Di seguito viene pubblicata la seconda parte del post A proposito di terremoti “di origine antropica”: aspetti generali pubblicato in precedenza (https://terremotiegrandirischi.com/2023/02/27/a-proposito-di-terremoti-di-origine-antropica-aspetti-generali-conversazione-con-enrico-priolo/)
Questo secondo post è dedicato alla situazione italiana.
Raffigurazione delle differenti tipologie di attività che possono indurre o innescare sismicità. In un articolo pubblicato dalla rivista Reviews of Geophysics nel 2017, Grigoli et al. fanno il punto sulla sismicità indotta e analizzano le possibili strategie di controllo delle attività e mitigazione della sismicità che si stanno sviluppando. Figura tratta da Grigoli and Wiemer (2017).
Tra le attività rappresentate nella figura, in Italia non sono svolte: la produzione di olio o gas dalle rocce di scisto, con la meglio nota tecnica del fracking; la produzione di energia geotermica da rocce anidre con fratturazioni stimolate; il confinamento del CO2 nel sottosuolo, anche se per quest’ultima è prevista la costruzione di un impianto a Ravenna nel prossimo futuro.
Quali sono le tipologie di terremoti di origine antropica riscontrate nel nostro paese?
Vorrei iniziare con una premessa. In Italia, l’argomento della sismicità indotta è stato trascurato per lunghissimo tempo. In un articolo del 2013 Mucciarelli, riprendendo delle considerazioni fatte da Caloi nel 1970, riconduceva questo disinteresse alla (micro-)sismicità registrata prima del distacco della frana che portò al disastro del Vajont. Non era il primo caso di sismicità indotta in Italia, ma “ La possibile correlazione al Vajont tra sismicità indotta ed il seguente distacco franoso creava un precedente di cui alcuni avrebbero preferito tacere e dimenticare al più presto”. Mentre l’articolo andava in pubblicazione avvenne il terremoto dell’Emilia, che dette impulso a nuovi studi e iniziative.
Una ricognizione della sismicità indotta in Italia fu effettuata nel 2014 da un tavolo di lavoro coordinato da ISPRA (ISPRA, 2014), e fu successivamente completata da alcune pubblicazioni scientifiche (es: Braun et al., 2018). Il quadro che ne scaturisce evidenzia poco più di una quindicina di casi/siti interessati da attività per i quali si è verificata sismicità potenzialmente indotta. Tuttavia, per circa metà di questi casi il fatto che la sismicità sia stata causata dalle attività umane svolte è solo una ipotesi.
Ci sono 6 casi di sismicità associata ai bacini idrici, tutti di magnitudo piuttosto ridotta (M<3), eccetto uno per il bacino di Campotosto in Abruzzo, più forte ma solo ipotizzato. Altri 6 casi sono quelli associati alla geotermia, la maggior parte localizzati nell’area del Monte Amiata e Larderello e la cui causa umana è ancora solo ipotizzata (tra questi spicca l’evento di magnitudo M4.9 del Monte Amiata del 2000).
Sono poi censiti tre eventi legati alle attività di produzione di idrocarburi, di cui due sono ipotizzati associati alla estrazione di olio (Caviaga (LO) 1951 ed Emilia 2012) e uno è associato alla reintroduzione di fluidi di produzione in profondità (Montemurro 2006). Tornerò in seguito su questi tre eventi.
Un altro evento è infine associato, ma solo come ipotesi, alle attività minerarie svolte a Raibl/Predil (Friuli – Venezia Giulia); per questo evento, avvenuto nel 1965, in una area di rilevante sismicità naturale, è stata stimata solo l’intensità macrosismica, ovvero gli effetti generati, che è stata valuta pari a V MCS (appena sotto la soglia del danno).
Come già accennato, i casi probabilmente più noti in Italia per i quali venne attribuita inizialmente una origine umana sono quelli dei terremoti dell’Emilia del 2012 (con Mmax 5.9) e degli eventi avvenuti a Caviaga nel 1951 (Mmax 5.4). Entrambi gli eventi furono associati all’attività di produzione di idrocarburi, rispettivamente il primo per l’estrazione di olio e reiniezione delle acque di strato residue all’interno del giacimento presso la concessione di Mirandola-Cavone, e il secondo per l’estrazione di gas presso l’omonimo deposito naturale. In entrambi i casi, tuttavia, studi successivi hanno mostrato come essi siano plausibilmente legati a cause naturali, cioè tettoniche, e non innescati dalle attività svolte in loco. Come già detto, la scarsità di dati osservazionali pone grandi difficoltà nell’interpretazione univoca dei fenomeni potenzialmente ritenuti indotti, e questo è estremamente grave se pensiamo che questa situazione era vera pochi anni fa e non è ancora risolta dappertutto.
Restando nell’ambito della produzione di idrocarburi, i campi della Val D’Agri rappresentano una delle aree cui è rivolta la maggiore attenzione in questo periodo, sia per la vastità della zona coinvolta (i depositi della Val d’Agri, per quanto considerati non enormi a livello mondiale, sono il più grosso giacimento di olio on-shore europeo) sia perché, con lo scopo di ridurre l’impatto ambientale del trasporto a distanza delle acque residue (le cosiddette acque di strato) per il loro smaltimento, era stato avviato un progetto di sperimentazione per iniettare queste acque in un pozzo profondo all’interno di strati posti ben al di sotto del giacimento. Quest’attività provocò un terremoto di poco inferiore a magnitudo 2 nel 2014 che destò molta preoccupazione, dato che la Val d’Agri si colloca in una zona considerata tra le più pericolose d’Italia dal punto di vista sismico e nel 1857 fu teatro di uno dei terremoti più forti mai avvenuti in Italia (magnitudo stimata 7.1) e per il quale il sistema di faglie causativo è ancora in discussione. Sia a seguito di questo evento sia per la contiguità del bacino artificiale del Pertusillo, si è proceduto a un notevole irrobustimento delle reti locali di monitoraggio che oggi producono dati molto dettagliati.
Tornando ai casi di sismicità indotta in Italia, si noti anche che per la maggior parte dei casi, la sismicità associata ai bacini idrici è ben documentata e quindi non vi sono dubbi circa la sua natura. Questo fatto non è casuale, in quanto le dighe sono da sempre soggette a monitoraggio accurato in Italia, per questioni di sicurezza. Per contro, stupisce la scarsità di dati —per lo meno, dati pubblicamente disponibili— relativamente alle attività legate alla produzione di idrocarburi. È difficile stabilire se queste attività siano effettivamente meno “pericolose” o se il supposto minore impatto derivi da una mancanza di informazioni frutto di scelte deliberate da parte delle compagnie del settore. L’esperienza del terremoto dell’Emilia del 2012 mostra, a mio parere, che l’assenza o la inadeguatezza dei monitoraggi sia stata controproducente per tutto il paese e, probabilmente, anche per le compagnie stesse.
Riguardo agli idrocarburi, ricordo anche che l’Italia ha circa una quindicina di stoccaggi sotterranei di gas ed è il sesto/settimo paese al mondo per capacità complessiva di stoccaggio. Per questi stoccaggi non ci sono segnalazioni di sismicità indotta correlata all’attività svolta. Sottolineo però che solo alcuni di questi stoccaggi sono dotati da alcuni anni di monitoraggi sismici e della deformazione molto efficienti (ad esempio i siti di Collalto, Cornegliano Laudense e Minerbio) e per questi l’assenza di sismicità è un fatto scientificamente comprovato (es. Romano et al., 2019), che dimostra che se l’attività è ben progettata e ben gestita può non causare sismicità pericolosa per l’uomo. Ricordo anche che la maggior parte delle aree dove si effettuano queste attività è comunque soggetta a terremoti naturali che prima o poi avverranno indipendentemente dalle attività, dunque la riduzione del rischio sismico resta una priorità per vivere in sicurezza.
Infine, vale la pena sottolineare, anche se ormai dovrebbe essere piuttosto noto, che in Italia non viene praticato il “fracking”: ciò perché, al di là di scelte politiche circa l’opportunità o meno di praticare questa tecnica, la risorsa primaria, cioè gli scisti che contengono gas, non esiste in Italia.
E per quanto riguarda la recente vicenda dei terremoti emiliani del 2012?
A mio avviso, l’aspetto importante di questo caso, oltre a quello umano e dei danni economici, è rappresentato dall’insieme delle iniziative messe in atto dal governo nazionale e dall’amministrazione regionale per stabilire se gli eventi disastrosi fossero stati causati, o meno, da alcune attività umane svolte vicino all’area colpita. Il terremoto ebbe origine in strutture di faglie attive, già note nella letteratura scientifica. Dato che praticamente tutta l’Italia è un paese esposto ai terremoti, già solo l’ipotesi di una possibile attribuzione di causa antropica al terremoto, comportava una rivalutazione della potenziale pericolosità di tutte le attività simili esistenti o per le quali era in corso la concessione di nuove licenze. Per almeno due anni furono bloccate tutte le istanze di nuovi permessi di ricerca nel sottosuolo.
Le perplessità e la difficoltà a giungere a conclusioni ultimative era dovuta alla scarsità di dati osservazionali adeguati. La scarsità di monitoraggi specifici e di informazioni pubbliche circa le attività svolte nel sottosuolo favorirono la diffusione di una moltitudine di affermazioni false o distorte, creando in Italia un ambiente assolutamente ostile a una valutazione serena dei fatti e influenzando l’opinione pubblica e della classe politica riguardo alle azioni future da intraprendere in tema di politica energetica. Oggi assistiamo a una precipitosa inversione di rotta, che temo possa portare ad allentare le procedure di controllo e monitoraggio, anche con detrimento per gli avanzamenti in termini di conoscenza scientifica.
I danni del terremoto dell’Emilia 2012 sul campanile di Finale Emilia (LaPresse/Gianfilippo Oggioni)
Quali sono state le iniziative adottate in Italia a seguito del terremoto dell’Emilia e qual è oggi la posizione dell’Italia relativamente al problema della sismicità indotta sia a livello politico sia riguardo all’opinione pubblica?
Dopo il terremoto dell’Emilia, il Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE), allora competente per le attività svolte nel sottosuolo, istituisce la commissione scientifica internazionale ICHESE con il compito di stabilire se il terremoto possa essere attribuito a tre attività svolte nell’area circostante, e cioè la produzione di olio nella concessione di Mirandola-Cavone, l’estrazione di acqua calda a Casaglia per il teleriscaldamento della zona ovest di Ferrara, e le attività di ricerca presso la concessione di Rivara per un futuro stoccaggio di gas, comprendenti perforazioni profonde. La Commissione ICHESE rilascia il proprio rapporto a inizio 2014 (ICHESE, 2014), non escludendo che le attività svolte a Mirandola-Cavone possano avere contribuito a generare il terremoto e insistendo fortemente sulla necessità di dotare le attività svolte nel sottosuolo di monitoraggi di dettaglio per la sismicità, le deformazioni superficiali e le pressioni di poro nel sottosuolo. A seguito dei risultati della Commissione ICHESE viene bloccato il rilascio di nuove concessioni di “coltivazione” e il MiSE istituisce un gruppo di lavoro con lo scopo di definire delle linee guida per l’attuazione di monitoraggi dedicati per le attività svolte nel sottosuolo riguardanti l’estrazione di idrocarburi, lo stoccaggio di gas e la reintroduzione di fluidi in profondità. Le risultanze dell’attività di questo gruppo di lavoro vengono pubblicato in un rapporto a fine 2014 (MISE, 2014), e seguono la pubblicazione del rapporto di un altro gruppo scientifico, coordinato da ISPRA (2014), che fa lo stato dell’arte delle conoscenze sulla sismicità indotta in Italia. A seguito di queste iniziative, viene avviata una sperimentazione delle Linee Guida presso la concessione di Mirandola-Cavone di concerto con la Regione Emilia Romagna, che si concluderà alcuni anni dopo. Nel 2016 il MiSE rilascia un ulteriore documento che integra le Linee Guida anche per le attività geotermiche a media e alta entalpia (MISE, 2016).
Ritengo che l’attività del gruppo di lavoro che ha redatto gli Indirizzi e Linee Guida sia stato molto importante perché si sono cercate di definire le migliori modalità e pratiche di monitoraggio e di eventuale intervento sulle attività sulla base delle conoscenze scientifiche allora disponibili. Mancando in Italia una solida esperienza in questo settore (o, se vogliamo, appartenendo l’esperienza diretta solo alle compagnie private che gestiscono l’attività in proprio) si era prevista una fase di sperimentazione successiva. Per alcune (poche) attività avviate successivamente sono stati realizzati dei monitoraggi in linea con i suggerimenti delle Linee Guida (una prima riflessione sull’esperienza di applicazione delle Linee Guida è stata pubblicata da Braun et al, 2020), ma siamo ancora distanti dall’avere una modalità ben strutturata di condivisione e accesso anche pubblico ai dati rilevati, sia per quanto riguarda i monitoraggi sia per le attività. Questo è ancor più vero per le concessioni già esistenti. Direi quindi che c’è molto da fare in tal senso: da una verifica ex-post delle Linee Guida e un eventuale loro aggiornamento, alla verifica dello stato dei monitoraggi in essere per le varie attività esistenti, alla realizzazione di un punto di riferimento unico, ben strutturato e che favorisca l’accesso e l’uso, anche da parte del pubblico, di tutti i dati e le informazioni raccolti.
Certamente i cambi di Governo e delle competenze assegnate ai Ministeri nel corso del tempo non agevolano questa evoluzione. E credo anche che le compagnie vedano nella trasparenza più un rischio che un valore per le loro attività, anche se ho notato una progressiva, seppur lenta, modifica nell’atteggiamento. Purtroppo, questi vuoti lasciano campo libero alle interpretazioni di parte avversa e alle ipotesi più varie, spesso prive di fondamento scientifico.
Il panorama delle difficoltà connesse alla gestione delle attività in atto nel sottosuolo non riguarda solo l’Italia, ma genericamente tutti i paesi, seppur con alcune rilevanti differenze. Ci sono alcuni punti chiave comuni a tutti che devono assolutamente essere affrontati e risolti meglio, quali: l’esercizio del controllo sulle attività svolte (qui mi riferisco nello specifico all’uso dei monitoraggi come quelli suggeriti dall’ICHESE) da parte di enti indipendenti rispetto al concessionario e legati all’interesse pubblico; la diffusione di informazioni complete in modo trasparente e autorevole; e di conciliare le necessità energetiche e di risorse di un paese con gli interessi delle compagnie private e con i diritti delle popolazioni residenti sia in termini di serenità che di utilizzo del territorio.
Come noto, capita spesso che i terremoti che interessano la fascia costiera marchigiana vengano messi in relazione alle attività di ricerca e di estrazione di idrocarburi. Ricordiamo il caso della sequenza sismica dell’anconetano nel 1972 e anche dei recenti terremoti al largo di Fano. Che cosa si può dire al riguardo?
Tutta la fascia a Est degli Appennini è ricca di risorse di idrocarburi. Molte infrastrutture di estrazione/produzione si concentrano lungo la costa a partire dall’area al confine tra Veneto e Romagna fino all’Abruzzo. Nell’area marchigiana, molte installazioni si trovano off-shore nella zona prospicente Pesaro-Ancona approssimativamente dai 20 ai 60 km dalla costa. Un’altra concentrazione si trova lungo la costa a sud di Ancona, nell’area di Civitanova Marche e Porto S. Elpidio.
D’altra parte, è ben noto che la fascia costiera marchigiana è in grado di rilasciare terremoti moderati (cioè fino a circa M6) sia lungo la costa sia off-shore. La localizzazione fornita dall’INGV colloca i terremoti avvenuti a fine 2022 all’interno della fascia dove si trovano le concessioni di estrazione di idrocarburi, tuttavia bisogna dire che, dato che le stazioni usate per localizzare si trovano per la maggior parte dal medesimo lato (quello costiero) e distano almeno 25 km dall’evento, la localizzazione non può essere ben vincolata. A maggior ragione, mancando stazioni al di sopra dell’evento, anche la profondità stimata in 5 km è mal vincolata. Pertanto non è possibile determinare con sufficiente accuratezza quanto i terremoti recenti siano vicini ai giacimenti di estrazione. Il meccanismo focale stimato è totalmente in linea con lo stile compressivo già riconosciuto in passato per eventi occorsi in quell’area e attribuito a strutture di sovrascorrimento che sono effettivamente presenti. Non è stata rilevata alcuna sismicità nei giorni precedenti.
Non ho altre informazioni riguardo alle attività in corso, e, in assenza di situazioni eclatanti di cui non vi è notizia, penso che l’evento si inquadri coerentemente nella sismicità naturale che caratterizza l’area.
Come possiamo concludere queste riflessioni?
Spero che si sia compreso perché sia così importante rilevare la microsismicità e altre grandezze fisiche, in sostanza disporre di monitoraggi efficaci, nelle zone dove vengono svolte le attività nel sottosuolo. Avere una rete di monitoraggio che permette di riconoscere i microsismi (per intenderci fino a magnitudo compresa tra 0 e 1, ma anche meno se necessario) consente di vedere da subito la fenomenologia in atto e di capire se il sistema complessivo si evolve o è stabile. Inoltre il rapporto tra il numero di terremoti piccoli e più grandi è riconosciuto come parametro che può aiutare a discriminare la sismicità naturale da quella indotta. È su questo gioco “di anticipo” che si sviluppano oggi le linee di ricerca scientifica per cercare di prevenire dinamiche che possano sfuggire dal controllo (cfr. ad esempio Grigoli et al., 2017).
A differenza dei terremoti naturali, quando si parla di sismicità indotta vi è sempre la necessità di dovere attribuire o meno gli eventi a delle attività svolte. Purtroppo, eccetto che per alcuni casi eclatanti, l’interpretazione è sempre difficile, e ciò è tanto più vero se le attività sono svolte in zone sismiche, come in pratica è tutt’Italia. Non è sufficiente né agevole stabilire una correlazione tra un episodio di sismicità e le attività svolte, a meno di situazioni che si ripetono regolarmente, come ad esempio la microsismicità legata alle fluttuazioni dei bacini idrici. La ricchezza e la qualità dei dati di monitoraggio è una base fondamentale e imprescindibile per poter effettuare interpretazioni che abbiano un minimo di solidità. Non sono completamente convinto che oggi si stia procedendo con la necessaria determinazione in questa direzione.
Vorrei insistere ancora su due concetti che devono essere assolutamente rinforzati, quali l’indipendenza degli enti che acquisiscono e interpretano i dati osservativi, e la trasparenza e il libero accesso alle informazioni e ai dati sia per le attività svolte sia per i monitoraggi effettuati. Solo in questo modo si potrà ridurre la diffusione di una moltitudine di affermazioni false o distorte e favorire, in Italia e altrove, un clima adatto a una valutazione serena dei fatti e delle azioni da intraprendere in tema di politica energetica per il futuro.
Infine, è evidente nel periodo che stiamo vivendo quanto sia importante per un paese avanzato, come l’Italia vorrebbe essere, poter disporre di energia e poter svolgere attività che portino occupazione e progresso. Tutto ciò ha un costo, anche in termini di rischi e il concetto di rischio zero non è sostenibile né praticabile, neanche a livello personale. Se vogliamo dare spazio al progresso dobbiamo investire parallelamente in controllo, sicurezza e trasparenza, ma non come mera pratica burocratica. Un altro aspetto collegato a questa considerazione è quello dell’utilizzo delle “royalties”, cioè degli indennizzi, dati dalle compagnie alle amministrazioni dei territori dove le attività si svolgono. Penso in tal senso che, dato che una delle principali argomentazioni di opposizione da parte dei residenti sia quella relativa ai terremoti, sarebbe opportuno che molti di questi soldi fossero investiti per la riduzione del rischio sismico a livello locale anziché per altre iniziative che magari sono ritenute più remunerative per acquisire consenso nell’immediato.
Qualsiasi tipo di produzione di energia ha effetti collaterali e capire su quali attività investire e come queste debbano essere gestite al meglio è frutto di scelte politiche che in democrazia dovrebbero essere condivise. Per esempio, si pensa (e si spera) che molta dell’energia del futuro potrà venire dall’idrogeno. Si tenga però presente che l’idrogeno dovrà essere contenuto in qualche posto, e che, per le grandi quantità che saranno necessarie, lo stoccaggio sotterraneo rappresenterà l’opzione più favorevole. E qui si riaprono le danze …
Riferimenti
Braun T., Cesca S., Kühn D., Martirosian-Janssen A., Dahm T. (2018). Anthropogenic seismicity in Italy and its relation to tectonics: State of the art and perspectives. Anthropocene, 21, 80–94; https://doi.org/10.1016/j.ancene.2018.02.001
Braun T, Danesi S., Morelli A. (2020). Application of monitoring guidelines to induced seismicity in Italy. J. Seismol., 24, 1015–1028; https://doi.org/10.1007/s10950-019-09901-7
Caloi P. (1970). Come la natura reagisce all’intervento dell’uomo – Responsabilità di chi provoca e di chi intrepreta tali reazioni, Annali di Geofisica, XXII, 247-282.
Grigoli, F., Cesca, S., Priolo, E., Rinaldi, A.P., Clinton, J.F., Stabile, T.A., Dost, B., Garcia Fernandez, M., Wiemer, S., and Dahm, T. (2017). Current challenges in monitoring, discrimination, and management of induced industrial activities: a European Perspective, Rev. Geophys., 55, https://doi:10.1002/2016RG000542
Grigoli, F., and Wiemer, S. (2017), The challenges posed by induced seismicity, Eos, 98, https://doi.org/10.1029/2018EO074869. Published on 09 June 2017.
ICHESE (2014). International Commission on Hydrocarbon Exploration and Seismicity in the Emilia Region – Report on the hydrocarbon exploration and seismicity in Emilia region, February 2014, http://geo.regione.emilia-romagna.it/gstatico/documenti/ICHESE/ICHESE_Report.pdf
ISPRA (2014) Rapporto sullo stato delle conoscenze riguardo alle possibili relazioni tra attività̀ antropiche e sismicità indotta/innescata in Italia. Tavolo di Lavoro ai sensi della Nota ISPRA Prot. 0045349 del 12 novembre 2013, 71 pp.
MISE (2014). Indirizzi e linee guida per il monitoraggio della sismicità, delle deformazioni del suolo e delle pressioni di poro nell’ambito delle attività antropiche. https://unmig.mise.gov.it/unmig/agenda/upload/85_238.pdf
MISE (2016). Linee guida per l’utilizzazione della risorsa geotermica a media e alta entalpia. https://unmig.mite.gov.it/risorse-geotermiche/linee-guida-per-lutilizzazione-della-risorsa-geotermica-a-media-e-alta-entalpia/
Mucciarelli M. (2013). Induced Seismicity and Related Risk in Italy. Ingegneria Sismica, XXX (1-2), 118-125.
Romano M. A., Peruzza L., Garbin M., Priolo E., and Picotti V. (2019). Microseismic Portrait of the Montello Thrust (Southeastern Alps, Italy) from a Dense High-Quality Seismic Network. Seismol. Res. Lett., 90(4), 1502-1517; https://doi:10.1785/0220180387