A proposito di terremoti “di origine antropica”: la situazione in Italia (conversazione con Enrico Priolo)

Di seguito viene pubblicata la seconda parte del post A proposito di terremoti “di origine antropica”: aspetti generali pubblicato in precedenza (https://terremotiegrandirischi.com/2023/02/27/a-proposito-di-terremoti-di-origine-antropica-aspetti-generali-conversazione-con-enrico-priolo/)
Questo secondo post è dedicato alla situazione italiana.

Schermata 2023-02-27 alle 09.46.03Raffigurazione delle differenti tipologie di attività che possono indurre o innescare sismicità. In un articolo pubblicato dalla rivista Reviews of Geophysics nel 2017, Grigoli et al. fanno il punto sulla sismicità indotta e analizzano le possibili strategie di controllo delle attività e mitigazione della sismicità che si stanno sviluppando. Figura tratta da Grigoli and Wiemer (2017).
Tra le attività rappresentate nella figura, in Italia non sono svolte: la produzione di olio o gas dalle rocce di scisto, con la meglio nota tecnica del fracking; la produzione di energia geotermica da rocce anidre con fratturazioni stimolate; il confinamento del CO2 nel sottosuolo, anche se per quest’ultima è prevista la costruzione di un impianto a Ravenna nel prossimo futuro.

Quali sono le tipologie di terremoti di origine antropica riscontrate nel nostro paese?
Vorrei iniziare con una premessa. In Italia, l’argomento della sismicità indotta è stato trascurato per lunghissimo tempo. In un articolo del 2013 Mucciarelli, riprendendo delle considerazioni fatte da Caloi nel 1970, riconduceva questo disinteresse alla (micro-)sismicità registrata prima del distacco della frana che portò al disastro del Vajont. Non era il primo caso di sismicità indotta in Italia, ma “ La possibile correlazione al Vajont tra sismicità indotta ed il seguente distacco franoso creava un precedente di cui alcuni avrebbero preferito tacere e dimenticare al più presto”. Mentre l’articolo andava in pubblicazione avvenne il terremoto dell’Emilia, che dette impulso a nuovi studi e iniziative.
Una ricognizione della sismicità indotta in Italia fu effettuata nel 2014 da un tavolo di lavoro coordinato da ISPRA (ISPRA, 2014), e fu successivamente completata da alcune pubblicazioni scientifiche (es: Braun et al., 2018). Il quadro che ne scaturisce evidenzia poco più di una quindicina di casi/siti interessati da attività per i quali si è verificata sismicità potenzialmente indotta. Tuttavia, per circa metà di questi casi il fatto che la sismicità sia stata causata dalle attività umane svolte è solo una ipotesi.
Ci sono 6 casi di sismicità associata ai bacini idrici, tutti di magnitudo piuttosto ridotta (M<3), eccetto uno per il bacino di Campotosto in Abruzzo, più forte ma solo ipotizzato. Altri 6 casi sono quelli associati alla geotermia, la maggior parte localizzati nell’area del Monte Amiata e Larderello e la cui causa umana è ancora solo ipotizzata (tra questi spicca l’evento di magnitudo M4.9 del Monte Amiata del 2000).
Sono poi censiti tre eventi legati alle attività di produzione di idrocarburi, di cui due sono ipotizzati associati alla estrazione di olio (Caviaga (LO) 1951 ed Emilia 2012) e uno è associato alla reintroduzione di fluidi di produzione in profondità (Montemurro 2006). Tornerò in seguito su questi tre eventi.
Un altro evento è infine associato, ma solo come ipotesi, alle attività minerarie svolte a Raibl/Predil (Friuli – Venezia Giulia); per questo evento, avvenuto nel 1965, in una area di rilevante sismicità naturale, è stata stimata solo l’intensità macrosismica, ovvero gli effetti generati, che è stata valuta pari a V MCS (appena sotto la soglia del danno).
Come già accennato, i casi probabilmente più noti in Italia per i quali venne attribuita inizialmente una origine umana sono quelli dei terremoti dell’Emilia del 2012 (con Mmax 5.9) e degli eventi avvenuti a Caviaga nel 1951 (Mmax 5.4). Entrambi gli eventi furono associati all’attività di produzione di idrocarburi, rispettivamente il primo per l’estrazione di olio e reiniezione delle acque di strato residue all’interno del giacimento presso la concessione di Mirandola-Cavone, e il secondo per l’estrazione di gas presso l’omonimo deposito naturale. In entrambi i casi, tuttavia, studi successivi hanno mostrato come essi siano plausibilmente legati a cause naturali, cioè tettoniche, e non innescati dalle attività svolte in loco. Come già detto, la scarsità di dati osservazionali pone grandi difficoltà nell’interpretazione univoca dei fenomeni potenzialmente ritenuti indotti, e questo è estremamente grave se pensiamo che questa situazione era vera pochi anni fa e non è ancora risolta dappertutto.

Restando nell’ambito della produzione di idrocarburi, i campi della Val D’Agri rappresentano una delle aree cui è rivolta la maggiore attenzione in questo periodo, sia per la vastità della zona coinvolta (i depositi della Val d’Agri, per quanto considerati non enormi a livello mondiale, sono il più grosso giacimento di olio on-shore europeo) sia perché, con lo scopo di ridurre l’impatto ambientale del trasporto a distanza delle acque residue (le cosiddette acque di strato) per il loro smaltimento, era stato avviato un progetto di sperimentazione per iniettare queste acque in un pozzo profondo all’interno di strati posti ben al di sotto del giacimento. Quest’attività provocò un terremoto di poco inferiore a magnitudo 2 nel 2014 che destò molta preoccupazione, dato che la Val d’Agri si colloca in una zona considerata tra le più pericolose d’Italia dal punto di vista sismico e nel 1857 fu teatro di uno dei terremoti più forti mai avvenuti in Italia (magnitudo stimata 7.1) e per il quale il sistema di faglie causativo è ancora in discussione. Sia a seguito di questo evento sia per la contiguità del bacino artificiale del Pertusillo, si è proceduto a un notevole irrobustimento delle reti locali di monitoraggio che oggi producono dati molto dettagliati.

Tornando ai casi di sismicità indotta in Italia, si noti anche che per la maggior parte dei casi, la sismicità associata ai bacini idrici è ben documentata e quindi non vi sono dubbi circa la sua natura. Questo fatto non è casuale, in quanto le dighe sono da sempre soggette a monitoraggio accurato in Italia, per questioni di sicurezza. Per contro, stupisce la scarsità di dati —per lo meno, dati pubblicamente disponibili— relativamente alle attività legate alla produzione di idrocarburi. È difficile stabilire se queste attività siano effettivamente meno “pericolose” o se il supposto minore impatto derivi da una mancanza di informazioni frutto di scelte deliberate da parte delle compagnie del settore. L’esperienza del terremoto dell’Emilia del 2012 mostra, a mio parere, che l’assenza o la inadeguatezza dei monitoraggi sia stata controproducente per tutto il paese e, probabilmente, anche per le compagnie stesse.
Riguardo agli idrocarburi, ricordo anche che l’Italia ha circa una quindicina di stoccaggi sotterranei di gas ed è il sesto/settimo paese al mondo per capacità complessiva di stoccaggio. Per questi stoccaggi non ci sono segnalazioni di sismicità indotta correlata all’attività svolta. Sottolineo però che solo alcuni di questi stoccaggi sono dotati da alcuni anni di monitoraggi sismici e della deformazione molto efficienti (ad esempio i siti di Collalto, Cornegliano Laudense e Minerbio) e per questi l’assenza di sismicità è un fatto scientificamente comprovato (es. Romano et al., 2019), che dimostra che se l’attività è ben progettata e ben gestita può non causare sismicità pericolosa per l’uomo. Ricordo anche che la maggior parte delle aree dove si effettuano queste attività è comunque soggetta a terremoti naturali che prima o poi avverranno indipendentemente dalle attività, dunque la riduzione del rischio sismico resta una priorità per vivere in sicurezza.
Infine, vale la pena sottolineare, anche se ormai dovrebbe essere piuttosto noto, che in Italia non viene praticato il “fracking”: ciò perché, al di là di scelte politiche circa l’opportunità o meno di praticare questa tecnica, la risorsa primaria, cioè gli scisti che contengono gas, non esiste in Italia.

E per quanto riguarda la recente vicenda dei terremoti emiliani del 2012?
A mio avviso, l’aspetto importante di questo caso, oltre a quello umano e dei danni economici, è rappresentato dall’insieme delle iniziative messe in atto dal governo nazionale e dall’amministrazione regionale per stabilire se gli eventi disastrosi fossero stati causati, o meno, da alcune attività umane svolte vicino all’area colpita. Il terremoto ebbe origine in strutture di faglie attive, già note nella letteratura scientifica. Dato che praticamente tutta l’Italia è un paese esposto ai terremoti, già solo l’ipotesi di una possibile attribuzione di causa antropica al terremoto, comportava una rivalutazione della potenziale pericolosità di tutte le attività simili esistenti o per le quali era in corso la concessione di nuove licenze. Per almeno due anni furono bloccate tutte le istanze di nuovi permessi di ricerca nel sottosuolo.
Le perplessità e la difficoltà a giungere a conclusioni ultimative era dovuta alla scarsità di dati osservazionali adeguati. La scarsità di monitoraggi specifici e di informazioni pubbliche circa le attività svolte nel sottosuolo favorirono la diffusione di una moltitudine di affermazioni false o distorte, creando in Italia un ambiente assolutamente ostile a una valutazione serena dei fatti e influenzando l’opinione pubblica e della classe politica riguardo alle azioni future da intraprendere in tema di politica energetica. Oggi assistiamo a una precipitosa inversione di rotta, che temo possa portare ad allentare le procedure di controllo e monitoraggio, anche con detrimento per gli avanzamenti in termini di conoscenza scientifica.

FOTO DEI LETTORI: SISMA EMILIA, SEI VITTIME
I danni del terremoto dell’Emilia 2012 sul campanile di Finale Emilia (LaPresse/Gianfilippo Oggioni)

Quali sono state le iniziative adottate in Italia a seguito del terremoto dell’Emilia e qual è oggi la posizione dell’Italia relativamente al problema della sismicità indotta sia a livello politico sia riguardo all’opinione pubblica?
Dopo il terremoto dell’Emilia, il Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE), allora competente per le attività svolte nel sottosuolo, istituisce la commissione scientifica internazionale ICHESE con il compito di stabilire se il terremoto possa essere attribuito a tre attività svolte nell’area circostante, e cioè la produzione di olio nella concessione di Mirandola-Cavone, l’estrazione di acqua calda a Casaglia per il teleriscaldamento della zona ovest di Ferrara, e le attività di ricerca presso la concessione di Rivara per un futuro stoccaggio di gas, comprendenti perforazioni profonde. La Commissione ICHESE rilascia il proprio rapporto a inizio 2014 (ICHESE, 2014), non escludendo che le attività svolte a Mirandola-Cavone possano avere contribuito a generare il terremoto e insistendo fortemente sulla necessità di dotare le attività svolte nel sottosuolo di monitoraggi di dettaglio per la sismicità, le deformazioni superficiali e le pressioni di poro nel sottosuolo. A seguito dei risultati della Commissione ICHESE viene bloccato il rilascio di nuove concessioni di “coltivazione” e il MiSE istituisce un gruppo di lavoro con lo scopo di definire delle linee guida per l’attuazione di monitoraggi dedicati per le attività svolte nel sottosuolo riguardanti l’estrazione di idrocarburi, lo stoccaggio di gas e la reintroduzione di fluidi in profondità. Le risultanze dell’attività di questo gruppo di lavoro vengono pubblicato in un rapporto a fine 2014 (MISE, 2014), e seguono la pubblicazione del rapporto di un altro gruppo scientifico, coordinato da ISPRA (2014), che fa lo stato dell’arte delle conoscenze sulla sismicità indotta in Italia. A seguito di queste iniziative, viene avviata una sperimentazione delle Linee Guida presso la concessione di Mirandola-Cavone di concerto con la Regione Emilia Romagna, che si concluderà alcuni anni dopo. Nel 2016 il MiSE rilascia un ulteriore documento che integra le Linee Guida anche per le attività geotermiche a media e alta entalpia (MISE, 2016).
Ritengo che l’attività del gruppo di lavoro che ha redatto gli Indirizzi e Linee Guida sia stato molto importante perché si sono cercate di definire le migliori modalità e pratiche di monitoraggio e di eventuale intervento sulle attività sulla base delle conoscenze scientifiche allora disponibili. Mancando in Italia una solida esperienza in questo settore (o, se vogliamo, appartenendo l’esperienza diretta solo alle compagnie private che gestiscono l’attività in proprio) si era prevista una fase di sperimentazione successiva. Per alcune (poche) attività avviate successivamente sono stati realizzati dei monitoraggi in linea con i suggerimenti delle Linee Guida (una prima riflessione sull’esperienza di applicazione delle Linee Guida è stata pubblicata da Braun et al, 2020), ma siamo ancora distanti dall’avere una modalità ben strutturata di condivisione e accesso anche pubblico ai dati rilevati, sia per quanto riguarda i monitoraggi sia per le attività. Questo è ancor più vero per le concessioni già esistenti. Direi quindi che c’è molto da fare in tal senso: da una verifica ex-post delle Linee Guida e un eventuale loro aggiornamento, alla verifica dello stato dei monitoraggi in essere per le varie attività esistenti, alla realizzazione di un punto di riferimento unico, ben strutturato e che favorisca l’accesso e l’uso, anche da parte del pubblico, di tutti i dati e le informazioni raccolti.
Certamente i cambi di Governo e delle competenze assegnate ai Ministeri nel corso del tempo non agevolano questa evoluzione. E credo anche che le compagnie vedano nella trasparenza più un rischio che un valore per le loro attività, anche se ho notato una progressiva, seppur lenta, modifica nell’atteggiamento. Purtroppo, questi vuoti lasciano campo libero alle interpretazioni di parte avversa e alle ipotesi più varie, spesso prive di fondamento scientifico.
Il panorama delle difficoltà connesse alla gestione delle attività in atto nel sottosuolo non riguarda solo l’Italia, ma genericamente tutti i paesi, seppur con alcune rilevanti differenze. Ci sono alcuni punti chiave comuni a tutti che devono assolutamente essere affrontati e risolti meglio, quali: l’esercizio del controllo sulle attività svolte (qui mi riferisco nello specifico all’uso dei monitoraggi come quelli suggeriti dall’ICHESE) da parte di enti indipendenti rispetto al concessionario e legati all’interesse pubblico; la diffusione di  informazioni complete in modo trasparente e autorevole; e di conciliare le necessità energetiche e di risorse di un paese con gli interessi delle compagnie private e con i diritti delle popolazioni residenti sia in termini di serenità che di utilizzo del territorio.

Come noto, capita spesso che i terremoti che interessano la fascia costiera marchigiana vengano messi in relazione alle attività di ricerca e di estrazione di idrocarburi. Ricordiamo il caso della sequenza sismica dell’anconetano nel 1972 e anche dei recenti terremoti al largo di Fano. Che cosa si può dire al riguardo?
Tutta la fascia a Est degli Appennini è ricca di risorse di idrocarburi. Molte infrastrutture di estrazione/produzione si concentrano lungo la costa a partire dall’area al confine tra Veneto e Romagna fino all’Abruzzo. Nell’area marchigiana, molte installazioni si trovano off-shore nella zona prospicente Pesaro-Ancona approssimativamente dai 20 ai 60 km dalla costa. Un’altra concentrazione si trova lungo la costa a sud di Ancona, nell’area di Civitanova Marche e Porto S. Elpidio.
D’altra parte, è ben noto che la fascia costiera marchigiana è in grado di rilasciare terremoti moderati (cioè fino a circa M6) sia lungo la costa sia off-shore. La localizzazione fornita dall’INGV colloca i terremoti avvenuti a fine 2022 all’interno della fascia dove si trovano le concessioni di estrazione di idrocarburi, tuttavia bisogna dire che, dato che le stazioni usate per localizzare si trovano per la maggior parte dal medesimo lato (quello costiero) e distano almeno 25 km dall’evento, la localizzazione non può essere ben vincolata. A maggior ragione, mancando stazioni al di sopra dell’evento, anche la profondità stimata in 5 km è mal vincolata. Pertanto non è possibile determinare con sufficiente accuratezza quanto i terremoti recenti siano vicini ai giacimenti di estrazione. Il meccanismo focale stimato è totalmente in linea con lo stile compressivo già riconosciuto in passato per eventi occorsi in quell’area e attribuito a strutture di sovrascorrimento che sono effettivamente presenti. Non è stata rilevata alcuna sismicità nei giorni precedenti.
Non ho altre informazioni riguardo alle attività in corso, e, in assenza di situazioni eclatanti di cui non vi è notizia, penso che l’evento si inquadri coerentemente nella sismicità naturale che caratterizza l’area.

Come possiamo concludere queste riflessioni?
Spero che si sia compreso perché sia così importante rilevare la microsismicità e altre grandezze fisiche, in sostanza disporre di monitoraggi efficaci, nelle zone dove vengono svolte le attività nel sottosuolo. Avere una rete di monitoraggio che permette di riconoscere i microsismi (per intenderci fino a magnitudo compresa tra 0 e 1, ma anche meno se necessario) consente di vedere da subito la fenomenologia in atto e di capire se il sistema complessivo si evolve o è stabile. Inoltre il rapporto tra il numero di terremoti piccoli e più grandi è riconosciuto come parametro che può aiutare a discriminare la sismicità naturale da quella indotta. È su questo gioco “di anticipo” che si sviluppano oggi le linee di ricerca scientifica per cercare di prevenire dinamiche che possano sfuggire dal controllo (cfr. ad esempio Grigoli et al., 2017).
A differenza dei terremoti naturali, quando si parla di sismicità indotta vi è sempre la necessità di dovere attribuire o meno gli eventi a delle attività svolte. Purtroppo, eccetto che per alcuni casi eclatanti, l’interpretazione è sempre difficile, e ciò è tanto più vero se le attività sono svolte in zone sismiche, come in pratica è tutt’Italia. Non è sufficiente né agevole stabilire una correlazione tra un episodio di sismicità e le attività svolte, a meno di situazioni che si ripetono regolarmente, come ad esempio la microsismicità legata alle fluttuazioni dei bacini idrici. La ricchezza e la qualità dei dati di monitoraggio è una base fondamentale e imprescindibile per poter effettuare interpretazioni che abbiano un minimo di solidità. Non sono completamente convinto che oggi si stia procedendo con la necessaria determinazione in questa direzione.
Vorrei insistere ancora su due concetti che devono essere assolutamente rinforzati, quali l’indipendenza degli enti che acquisiscono e interpretano i dati osservativi, e la trasparenza e il libero accesso alle informazioni e ai dati sia per le attività svolte sia per i monitoraggi effettuati. Solo in questo modo si potrà ridurre la diffusione di una moltitudine di affermazioni false o distorte e favorire, in Italia e altrove, un clima adatto a una valutazione serena dei fatti e delle azioni da intraprendere in tema di politica energetica per il futuro.
Infine, è evidente nel periodo che stiamo vivendo quanto sia importante per un paese avanzato, come l’Italia vorrebbe essere, poter disporre di energia e poter svolgere attività che portino occupazione e progresso. Tutto ciò ha un costo, anche in termini di rischi e il concetto di rischio zero non è sostenibile né praticabile, neanche a livello personale. Se vogliamo dare spazio al progresso dobbiamo investire parallelamente in controllo, sicurezza e trasparenza, ma non come mera pratica burocratica. Un altro aspetto collegato a questa considerazione è quello dell’utilizzo delle “royalties”, cioè degli indennizzi, dati dalle compagnie alle amministrazioni dei territori dove le attività si svolgono. Penso in tal senso che, dato che una delle principali argomentazioni di opposizione da parte dei residenti sia quella relativa ai terremoti, sarebbe opportuno che molti di questi soldi fossero investiti per la riduzione del rischio sismico a livello locale anziché per altre iniziative che magari sono ritenute più remunerative per acquisire consenso nell’immediato.
Qualsiasi tipo di produzione di energia ha effetti collaterali e capire su quali attività investire e come queste debbano essere gestite al meglio è frutto di scelte politiche che in democrazia dovrebbero essere condivise. Per esempio, si pensa (e si spera) che molta dell’energia del futuro potrà venire dall’idrogeno. Si tenga però presente che l’idrogeno dovrà essere contenuto in qualche posto, e che, per le grandi quantità che saranno necessarie, lo stoccaggio sotterraneo rappresenterà l’opzione più favorevole. E qui si riaprono le danze …

Riferimenti
Braun T., Cesca S., Kühn D., Martirosian-Janssen A., Dahm T. (2018).  Anthropogenic seismicity in Italy and its relation to tectonics: State of the art and perspectives. Anthropocene, 21, 80–94; https://doi.org/10.1016/j.ancene.2018.02.001
Braun T, Danesi S., Morelli A. (2020). Application of monitoring guidelines to induced seismicity in Italy. J. Seismol., 24,  1015–1028; https://doi.org/10.1007/s10950-019-09901-7
Caloi P. (1970). Come la natura reagisce all’intervento dell’uomo – Responsabilità di chi provoca e di chi intrepreta tali reazioni, Annali di Geofisica, XXII, 247-282.
Grigoli, F., Cesca, S., Priolo, E., Rinaldi, A.P., Clinton, J.F., Stabile, T.A., Dost, B., Garcia Fernandez, M., Wiemer, S., and Dahm, T. (2017). Current challenges in monitoring, discrimination, and management of induced industrial activities: a European Perspective, Rev. Geophys., 55, https://doi:10.1002/2016RG000542
Grigoli, F., and Wiemer, S. (2017), The challenges posed by induced seismicity, Eos, 98, https://doi.org/10.1029/2018EO074869. Published on 09 June 2017.
ICHESE (2014). International Commission on Hydrocarbon Exploration and Seismicity in the Emilia Region – Report on the hydrocarbon exploration and seismicity in Emilia region, February 2014, http://geo.regione.emilia-romagna.it/gstatico/documenti/ICHESE/ICHESE_Report.pdf
ISPRA (2014) Rapporto sullo stato delle conoscenze riguardo alle possibili relazioni tra attività̀ antropiche e sismicità indotta/innescata in Italia. Tavolo di Lavoro ai sensi della Nota ISPRA Prot. 0045349 del 12 novembre 2013, 71 pp.
MISE (2014). Indirizzi e linee guida per il monitoraggio della sismicità, delle deformazioni del suolo e delle pressioni di poro nell’ambito delle attività antropiche. https://unmig.mise.gov.it/unmig/agenda/upload/85_238.pdf
MISE (2016). Linee guida per l’utilizzazione della risorsa geotermica a media e alta entalpia. https://unmig.mite.gov.it/risorse-geotermiche/linee-guida-per-lutilizzazione-della-risorsa-geotermica-a-media-e-alta-entalpia/
Mucciarelli M. (2013). Induced Seismicity and Related Risk in Italy. Ingegneria Sismica, XXX (1-2), 118-125.
Romano M. A., Peruzza L., Garbin M., Priolo E., and Picotti V. (2019). Microseismic Portrait of the Montello Thrust (Southeastern Alps, Italy) from a Dense High-Quality Seismic Network. Seismol. Res. Lett., 90(4), 1502-1517; https://doi:10.1785/0220180387

A proposito di terremoti “di origine antropica”: aspetti generali (conversazione con Enrico Priolo)

Premessa. Attorno ai terremoti chiamati “di origine antropica” vi è molta confusione, generata soprattutto dai media ma anche, forse inconsapevolmente, da alcuni addetti ai lavori. L’immaginario più diffuso vorrebbe che questi terremoti siano una categoria completamente a parte rispetto ai terremoti di origine naturale; in definitiva che senza l’intervento dell’uomo non verrebbero generati. Le cose non stanno esattamente così; non va trascurato, tra le altre cose, il fatto che l’energia rilasciata da un terremoto deve essersi accumulata in qualche modo: occorre dunque capire se le attività umane sono del tutto responsabili di questo accumulo, e ciò pone ulteriori difficoltà, anche considerando le possibili conseguenze in termini di eventuali responsabilità.
Per cercare di fare un po’ di chiarezza abbiamo rivolto qualche domanda a Enrico Priolo. Poiché l’argomento è complesso e necessita di approfondimento, questa conversazione è divisa in due parti: la prima è dedicata agli aspetti generali, la seconda alla situazione italiana.

Enrico Priolo è stato per quasi quarant’anni ricercatore presso l’OGS, e direttore del Centro di Ricerche Sismologiche dell’OGS dal 2003 al 2008. È stato responsabile delle reti di monitoraggio delle attività di stoccaggio sotterraneo di gas a Collalto in Veneto e Cornegliano Laudense in Pianura Padana. Inoltre, è stato membro del gruppo di esperti nominato dal Ministero dello Sviluppo Economico per la stesura degli Indirizzi e Linee Guida per il monitoraggio delle attività svolte nel sottosuolo, ed è membro dell’Innovation Advisory Commettee del Thematic Core Service Anthropogenic Hazard del consorzio EPOS.

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Campi con torri di perforazione per l’estrazione del gas di scisto in Wyoming (USA). L’immissione di acque/fluidi di scarto di produzione derivanti dalla produzione di gas di scisto ma anche di altre attività industriali può innescare eventi sismici nel sottosuolo. Credito: Bruce Gordon, EcoFlight, CC BY 2.0

Puoi precisare ai lettori quali sono le tipologie di attività antropiche che possono contribuire a generare terremoti cui la ricerca scientifica fa riferimento?
La maggior parte delle attività che può generare terremoti è legata allo sfruttamento di risorse naturali, in particolar modo alla produzione di energia, argomento molto attuale. Storicamente, le miniere (di materiali lapidei, di carbone, e di diamanti) sono state i primi ambienti dove l’uomo ha generato terremoti. I terremoti si manifestano in forma molto simile a scoppi e sono dovuti al cedimento improvviso della roccia che, sottoposta naturalmente a sforzi tettonici e a compressione per il carico del materiale sovrastante, si riequilibra quando viene rimossa una porzione di materiale.
Poi, anche in ordine cronologico, ci sono i bacini idrici artificiali, che sono spesso identificati attraverso le dighe che intercettano e accumulano l’acqua lungo il corso dei fiumi. I meccanismi con cui i bacini idrici possono produrre terremoti sono principalmente due: a) l’effetto gravitativo, cioè il peso della massa d’acqua accumulata che agisce sulla roccia sottostante, e in particolare sulle faglie (discontinuità o frattura della roccia) eventualmente esistenti nel sottosuolo; b) l’effetto della pressione di poro, ovvero quello legato alla imbibizione e diffusione dell’acqua in profondità nel sottosuolo. Nel primo caso viene modificato lo stato delle forze statiche; il bacino idrico col suo carico può destabilizzare (ma anche stabilizzare) una faglia nel sottosuolo, a seconda delle caratteristiche geometriche della faglia e del campo di stress tettonico esistente. Nel secondo caso, l’acqua si infiltra e si muove all’interno di tutti i vuoti esistenti e, nel caso di faglie esistenti e già sottoposte naturalmente a carichi tettonici, trasmette tutte le variazioni di pressione, agendo talvolta come una sorta di lubrificante tra le superfici della faglia stessa; in sostanza agevolando, ovvero anticipando, la rottura di una faglia già prossima alla rottura. Per i bacini idrici artificiali, la fase più pericolosa per quanto riguarda la sismicità indotta è quella dei primi anni di riempimento e messa in esercizio. Successivamente, quando il sistema si stabilizza, si manifesta una micro-sismicità prevalentemente legata alle fluttuazioni del livello d’acqua dell’invaso.

Un altro tipo di attività è quello legato alla produzione di idrocarburi. L’estrazione di idrocarburi (olio o gas) svuota i depositi in profondità e crea uno stato di tensione nella crosta terrestre circostante che può dare origine a terremoti. Nei giacimenti di idrocarburi (spesso confinati, cioè in cui il deposito è sigillato da barriere di roccia o acqua che impediscono la comunicazione della pressione con l’esterno) si usa re-iniettare le acque reflue di produzione, le cosiddette acque di strato; esse in parte compensano la perdita di pressione interna e non creano problemi dal punto di vista della sismicità. Tuttavia, l’estrazione di olio o gas genera molti “scarti”, che devono essere smaltiti; nei decenni recenti si è affermata la pratica di re-iniettare questi fluidi esternamente al giacimento in pozzi profondi, all’interno di strati che stanno al di sotto dei livelli produttivi. C’è dunque una maggiore possibilità che i fluidi iniettati intercettino zone sismogenetiche, in quanto sottoposte a stress tettonico. E ciò è tanto più vero quanto più i volumi dei fluidi iniettati aumentano e si diffondono all’interno degli strati profondi.
Questa pratica di re-iniezione delle acque reflue in profondità è diventata una prassi in particolari tipi di giacimenti che sfruttano la presenza di microscopiche frazioni di idrocarburi dispersi nella roccia madre, come i giacimenti in rocce di scisto (oil- e gas-shales), che in Italia, peraltro, non esistono. Con la tecnica chiamata fracking (idro-fratturazione delle rocce ad alta pressione) vengono estratti idrocarburi a fronte della produzione di enormi quantità di scarti liquidi. Il fracking, di per sé, produce solo microsismi —con mini-cariche esplosive si frattura la roccia per liberare gli idrocarburi in essa contenuti— che hanno impatto per lo più trascurabile per l’uomo. E’ la reintroduzione dei fluidi in profondità, invece, la causa dell’enorme aumento dei terremoti indotti a livello mondiale e, in conseguenza, delle preoccupazioni e dell’ostilità da parte della popolazione.

Ci sono poi gli stoccaggi sotterranei di gas per i quali, nel mondo, sono usate diverse modalità. Essi possono provocare terremoti, ma bisogna anche dire che tra le varie modalità di stoccaggio sotterraneo ve ne sono alcune ritenute particolarmente sicure anche riguardo la sismicità indotta, come quella di usare depositi di gas naturali esauriti (cioè dove il gas si è creato naturalmente e già sfruttati per la produzione). Questo tipo di stoccaggi è l’unico utilizzato in Italia, e naturalmente è fondamentale che essi siano ben gestiti e controllati. Altra attività attuale per la produzione di energia in modo sostenibile è la geotermìa. Anche in questo caso vi sono svariate modalità di recupero del calore dal sottosuolo, e non tutte sono “pulite”. I maggiori problemi in termini di sismicità indotta si generano in due situazioni. La prima è quando il sistema di circolazione di acque calde profonde viene alimentato con ulteriore (molta) acqua a temperatura più bassa, per “estrarre” il calore residuo delle rocce. La seconda è la cosiddetta stimolazione di sistemi anidri (ovvero rocce prive di acqua) ad elevata temperatura, tecnica con cui vengono dapprima generate fratturazioni artificiali per aumentare la permeabilità della roccia anidra e successivamente viene iniettata acqua per estrarre il calore. Basta pensare a cosa succede se si riempie di acqua fredda un bicchiere rovente appena uscito dalla lavastoviglie, per capire cosa succede. C’è una forte sperimentazione di queste tecniche perché si ritiene che la risorsa geotermica possa essere una delle soluzioni per il futuro per generare energia in modo sufficientemente pulito e sostenibile. Spesso l’attività di sfruttamento geotermico si svolge in prossimità di grandi città, perché è lì che c’è il massimo bisogno di energia, e sfortunatamente ci sono stati alcuni casi importanti di terremoti a seguito di stimolazioni geotermiche avvenuti vicino a grandi centri (es. Basilea nel 2006 e Pohang in Corea nel 2017). Tuttavia vi sono altri casi in cui ciò non è successo e la produzione di energia procede in modo regolare (es. Helsinki).
Concludo questa carrellata, per completezza, con le altre attività umane, talvolta meno note,che possono generare sismicità e non sono legate allo sfruttamento di georisorse. La realizzazione di infrastrutture (gallerie, tunnel sottomarini); la costruzione di edifici, che esercitano pressioni molto localizzate (ricordiamo il caso del grattacielo di Taipei a Taiwan, che si ritiene abbia innescato un terremoto M3.8 nel 2004). Infine, impianti industriali (es. cementifici) e mezzi di trasporto (treni e veicoli pesanti) non generano terremoti in senso stretto, ma producono vibrazioni sismiche che possono avere un certo impatto sull’edificato e causare gran disturbo alla popolazione.

Da quanto detto sembra che i terremoti di origine antropica si possano diversificare a seconda delle attività umane. Se ciò è vero, quali sono le principali tipologie di terremoti di questa origine?

Volendo distinguere le tipologie di terremoti che l’uomo può generare ci dovremmo riferire alle diverse tipologie di sorgenti, perché il campo sismico propagato risponde alla medesima fisica per tutte le sorgenti. Questa distinzione ha interesse soprattutto scientifico, ma relativamente scarsa rilevanza per quanto riguarda la percezione da parte della popolazione e i danni potenzialmente causati. Riconoscere e studiare le modalità con cui la sismicità indotta si produce è però estremamente importante dal punto di vista scientifico, perché questo è l’unico modo che possiamo usare per sviluppare criteri e metodologie di gestione delle attività attraverso le quali si possa contenere, se non proprio controllare, la sismicità generata entro livelli accettabili.
Un concetto importante per comprendere meglio come si generano molti terremoti indotti è quello di stato di sforzo critico in cui si trova la crosta terrestre, che, sottoposta a enormi ma lenti movimenti tettonici, accumula al suo interno stress (in italiano, sforzo) meccanico. Questo accumulo di stress è molto difficile da quantificare, e quindi in generale non siamo in grado di sapere se le rocce in profondità siano in uno stato prossimo alla rottura (appunto, stato critico), tale che basti una minima perturbazione dello stato di sforzo per anticipare (ma, talvolta, anche ritardare) il rilascio del terremoto che comunque si starebbe preparando. Va detto che queste perturbazioni del campo di stress sono prodotte anche da numerose cause naturali, come ad esempio altri terremoti, le precipitazioni piovose, lo spessore del manto dei ghiacci, etc.
Ritornando alla domanda, si riconoscono due tipologie principali di terremoti di origine antropica, rispettivamente quelli “indotti” in senso stretto e quelli “attivati” o “innescati” (dall’inglese “triggered”). Si parla di terremoti indotti, in senso stretto, quando le attività antropiche sono responsabili della gran parte delle variazioni del campo di stress che genera la sismicità. In un terremoto indotto, la sorgente rilascia l’energia che è stata accumulata a seguito delle attività svolte. Si usa invece il termine di terremoti innescati per quegli eventi che sono generati da una perturbazione ridotta rispetto allo stato di sforzo in cui la roccia (prossima allo stress critico) si trova già; questa perturbazione può essere o un incremento dello stress lungo direzioni che favoriscono la rottura o una riduzione della forza d’attrito all’interno delle faglie presenti. Per un terremoto innescato, la sorgente rilascia energia che è fondamentalmente “naturale” (di origine tettonica), tuttavia l’uomo induce ovvero facilita/accelera la rottura come effetto indiretto della propria attività. Da quanto detto si intuisce anche che le attività̀ antropiche non sono in grado di indurre (in senso stretto) grandi e disastrosi eventi sismici ma possono invece innescarli.
Vi sono però terremoti che non ricadono in maniera netta in nessuna di queste due tipologie, ovvero sono un misto delle due. Ad esempio i terremoti che avvengono a seguito delle stimolazioni appartengono a questa tipologia. In generale, comunque, si può sempre parlare di sismicità indotta, o terremoti indotti, comprendendo tutti i casi enunciati, e la distinzione sulla tipologia di terremoto indotto viene menzionata solo se si vogliono meglio specificare certi fattori.

Tornando alle due tipologie principali, le principali cause di innesco di terremoti possono essere: a) la rimozione o l’aggiunta di grandi masse di materiale; b) l’estrazione o iniezione di fluidi in profondità in volumi confinati; c) l’iniezione o la percolazione o la circolazione di fluidi in profondità. Per a e b viene perturbato lo stato di sforzo nell’intorno della zona di attività, mentre per c, il fluido, penetrando in profondità all’interno delle fessure e delle faglie, esercita una pressione che allenta l’adesione delle due parti a contatto e riduce quindi la capacità della faglia di resistere allo stato di sforzo cui è già sottoposta.
Vorrei infine sottolineare l’importanza della profondità nella generazione della sismicità a seguito delle attività antropiche, dato che è a profondità elevate (alcuni km) che si accumula lo stress tettonico. Quindi l’iniezione di grandi volumi di fluidi è pericolosa se fatta in profondità perché la loro diffusione aumenta la probabilità di intercettare faglie pronte alla rottura. Similmente per le stimolazioni geotermiche (per le quali si cerca di scendere in profondità per trovare alte temperature) lo stress termico può avere un effetto maggiore in rocce già sottoposte a elevato stress tettonico.

Da quanto tempo si è cominciato a ipotizzare scientificamente la possibilità che alcuni terremoti siano di origine antropica?

La parola “scientificamente” mi costringe, giustamente, a non parlare delle ipotesi che ritengono la genesi dei terremoti come una punizione divina per dei comportamenti da parte dell’uomo ritenuti scellerati dal punto di vista morale; ciò non solo nei tempi antichi, ma anche di recente, come è ad esempio emerso da alcune dichiarazioni pubbliche durante l’ultima sequenza sismica che ha colpito l’Italia Centrale.
I primi studi scientifici sistematici sulla sismicità indotta sono stati sviluppati già negli anni ’50 per le miniere (soprattutto nel Regno Unito) e negli anni ‘60-’70 a seguito di alcuni casi importanti quali l’attività di produzione di olio con re-introduzione delle acque residue di strato in profondità a Rangely (Colorado), l’attività estrattiva di gas a Lacq (Francia) e a Gazli (Uzbekistan), e la realizzazione del bacino idrico con la diga di Koyna (India).
In Italia, vanno ricordati alcuni studi condotti da Pietro Caloi, geofisico dell’allora Istituto Nazionale di Geofisica, per il terremoto di Caviaga nel 1951, associato all’attività di estrazione del gas dal deposito omonimo (uno dei depositi considerati giganti che diede impulso allo sviluppo dell’allora AGIP), e successivamente, all’inizio degli anni ’60, per i microsismi provocati dal movimento della massa rocciosa che poi avrebbe causato il disastro del Vajont.
Collocando delle date importanti riguardo alla fenomenologia della sismicità indotta, direi che un altro periodo importante è rappresentato dalla prima decade degli anni 2000. Relativamente a questo periodo, ritengo utile ricordare alcune esperienze: ognuna di queste è stata seguita da numerosissimi studi scientifici e ha determinato sostanziali avanzamenti nelle conoscenze scientifiche e nella “coscienza” pubblica.
La prima è quella del terremoto M3.4 di Basilea del 2006, a seguito della sperimentazione di geotermia stimolata. Il terremoto produsse numerosi danni di debole entità e spavento in città e il progetto dell’impianto fu bloccato. La scossa principale si verificò a seguito di numerosi sciami di sismicità debole, per lo più non percepita dalla popolazione, effetto dei test di stimolazione. Probabilmente l’evento forte si sarebbe potuto evitare attuando modalità di controllo differenti, ma questa è una considerazione fatta con il senno di poi, dato che l’esperienza quella volta era limitata. Il caso di Basilea ha aperto la strada a una miriade di studi scientifici e di conoscenze che da allora sono progredite.
Un altro caso importante è quello dell’attività di produzione di gas olandese, di cui Groeningen è il principale centro. L’area di Groeningen (Olanda settentrionale) ospita il più grande giacimento di gas naturale europeo in terraferma e la produzione di gas, iniziata negli anni ’60, valeva fino a pochi anni fa più del 10% dell’intero bilancio olandese. Dal 1986, oltre a importanti fenomeni superficiali (subsidenza) incominciò a manifestarsi una sismicità inizialmente debole, ma che divenne via via più significativa, generando più di mille scosse nel corso degli anni successivi e un terremoto di magnitudo 3.6 nel 2012. Considerando che l’area non conosceva alcuna sismicità nel passato e gli edifici non erano stati costruiti seguendo criteri antisismici, questi fenomeni produssero danni, seppur lievi, in moltissimi edifici e generarono una forte opposizione nella popolazione locale.
La terza esperienza è lo studio pubblicato da W. Ellsworth nel 2013 in cui viene mostrata la prima evidenza a livello statistico (quindi di grandi numeri) della sismicità indotta. In pratica, questo studio mostra che, a partire dall’inizio degli anni 2000, il numero complessivo dei terremoti rilevato negli Stati Uniti, cresciuto fino a quel momento in modo uniforme, comincia ad aumentare con un tasso molto più elevato: questo incremento, mai riscontrato fino a quel momento, non è dovuto a cause naturali ma è effetto della sismicità indotta dalle attività umane, e principalmente —anche se non unicamente— allo sviluppo della tecnologia di estrazione mediante fracking. I “nuovi” terremoti comprendono numerosissimi eventi deboli con magnitudo da meno di 2 a 3, ma anche alcuni eventi più forti come il terremoto M5.7 avvenuto in Oklahoma nel 2011. Dato che le stime di pericolosità sismica si basano sul sul tasso di occorrenza dei terremoti, questo evidente incremento di sismicità innescò svariate discussioni sull’aggiornamento delle mappe di pericolosità adottate a livello nazionale.
L’ultima esperienza che voglio citare è quella di “Castor”. Il progetto Castor consisteva nello sviluppo di un impianto di stoccaggio di gas sotterraneo utilizzando come deposito il giacimento esaurito di olio di Amposta, situato nel Golfo di Valencia a circa 20 km dalla costa spagnola. L’iniezione di gas iniziò nel settembre 2013 e culminò con un terremoto M4.3 il 4 ottobre 2013, che è stato uno dei più forti associati a operazioni di stoccaggio del gas. Studi successivi spiegarono che la pressione dovuta all’iniezione del gas aveva attivato un ramo secondario del sistema di faglie di Amposta, situato direttamente sotto il giacimento. Questo caso mostrò che, per lo stoccaggio del gas, l’uso dei giacimenti di petrolio esauriti è più critico rispetto di quello dei giacimenti di gas esauriti, soprattutto nelle fasi iniziali, perché, dato che l’olio originariamente contenuto è molto più denso e viscoso del gas iniettato per stoccaggio, non è detto che il serbatoio sia in grado di garantire la tenuta del gas al suo interno. Inoltre, a causa del sistema di monitoraggio troppo povero, non fu rilevata tempestivamente la microsismicità risultante dalla migrazione del gas iniettato verso il sistema di faglie. Questi fattori, insieme alla lentezza decisionale e alla “prudenza” nell’interrompere le attività in corso per motivi industriali, fecero sì che i fenomeni di sismicità indotta andassero fuori controllo. Il danno economico fu enorme, con l’ulteriore beffa che i debiti conseguenti furono addossati allo stato, ovvero alla popolazione spagnola. Relativamente a questa esperienza, consiglio vivamente di ascoltare la presentazione (in italiano) di M. Garcia-Fernandez che ho inserito in bibliografia.

Schermata 2023-02-18 alle 16.45.49Rappresentazione grafica di uno dei meccanismi di innesco di terremoti da parte di attività svolte nel sottosuolo. La comprensione di questi meccanismi e la capacità di riconoscere e seguire l’evoluzione dei fenomeni che avvengono nel sottosuolo, in primis quelli sismici, sono argomenti di ricerca molto attuali. A questo argomento è dedicato una sezione speciale dell’importante rivista Journal of Geophysical Research – Solid Earth, dal titolo “Understanding and Anticipating Induced Seismicity: From Mechanics to Seismology”, da cui la presente figura è tratta.  

Quali sono i livelli energetici “massimi” riferibili ai terremoti antropogenici?

Prima di rispondere è necessario fare una premessa e introdurre un paio di concetti. La premessa riguarda le fonti di dati parametrici sui terremoti di natura antropica. Pur essendoci varie fonti, direi che quella più esaustiva, in termini di eventi principali, deriva dal progetto di ricerca internazionale HiQuake (Foulger et al, 2018) che censisce gli eventi indotti o supposti indotti in seguito a studi scientifici. I dati sono riportati in un sito, regolarmente aggiornato, cui si può accedere liberamente (http://inducedearthquakes.org/) e da cui si possono ricavare moltissime informazioni (nella bibliografia in fondo a questa intervista ho riportato i link diretti al database e alla pagina dei riferimenti bibliografici). Sono inclusi nel database, e dunque sono classificati come indotti, eventi per i quali anche un solo lavoro scientifico ipotizza la possibile origine antropica; dunque, per molti casi queste informazioni vanno prese con molta, sottolineo, molta prudenza. Gli autori di HiQuake non necessariamente aggiungono lavori successivi che reinterpretano in qualche modo gli eventi, quindi eventi ipotizzati come indotti magari da un solo lavoro iniziale mantengono la classificazione di “evento indotto” senza possibilità di remissione. Questo è il caso, per esempio, dei due terremoti avvenuti in Pianura Padana nella località di Caviaga nel 1951. Il lettore tenga ben presente queste considerazioni nel prosieguo.
Il primo concetto è che la sismicità antropogenica deriva nella maggior parte dei casi dal progressivo accumulo di certe quantità correlate alle attività svolte: per esempio, accumulo di acqua che si infiltra e diffonde nel sottosuolo, accumulo di stress meccanico dovuto all’estrazione di materiale, accumulo di stress poro-elastico dovuto all’iniezione o estrazione di gas, accumulo di stress termico dovuto all’iniezione di fluidi in rocce calde. Eccetto che per le esplosioni o l’impatto di grandi masse, lo sviluppo di sismicità è quindi progressivo e parte, di norma, con il manifestarsi di micro-sismicità, inizialmente localizzate nelle zone di origine dell’attività e che poi via via si diffonde.
Poi, riguardo ai livelli energetici della sismicità indotta, la prima cosa da dire è che, in genere, essa si manifesta inizialmente come microsismicità localizzata in un intorno abbastanza stretto dell’attività svolta. Poi, nel tempo, se non viene raggiunto uno stato di equilibrio e se l’accumulo dei fattori influenti prosegue, la sismicità può aumentare e diffondersi in volumi di roccia via via più ampi fino a interessare zone di faglia anche importanti. Perciò la magnitudo dipende spesso dai sistemi faglia intercettati più che dall’attività stessa —è ovvio che qui ci stiamo riferendo alla sismicità innescata—, ed è quindi difficile definire in modo univoco una magnitudo massima che può essere indotta da una data attività. Inoltre, dobbiamo sempre tenere presente che in molti casi non è certa, ma solo possibile, l’attribuzione di un terremoto ad una certa attività, quindi i valori di magnitudo massima possono essere certamente sovrastimati.
Tuttavia, seguendo i principi già esposti si riescono a trarre delle considerazioni di carattere generale (per dati di base e i valori di magnitudo massima mi riferirò a quanto riportato da HiQuake, mentre ulteriori considerazioni sono mie personali). Bacini idrici, estrazione di acque dal sottosuolo e produzione di olio e gas convenzionale sono le tre classi per cui HiQuake documenta le magnitudo massime più elevate, con valori che superano il 7.
I bacini idrici, soprattutto quelli profondi oltreché grandi, sono i principali candidati a generare terremoti forti, soprattutto nei primi anni di messa in esercizio. Numerosi terremoti di magnitudo superiore a 6 e in qualche caso anche a 7 sono attribuiti ai bacini idrici (ricordo, per esempio, il terremoto di M6.3 di Koyna (India) del 1967, due terremoti in Grecia, rispettivamente M6.2 di Kremasta nel 1966 e M6.5 di Polyphyto nel 1995; ma anche per il terremoto M7.9 del Sichuan (o Wenchuan), Cina, avvenuto nel 2008 si ipotizza —sottolineo il “si ipotizza”— una possibile origine antropica dovuta al bacino formato dalla diga Three Gorges. Un caso molto noto è quello del terremoto M5.7 di Assuan (Egitto) del 1981, che avvenne 15 anni dopo il riempimento dell’invaso delimitato dalla diga omonima.  Inoltre, si ipotizza che l’estrazione di acque sotterranee possa aver causato il terremoto M7.8 di Ghorka (Nepal) del 2015. HiQyake attribuisce circa 200 casi ai bacini idrici e circa una decina all’estrazione di acque sotterranee.
Per l’estrazione convenzionale di olio e gas, sono citati tre terremoti di magnitudo superiore a 7.  Tra questi troviamo il terremoto M7.3 di Gazli (Usbekistan) del 1976, ben noto in letteratura, avvenuto relativamente vicino a un giacimento gigante da cui veniva estratto gas, e per il quale vi sono lavori scientifici di orientamento diverso. Tuttavia, troviamo anche due eventi molto forti, quali il terremoto M7.5 avvenuto nel 1995 a Neftegorsk all’estremo est della Russia, e il terremoto M7.4 avvenuto a Izmit in Turchia nel 1999, che si ipotizza possano essere causati dall’uomo in base a singoli studi, con argomentazioni che, a mio parere, dovrebbero essere come minimo approfondite. Per gli altri casi documentati (più di un centinaio) le magnitudo si attestano da circa 6 in giù.
Per la geotermia, su una settantina di casi censiti si documentano due casi con magnitudo 6.6 (in Messico e Islanda), poi si scende dal 5.5 in giù. Come caso importante ricordiamo il recente terremoto M5.5 di Pohang (Corea del Sud) nel 2017.
Per le miniere sono documentati circa 300 casi, e le magnitudo si sgranano da magnitudo 6.1 (terremoto generato da una miniera di carbone a Bachatsky, Russia, nel 2013) in giù.
Più di 400 casi sono documentati per il fracking, con magnitudo massima di 5.2 per un evento avvenuto in Cina nel 2018. Tuttavia il database distingue la categoria di “fracking” e quella di “reiniezione di fluidi di scarto” di vario tipo, la quale include in maniera massiccia i fluidi di scarto derivanti dal fracking stesso. Sicché, la categoria di reiniezione di fluidi di scarto nel sottosuolo registra una ulteriore cinquantina di casi, con magnitudo massima 5.8, i cui casi più forti sono due terremoti ben noti in ambiente scientifico avvenuti entrambi in Oklahoma, rispettivamente a Pawnee nel 2016 e Prague nel 2011, entrambi dovuti ad attività di produzione di idrocarburi con la tecnica del fracking.
Infine menziono anche il caso del grattacielo Taipei 101 di Taiwan, responsabile di un terremoto 3.8 nel 2004.

Vuoi aggiungere qualche commento, a conclusione di questa riflessione?

Solo un breve commento per inquadrare correttamente quanto detto finora. Abbiamo visto che le attività umane possono causare o favorire terremoti, anche grossi se sono in grado di attivare faglie importanti. Tutto il discorso è stato focalizzato al fatto che è possibile che ciò accada. Vorrei tuttavia sottolineare che non è detto che ogni attività debba generare terremoti pericolosi o dannosi, anzi, sono numerosissime le attività svolte nel sottosuolo che non hanno portato a problemi e questo dipende molto da come queste sono gestite. È una valutazione di rischio e di azioni atte a ridurlo. Per fare un paragone è come se ci concentrassimo sugli incidenti stradali causati dagli autoveicoli. Gli incidenti ci sono e sono numerosi, ma non per questo è stato proibito l’uso dei veicoli. Invece sono state realizzate azioni atte a prevenire gli incidenti e a causare feriti o morti. Queste vanno dalla maggiore sicurezza dei veicoli stessi, a norme di guida più stringenti, alla formazione alla guida dei conducenti, all’educazione stradale dei cittadini, fino al miglioramento delle strade e alla realizzazione di segnalazioni adeguate. Ecco, il mio commento è solo per dire che abbiamo visto il problema della sismicità indotta da una certa angolatura e nella seconda parte avremo sicuramente la possibilità di vederlo in modo più completo.

Come anticipato, la seconda parte di questa conversazione sarà dedicata alla situazione italiana.

Bibliografia
Ellsworth, W. L. (2013). Injection-induced earthquakes, Science, 341(6142), 1225942.
Foulger, G. R., Wilson, M. P. , Gluyasa, J. G. , Julian, B. R. , Davies, R. J. (2018). Global review of human-induced earthquakes. Earth-Sci. Rev., 178, 438-514, https://doi.org/10.1016/j.earscirev.2017.07.008
Garcia-Fernandez M. (2015). CASTOR: Contesto scientifico e socio-economico. Workshop su “Sismicità indotta e innescata”, Roma 12 giugno 2015, Ministero dello Sviluppo Economico; https://www.youtube.com/watch?v=-tUApwW_V3k
HiQuake Database: http://inducedearthquakes.org/wp-content/uploads/2022/06/The_Human_Induced_Earthquake_Database_v11.16.22.xlsx
HiQuake Bibliography: http://inducedearthquakes.org/bibliography/

 

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La nuova versione di DISS, il database delle sorgenti sismogenetiche (colloquio con Gianluca Valensise)

Gianluca Valensise, sismologo di formazione geologica, dirigente di ricerca dell’INGV, è autore di numerosi studi sulle faglie attive in Italia e in altri paesi. In particolare è il “fondatore” della banca dati delle sorgenti sismogenetiche italiane (DISS, Database of Individual Seismogenic Sources: https://diss.ingv.it). Gli abbiamo chiesto di commentare l’ultima versione, pubblicata di recente.

Gianluca, puoi spiegare ai non addetti ai lavori in che cosa consiste questo database?

Il Database of Individual Seismogenic Sources, o DISS, è uno strumento ideato per censire le sorgenti sismogenetiche, ovvero le faglie in grado di generare forti terremoti che esistono su uno specifico territorio, esplorandone le dimensioni, la geometria e il comportamento atteso, espresso dallo slip rate e dalla magnitudo degli eventi più forti che tali faglie possono generare. Presenta delle somiglianze con un catalogo/database della sismicità storica, nella misura in cui fornisce informazione georeferenziata sul verificarsi dei forti terremoti, potendo fungere da base di partenza per l’elaborazione di modelli di pericolosità sismica a varie scale spaziali e temporali; tuttavia se ne differenzia per due ragioni fondamentali. La prima è quella di essere principalmente basato su informazione geologica, geofisica e sismometrica, e in parte anche storica. La seconda, che ne rappresenta la vera forza, e quella di “guardare in avanti” in modo esplicito, proponendo dove potrebbero accadere i terremoti del futuro e con quali caratteristiche. Anche un catalogo storico può essere utilizzato con le stesse finalità, sulla base del principio-cardine della Geologia per cui è possibile “ribaltare sul futuro” gli eventi naturali che abbiamo visto nel passato; ma l’immagine del futuro che potrà derivare da quest’operazione è certamente meno nitida di quella che si può ottenere ipotizzando l’attivazione futura di sorgenti sismogenetiche delle quali, almeno nell’ambito di incertezze anche ampie, riteniamo di conoscere le caratteristiche fondamentali, come lunghezza, profondità, cinematica e magnitudo del terremoto più forte che possono generare. Continua a leggere

Early Warning: facciamo il punto (colloquio con Marco Olivieri)

Periodicamente i media riportano notizie che riguardano il cosiddetto “Early Warning”, proponendolo come un sistema di allarme sismico (per inciso, il termine viene usato in una casistica estesa, non solamente sismica, dalle frane alle inondazioni ai movimenti di borsa ecc.).
In realtà l’Early Warning “sismico” non rappresenta un allarme pre-terremoto in senso stretto, ma un “avviso” che stanno per arrivare onde sismiche potenzialmente distruttive.
Per capirci: a molti di voi sarà capitato di sentire un terremoto, e magari di riuscire a distinguere l’arrivo delle onde compressionali, dette P, dall’effetto prevalentemente sussultorio, e in seguito le onde trasversali, dette S, dall’effetto prevalentemente ondulatorio. Ecco, se ciascuno di noi fosse in grado di discernere con precisione l’arrivo delle onde P potrebbe disporre di un certo numero di secondi per prepararsi all’arrivo delle onde S.
L’Early Warning rappresenta un perfezionamento tecnologico di questo principio semplice e geniale: in sostanza è il terremoto stesso che, una volta avvenuto, “avvisa” – mediante le onde P, le più veloci – che stanno per arrivare le onde S e quelle superficiali, più lente ma distruttive.
Più sotto riportiamo alcuni riferimenti ad articoli “divulgativi” italiani; uno di questi è addirittura firmato dall’attuale Ministro per la Ricerca, Gaetano Manfredi.
Per cercare di fare chiarezza ne discutiamo con Marco Olivieri, ricercatore all’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, competente su queste tematiche. 

Ci spieghi in modo più preciso su che principio si basa l’Early Warning sismico?

Un sistema di Early Warning si basa su 2 ipotesi:

  • bastano i tempi di arrivo delle onde P registrate a poche stazioni intorno all’epicentro per localizzare accuratamente il terremoto.
  • bastano pochi secondi di forma d’onda P per determinare la magnitudo. 

La seconda ipotesi è quella più complessa, presume che già nei primi istanti di propagazione della rottura sulla faglia sia contenuta l’informazione sulla completa rottura della faglia che può non essere ancora completata.
Se il territorio è monitorato da una densa rete di stazioni sismiche possiamo avere una stima dei parametri di sorgente entro pochi secondi, meno di 10. In 10 secondi le onde S hanno viaggiato per circa 40 km.
Stimati questi parametri di sorgente (localizzazione, profondità e magnitudo), un sistema di Early Warning è in grado di predire lo scuotimento atteso (in termini di intensità o accelerazione) nell’area non ancora investita dalle onde S e fornire questo dato, con una realistica barra di errore o con una probabilità associata, alla popolazione o a chi può e deve prendere decisioni e agire (o non agire).
Vista la descrizione appena fatta, la traduzione che in italiano rende meglio l’idea di cosa sia un Early Warning è “avviso in anticipo”, cioè che arriva prima delle onde distruttive.

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Gravimoti: la discussione continua (Patrizio Petricca e Giuseppe De Natale)

Patrizio Petricca (Università Sapienza, Roma). Caro Gianluca, grazie per questa tua intervista che alimenta la discussione alla base della ricerca scientifica, importante sia tramite canali ufficiali (le riviste peer-reviewed) che, in qualche modo, su blog come questo. Condivido ciò che dice nel suo commento Giuseppe De Natale, che riprende un concetto di Popper, ovvero che la Scienza progredisce attraverso nuove proposte che spingono la comunità scientifica a chiarire meglio i concetti ed a trovare precisamente gli errori. Vedo con soddisfazione che l’argomento genera interesse e spero che in futuro il modello venga confutato o confermato da nuovi studi.

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Gravimoti: altri commenti (Giuseppe De Natale e Roberto Devoti)

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Gravimoti: alcuni commenti all‘intervista di Valensise (Carlo Doglioni)

Riceviamo da Carlo Doglioni questo commento, che pubblichiamo come contributo indipendente, all’intervista a Gianluca Valensise
https://terremotiegrandirischi.com/2019/12/17/gravimoti-un-nuovo-paradigma-intervista-a-gianluca-valensise/
 
Carlo Doglioni, geologo, è professore di geodinamica all’Università Sapienza di Roma dal 1997. Dal 2009 al 2014 è stato presidente della Società Geologica Italiana; dal 2009 è membro dell’Accademia dei Lincei e dal 2011 dell’Accademia dei XL. Dal 27 aprile 2016 è presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.

La teoria del rimbalzo elastico è stata una grande innovazione all’inizio del secolo scorso. Questo modello assumeva l’ipotesi che le faglie sismogenetiche fossero “prevedibili” nel loro comportamento e che tendessero alla rottura in modo simile e con la stessa magnitudo in un ciclo potenzialmente infinito. Questa assunzione, indistinta per gli ambienti tettonici estensionali, compressivi o trascorrenti, si è dimostrata poco attinente alla realtà più complessa del ciclo sismico.
I terremoti estensionali hanno per esempio un certo numero di differenze rispetto a quelli compressivi che non possono essere spiegate se non con meccanismi genetici diversi.

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Gravimoti: un nuovo paradigma? (intervista a Gianluca Valensise)

Gianluca Valensise, del Dipartimento Terremoti, INGV, Roma, è sismologo di formazione geologica.Dirigente di ricerca dell’INGV, è autore di numerosi studi sulle faglie attive in Italia e in altri paesi. In particolare è il “fondatore” della banca dati delle sorgenti sismogenetiche italiane (DISS, Database of Individual Seismogenic Sources: http://diss.rm.ingv.it/diss/).  Ha dedicato oltre 30 anni della sua carriera a esplorare i rapporti tra tettonica attiva e sismicità storica, con l’obiettivo di fondere le osservazioni geologiche con l’evidenza disponibile sui grandi terremoti del passato.
Da qualche anno è emerso, nel panorama geo-sismologico italiano, il termine “gravimoti”: gli abbiamo chiesto di commentare l’origine e il significato.

Da qualche anno abbiamo cominciato a sentire parlare di “gravimoti”, in alcuni casi come alternativa al termine “terremoti”. Ci puoi riassumere da dove nasce questa idea e a cosa si riferisce?

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La scala macrosismica EM-98 è stata pubblicata in italiano: intervista a Andrea Tertulliani, Raffaele Azzaro e Giacomo Buffarini

La traduzione italiana della scala macrosismica europea (EMS-98), compilata da gruppo di lavoro della ESC (European Seismological Commission) nel decennio 1988-1998, esce a notevole distanza (21 anni) dalla pubblicazione della versione inglese, dopo che quest’ultima è stata utilizzata sul campo e sperimentata in occasioni di numerosi terremoti italiani, dalla sequenza di Colfiorito del 1997 (nell’occasione venne usata la versione 1992 della scala stessa) fino agli eventi del 2016-2017. Vale la pena ricordare le maggiori innovazioni introdotte dalla versione 1992, consolidate nella versione 1998: i) la definizione operativa di intensità macrosismica; ii) l’introduzione della nozione di vulnerabilità sismica come superamento delle tradizionali tipologie costruttive; iii) la compilazione di una guida all’utilizzo della scala stessa. Ne parliamo oggi con i curatori della versione italiana. Continua a leggere