Il rischio, l’educazione, la solitudine: lettera a M. Paolini (Ingrid Hunstad)

Caro Marco Paolini,
ci sono alcuni personaggi, nel panorama italiano, che nel triste degrado culturale in cui si trova l’Italia da molti anni, hanno tenuto alto il morale per la loro lucidità, il loro coraggio nell’affrontare temi difficili, la loro fantasia e bravura. Lei era fra questi.  Oggi mi è difficile conservare questo pensiero.  Quando ho letto le sue pesanti accuse contro di noi, ho fatto fatica a credere che si trattasse dello stesso Marco Paolini a cui avevo scritto il 25  gennaio 2011.  Se è vero che ha studiato a fondo le vicende e i fatti legati alla tragedia del Vajont, è altrettanto vero che lo stesso approfondimento non lo ha dedicato alle vicende legate alla tragedia del terremoto di L’Aquila.

Per esempio, non si è domandato quali precisi compiti avessero le 19 persone sedute a quel tavolo il 31 marzo 2009. Non erano inconsapevoli privati cittadini. Erano funzionari pubblici della Protezione Civile Nazionale, Regionale e della Prefettura i quali, per il ruolo che ricoprivano, avevano il dovere di conoscere i risultati del nostro lavoro che in quella sede, come nei giorni precedenti alla riunione abbiamo messo a loro disposizione senza alcuna mistificazione. La carta di pericolosità, che attribuisce all’Abruzzo il valore più alto in Italia è legge di questo Stato.  Lo sciame non modifica i colori di quella carta, il rischio non aumenta né diminuisce. Lo abbiamo detto nei comunicati ufficiali, lo abbiamo detto durante la riunione.

Si è domandato se, in paese civile, si possa ritenere accettabile che l’assessore regionale alla Protezione Civile della Regione a più alto rischio in Italia non conosca la Carta di Pericolosità? La legge non ammette ignoranza.
Ammettiamo pure che non la conoscesse.  Se avesse preso seriamente il suo lavoro, il giorno dopo il suo insediamento avrebbe dovuto informarsi sui rischi del territorio che stava per governare. Non sarebbe stato difficile perché il rischio sismico non cambia tutti giorni, è sempre lo stesso, è sempre alto in Abruzzo.  Anche nel momento in cui le scrivo.
L’assessore regionale non poteva non sapere, perché i nostri comunicati, quelli ufficiali che partono dalla nostra Sala Sismica arrivano d’ufficio nelle sale operative della Protezione Civile Regionale. E nei nostri comunicati c’era scritto che il rischio di quella regione non veniva modificato dallo sciame, era sempre lo stesso, ovvero molto alto. E questo non era scritto in maniera criptica, perché non siamo una famiglia massonica. Abbiamo un preciso compito istituzionale e non abbiamo mai mancato di svolgerlo.

Quanti ci hanno ascoltati?
In politica fare prevenzione non paga, non porta voti. E’ molto più efficace ignorare le proprie responsabilità e farsi vedere indignati. Se non può credere a noi, a me che le sto scrivendo, può leggere con i suoi occhi i nostri comunicati, sono agli atti del processo.
Il corollario che fu aggiunto, “più scariche di energia facevano il terremoto meno probabile, allontanavano l’eventualità di una forte scossa” non è opera nostra. Può leggere ogni singolo comunicato ufficiale dell’INGV, tutti i verbali ufficiosi e ufficiali della riunione del 31 marzo e non troverà traccia di questa assurdità nelle parole di chi ha firmato i comunicati e di coloro che rappresentavano l’INGV alla riunione. Chi ha sostenuto questo corollario non era uno scienziato, era il numero due della Protezione Civile Nazionale. Ed è l’unico che ha rilasciato interviste prima e dopo la riunione.

Lei accusa noi scienziati di non saper comunicare, di comportarci come una famiglia massonica. Siamo così per niente massoni che da venti anni, da ottobre a giugno, ospitiamo  le scuole. Gli “scienziati”, che lei pensa così spocchiosi, parlano, spiegano, raccontano ai bambini, agli insegnanti, ai ragazzi. Gli mostriamo la Sala Sismica, gli spieghiamo quanto è importante dormire in una casa sicura, ci raccomandiamo di raccontare quanto hanno imparato alle loro famiglie.
Siamo così per niente chiusi nel nostro castello incantato che cerchiamo di  inventare i metodi più stravaganti per attirare l’attenzione dei più distratti ed educarli al rischio sismico. Ai nostri seminari si ride, si ascolta musica, si parla di storia, di vini, si pasticcia con la sabbia e con la farina, perché anche gli ingredienti di una torta si possono utilizzare per spiegare la sismologia in parole facili. Le abili mani di uno dei nostri tecnici hanno costruito un modellino di casa in legno, con tetto leggero e con tetto pesante, con pareti rinforzate e non. Per far capire che nelle case costruite bene non si muore.
Abbiamo capito che per molti la scienza risulta difficile da capire, i rischi naturali spaventano, e se parlassimo il linguaggio che utilizziamo tra noi, pochi verrebbero a sentire i nostri seminari.
Come vede, non vendiamo “pacchetti preconfezionati di notizie e opinioni a buon mercato”.

Sappiamo bene che se avessimo personaggi famosi a darci una mano il nostro messaggio arriverebbe a milioni di italiani invece che a centinaia. Ma anche le persone di cultura rimangono sorde ai nostri appelli. Anche lei è rimasto sordo.
Avevamo iniziato a sperimentare l’associazione della musica con la sismologia. Il progetto si chiamava “Onde Sismiche Onde Sonore. Dal Terremoto alla Musica”. Eravamo quattro ricercatori, una sociologa, un ingegnere. Lo scopo era raggiungere il maggior numero di persone possibile, attrarle con la proposta di un concerto finale ed educare con un linguaggio semplice ed il loro stesso coinvolgimento negli esperimenti in sala.
L’idea funzionò. La musica si poteva adattare ai diversi gusti e alle diverse età. Il pubblico seguiva, capiva, si divertiva. E l’educazione al rischio arrivava. Eravamo pronti per il passo successivo. Coinvolgere un grande nome, capace di attrarre molte, moltissime persone. Perché se si esclude la Sardegna, l’Italia è tutta sismica. E tutti hanno il diritto di sapere in quale territorio vivono. Tra i grandi nomi mi venne in mente lei, Marco Paolini. Una persona profonda, seria, sensibile. In quel momento lei stava collaborando con un violoncellista.  La musica, la cultura, la scienza. Mi sembrava la persona perfetta.
“Chissà se accetterà”, ci chiedevamo.
Sul sito ufficiale di Marco Paolini, http://www.jolefilm.com, trovai diversi indirizzi per diverse necessità. Tra i tanti ne scelsi due, comunica@jolefilm.it e cv@jolefilm.it.
Nella e-mail mandata a questi indirizzi ho presentato il nostro gruppo, il nostro obiettivo (l’educazione al rischio) e il nostro progetto.

Sono passati due anni e mezzo e non ho ancora ricevuto risposta. Neanche un garbato rifiuto prestampato. Nulla. E’ per questo, le ripeto, che quando ho letto il suo articolo, ho fatto fatica a credere che fosse lo stesso Marco Paolini a cui avevo scritto. Ho cercato sul mio pc l’e-mail inviata, non si sa mai, sempre meglio poter dimostrare quanto si dice. Diventare bugiarda oltre che massona non sarebbe una bella cosa. Trovata l’e-mail, eccomi qui a scriverle.
Ma i fatti bizzarri non sono finiti. Lo stesso giorno in cui lei ha scritto su la Repubblica, a qualche pagina di distanza, c’è un altro nome importante, Paolo Rumiz. Anche lui è stato invitato a partecipare ad uno dei nostri seminari. Almeno lui, con educazione, ci ha risposto di non poter venire.
Anche ad altri abbiamo chiesto aiuto perché il nostro messaggio di sismologi arrivasse a tutti gli italiani che hanno diritto di sapere. Lei non è un’eccezione. Agli scienziati si presenta il conto a terremoto avvenuto, in tempi di pace  nessuno ci ascolta.

Una sismologa dell’INGV

Ingrid  Hunstad

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