://diss.rm.ingv.it/diss/).
Qualche settimana fa ha rilasciato una intervista sul potenziale sismico della faglia del Gorzano, interessata dai terremoti del 18 gennaio 2017, i cui contenuti non coincidevano esattamente con il comunicato del Dipartimento della Protezione Civile (DPC), che riassumeva il parere della Commissione Grandi Rischi (CGR).
La materia è complessa e le valutazioni sul potenziale sismogenetico di una faglia, prima e dopo un evento sismico importante, sono particolarmente difficili. Abbiamo chiesto a Gianluca di offrirci il suo punto di vista, per aumentare la nostra capacità di comprensione, senza per questo volerlo porre in contrapposizione ad altri pareri, in particolare a quelli “ufficiali”.

Gli eventi del 18 gennaio 2017 non possono essere analizzati a prescindere dalla sequenza di eventi iniziata il 24 agosto 2016. Qual’è la tua opinione su questa sequenza, lunga e dolorosa?

La mia opinione, che dettaglierò meglio nella risposta alla domanda seguente, è che le sequenze lunghe e articolate siano una caratteristica connaturata con l’essenza stessa dell’Appennino. Le rocce che formano la crosta terrestre al di sotto dell’Appennino sono sempre sotto tensione, più o meno “cariche” e più o meno vicine al punto di non ritorno, ovvero al terremoto. Ma il terremoto può accadere “in un’unica soluzione”, come avvenne ad esempio in Irpinia nel 1980, quando una devastante scossa di magnitudo prossima a 7.0 fu seguita da un corteo di repliche trascurabile rispetto a quello che abbiamo visto negli ultimi sei mesi, o può avvenire per scosse successive di dimensioni grossolanamente confrontabili, come è successo con i tre terremoti di Amatrice (24 agosto, M 6.0), Visso (26 ottobre, M 5.9), e Norcia (30 ottobre, M 6.5: si veda l’immagine allegata); i quali, tra l’altro, hanno rilasciato una energia complessiva che è ancora inferiore a quella rilasciata dal solo terremoto del 1980.

Valensise_sequenza 2016-2017

Distribuzione delle scosse principali (magnitudo 5.4 e superiori) della sequenza del 2016-2017. L’immagine è stata tratta dal sito INGVTerremoti ed è aggiornata al 23 gennaio scorso: risultano quindi in piena evidenza le quattro forti scosse del 18 gennaio e le successive repliche (https://ingvterremoti.wordpress.com/2017/01/23/sequenza-in-italia-centrale-aggiornamento-del-23-gennaio-ore-1100/).

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Terremoti e grandirischi: ci risiamo? (di Massimiliano Stucchi)

Una doverosa premessa: di seguito commento quanto letto su “social” e stampa, fonti che – come è noto – devono essere prese con il beneficio di inventario.

Il 18 gennaio 2017 alcuni terremoti di media magnitudo hanno interessato la zona a sud di Amatrice, già in parte colpita dalla sequenza sismica iniziata il 24 ottobre 2016, nella quale si trova il bacino d’acqua di Campotosto. Ai terremoti è seguita la valanga che ha sepolto l’hotel Rigopiano.
Il 20 gennaio si è riunita la Commissione Grandi Rischi, organo consultivo del Dipartimento della Protezione Civile (DPC) che – secondo le procedure in uso dopo la ridefinizione dei suoi compiti seguita alla vicenda aquilana del 2009 – ha rilasciato le proprie valutazioni mediante un verbale destinato a DPC. Continua a leggere

Terremoti, esposizione e assicurazioni (di Patrizia Feletig e Enzo Boschi)

Di tutti paesi dell’Europa l’Italia è il paese più esposto alle catastrofi. Terremoti, alluvioni, frane, maremoti, avversità atmosferiche eccezionali di ogni sorta, colpiscono regolarmente il Belpaese che deve mettere in conto dai 3-3,5 miliardi annui  di danni materiali. In media, perché se succede “the Big One”, ovvero l’evento con ricorrenza ogni 200 anni allora le perdite economiche causate da calamità schizzano molto in alto.

Per esempio, incrociando la storia sismica nazionale con gli strumenti parametrici di sofisticati modelli si ricavano proiezioni da brivido. Secondo una simulazione della società svizzera di riassicurazione Swiss Re, un terremoto di magnitudo 6.2 (come quello di Amatrice) nell’area di Parma potrebbe causare perdite per 53 miliardi di euro. A titolo di confronto, considerate che gli 8 rilevanti terremoti (escluso quello dell’ultima settimana) avvenuti negli ultimi 40 anni sulla Penisola hanno totalizzato danni per 60 miliardi di euro circa.
Per completare queste fosche statistiche bisogna sapere che, dal 1970 ad oggi, 7 dei 10 terremoti  più costosi d’Europa si sono verificati in Italia paese doppiamente esposto sia per la vulnerabilità del suo patrimonio artistico che per le costruzioni edificate in assenza o in barba alla normativa antisisimica. Aspetto che dovrebbe far riflettere sulla concessione  del governo di assicurare il risarcimento a tutti, comunque e nonostante le responsabilità precise di taluni, pubblico o privato che siano.

L’indesiderabile primato italiano di esposizione alle catastrofi naturali si accompagna di un’aggravante: risarcire costerà sempre di più. Si accresce il valore concentrato su ogni metro quadro. E’ un trend in accelerazione confermano nel settore assicurativo. Del resto basta paragonare i macchinari di una filanda con quelli di una fabbrica 4.0 di oggi; ma più semplicemente, basta il confronto tra la concentrazione edilizia ai tempi dei nostri nonni e quella di adesso o, ancora, tra gli elettrodomestici contenuti nella casa dei genitori e le apparecchiature elettroniche mediamente possedute oggi.
E’ evidente che con questo aumento vertiginoso dell’esposizione, indennizzare con il solo intervento dello Stato non può reggere alla lunga. Non sono solo le casse pubbliche a non farcela ma finisce per azzopparsi l’intero sistema paese con ripercussioni sulle valutazioni delle società di rating. Si calcola che un evento catastrofale con ritorno, ossia che avviene statisticamente ogni 250 anni può arrivare a produrre una retrocessione di quasi un punto.

C’è poi una prospettiva macro che va tenuta in considerazione. “Le misure di prevenzione e gli interventi strutturali antisismici sono fondamentali e imprescindibili ma neppure così il rischio può essere completamente annullato, in particolare quello di natura economico-finanziaria. Una grande calamità catastrofale, inoltre, sconvolge il sistema economico produttivo del Paese, mette a dura prova la sua resilienza, impatta sul PIL. Magari salviamo la vita ma perdiamo casa e lavoro: di qui l’importanza di una gestione del rischio ex-ante combinando prevenzione anti-sismica e copertura finanziaria-assicurativa” spiega Marco Coletta a capo di una compagnia di riassicurazione con 150 anni di attività alle spalle, sottolineando il deficit di protezione assicurativa in Italia.
Le PMI (Piccole e Medie Imprese) sono largamente sottoassicurate contro catastrofi naturali e poco più di 1% degli immobili residenziali è coperto. La penetrazione assicurativa del ramo danni non-auto misurata in volume dei premi danni non auto in rapporto al PIL in Italia è pari a 0,9%, in Francia a 2,4%, in Germania a 2,5% e mediamente sopra 2% in tutti gli altri paesi europei dove il meccanismo di mutualità permette di correggere l’incidenza economica del premio sul portatore di rischio più alto. Pagando tutti, pagheremmo molto meno.
“Con una penetrazione superiore a 90% si avrebbero premi medi di 100 euro l’anno. Ma c’è un problema culturale” riconoscono alcuni assicuratori che non nascondono la difficoltà di far accettare un concetto di obbligatorietà a consumatori già guardinghi con l’obbligo del RC auto e professionali e auspica una campagna di sensibilizzazione promossa dal governo. Singolare la modesta attenzione del legislatore alla funzione sociale della copertura assicurativa contro inondazioni e terremoti in un paese come l’Italia. Non godono di nessun incentivo fiscale: non sono deducibili nella dichiarazione dei redditi (come invece avviene per le polizze vita) e l’Iva è alta ( 22,25%). Gli schemi di copertura potrebbero prevedere una cooperazione tra pubblico e privato. Lo Stato potrebbe assumere il ruolo di riassicuratore in ultima istanza, dove per esempio le compagnie private coprono fino a concorrenza di un importo alto, oltre a quella soglia (caso meno probabile) interverrebbe lo Stato che potrebbe, per esempio, coprirsi con operazioni di cartolarizzazione di immobili pubblici.

Se il terremoto dell’Irpinia dove i primi soccorritori ad arrivare sul posto furono operai specializzati inviati dal sindacato, ha portato alla nascita della Protezione Civile, possiamo sperare che questi ultimi sismi in Centro Italia, portino a soluzioni efficienti e finanziariamente sostenibili di risarcimento dei danni economici da calamità naturali?

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La ricostruzione, ovvero: il grande condono? (Massimiliano Stucchi)

Premessa. In questo post si parlerà dei costi della ricostruzione del terremoto.  Si parlerà soprattutto di come i benefici vengano erogati: a favore di chi, a carico di chi. Senza che la solidarietà umana per chi ha perso la casa venga meno, e senza negare la necessità dei soccorsi e dei primi aiuti, ci si interrogherà sulla logica che presiede, tradizionalmente, alla ricostruzione post-sismica. E si cercherà di capire perché, a differenza di altri casi, in questo non si accertino eventuali responsabilità specifiche, ovvero perché tali responsabilità non costituiscano elemento discriminatorio per l’accesso ai benefici. E perchè non venga incentivato il ricorso alla assicurazione, argomento in parte affrontato in questo blog dal post di P. Feletig e Enzo Boschi (https://terremotiegrandirischi.com/2016/10/12/i-danni-dei-terremoti-chi-paga-di-p-feletig-e-e-boschi/).

Il Decreto per la ricostruzione. Il Presidente del Consiglio ha chiesto alla UE qualche decimo di maggiore “flessibilità” del deficit per la ricostruzione degli edifici danneggiati dal terremoto di Amatrice e dintorni. Si dovrebbe essere contenti se questa richiesta verrà accolta: un po’ come quando si dovrebbe essere contenti perché la Borsa è in positivo (l’andamento della Borsa occupa ormai uno spazio di poco inferiore a quello occupato dal meteo), come se fosse un segnale positivo per tutti – e così non è. Nel caso della flessibilità, qualche decimo in più significa un debito pubblico ancora maggiore. Continua a leggere

La mappa di pericolosità sismica (parte seconda); usi, abusi, fraintendimenti (di Massimiliano Stucchi)

Nella prima parte abbiamo analizzato la mappa MPS04 dal punto di vista scientifico: che cosa descrive, che cosa non descrive, come è stata compilata, ecc.
Le reazioni di chi ha commentato su Twitter sono interessanti: la maggior parte ha confermato però l’aspetto “iconico” che la mappa riveste oggi. Ci torneremo.
In questa seconda parte parliamo delle sue applicazioni: la materia non è semplice e neppure troppo semplificabile; ci ho provato e mi scuso se non ci sono riuscito del tutto.

6) A chi spetta il compito di aggiornare l’elenco dei comuni inseriti in zona sismica?
Fino al 1999 spettava allo Stato il potere/compito di dichiarare “sismico” un dato Comune, associandolo a una zona sismica, o categoria: prima, seconda, e terza solo dal 1981. La zona sismica determinava il livello di severità delle azioni sismiche da considerare in sede di progetto: tre livelli in tutto, quindi. Segnaliamo comunque una caratteristica tutta italiana, e cioè il fatto che alcuni Comuni, dopo essere stati inseriti in zona sismica a seguito di alcuni terremoti, hanno chiesto e ottenuto di esserne esclusi dopo pochi anni “in quanto non erano più venuti terremoti”. Continua a leggere

La prevenzione sismica come problema di risk governance (di Andrea Cerase)

A un mese esatto dal sisma di Amatrice, oltre al drammatico bilancio in termini di vite umane (al momento della pubblicazione il conteggio è fermo a 297 vittime accertate) c’è l’evidenza degli errori, anche involontari, emersi sin dalle prime analisi sui crolli, dell’inadeguatezza delle tipologie costruttive e, insieme, l’indignazione (legittima) per il denaro pubblico speso in interventi di adeguamento in seguito rivelatisi inefficaci e persino controproducenti. Le notizie sulle inchieste giudiziarie hanno avuto un peso rilevante, ma certamente non hanno monopolizzato la discussione com’è invece accaduto per il sisma dell’Aquila e, in misura minore, per quello dell’Emilia. Continua a leggere

L’importanza dei controlli e del ruolo dello Stato nella riduzione del rischio sismico (Alessandro Venieri)

E’ vero: sono pienamente d’accordo con l’articolo di Massimiliano Stucchi “le colpe degli altri”, non bisogna sempre piangersi addosso e delegare agli altri, allo Stato in genere, compiti a cui lo Stato stesso non riesce poi ad assolvere. Sicuramente è soprattutto un problema di carattere culturale, quindi di lunga e difficile risoluzione, ma il problema rimane, i terremoti ci saranno e alcuni saranno ancora più forti di quello dell’Aquila, dell’Emilia e di Amatrice, perciò un cambiamento dovremo pur farlo pensando ai nostri figli e alle future generazioni. Continua a leggere

23 novembre 1980: quando la “Grandi Rischi” non c’era ancora (Massimiliano Stucchi)

 

Il 23 novembre 1980 l’Italia Meridionale viene colpita dal terremoto più disastroso e mortifero dal 1915, terremoto di Avezzano. Le dimensioni del disastro vengono comprese solo nei giorni seguenti. I soccorsi si muovono con molto ritardo. Il presidente Pertini visita quasi subito le zone colpite e pronuncia un memorabile discorso alla TV: Continua a leggere

Franco Barberi e la lezione del terremoto del 1980 (Carlo Meletti)

Recuperare la memoria è un esercizio molto utile, in generale nella vita di tutti i giorni, ma in particolare nel settore della prevenzione dai terremoti, non fosse altro perché sappiamo che dove sono avvenuti già in passato i terremoti potranno verificarsi ancora.Facendo una ricerca con un motore di ricerca su alcune parole chiave relative alla difesa dai terremoti, mi è stato proposto il link ad un documento che conoscevo molto bene, ma che era rimasto in un angolo sperduto della memoria e ho così approfittato della combinazione per rileggerlo. Continua a leggere