La consapevolezza del rischio, la nostra responsabilità e la colpa degli scienziati (Renato Fuchs)

Non amo le premesse, ma qui è necessario farne alcune:
♦ Non sono un sismologo né un ingegnere sismico;
♦ Mi sono occupato, dopo il terremoto di L’Aquila, sia del supporto logistico ed informatico ai tecnici impegnati nella realizzazione del Progetto CASE sia della fase di definitivo abbinamento tra le famiglie aventi diritto e gli appartamenti realizzati nell’ambito del Progetto stesso;
♦ Mi occupo ora di marketing e comunicazione in un centro di ricerca in ingegneria sismica.

Ho letto, con attenzione e con alterni sentimenti, l’articolo di Marco Paolini sulla “sentenza Grandi Rischi”.
A me pare che la sentenza di condanna dei componenti la Commissione Grandi Rischi (CGR) sia frutto di ignoranza. Ignoranza, però, solo parzialmente dovuta a “mancanza di conoscenza” e, quindi, incolpevole. Per la più parte, ignoranza voluta dalle istituzioni ed in qualche modo “desiderata” dalla popolazione.

Cerco di spiegarmi con un esempio.
Quasi trent’anni fa mi sono sposato. Per l’occasione mia moglie ricevette in donazione da suo padre una porzione di fabbricato che, con non pochi sacrifici, ristrutturammo rendendolo abitabile e vivendoci per più di un decennio.
Recentemente abbiamo a nostra volta donato quella casa a nostra figlia, che da pochi giorni – dopo lavori di rammodernamento – ci abita con la sua famiglia.
La casa si trova in una bella zona, soleggiata e panoramica, chiamata “Dossorovina”.
Il motivo di tale nome mi è risultato chiaro alcuni anni fa, quando a causa di lavori nella sottostante piazza sono stati trovati, ad alcuni metri di profondità, resti di abitazioni che, centinaia di anni or sono, sono state distrutte da una frana di fango e terriccio.
Il dosso, insomma, è rovinato sulle case. È accaduto, può accadere nuovamente.
La zona, quindi, è evidentemente pericolosa, come il suo nome testimonia in modo simile al tragicamente noto monte Toc che, come dice Paolini, significa “pezzo, frammento, scheggia”.
Le diverse istituzioni competenti fingono di non saperlo, rilasciando concessioni edilizie.
Ed i cittadini, me compreso, non vogliono saperlo. Per evitare di vivere in ansia, per godersi il sole ed il panorama, per credere di essere più forti della natura ed intoccabili.
Ci costruiscono case, le rimodernano, le donano ai propri figli e nipoti.
Quando poi dovesse accadere il disastro, si urlerà, si piangerà, si incolperanno le istituzioni, si chiederanno i danni.

L’Italia è piena di storie come questa.
Circa seicentomila persone vivono sulle pendici del Vesuvio, milioni di persone vivono in zona sismica, altri milioni in zone a forte rischio idrogeologico.
Tutti felici e contenti, convinti che il pericolo non ci sia, che la storia non si ripeta, che a loro non toccherà.
Da un certo punto di vista, è meglio così: si vive tranquilli, si dorme bene, ci si gode il sole, il mare, il panorama. I tempi geologici sono, appunto, tali: lunghi, lunghissimi, incomparabili con il nostro breve passaggio. E’ quindi improbabile che un evento catastrofico ci coinvolga direttamente.

Improbabile, non impossibile.
Quando capita, però, il senso di colpa è grande, insostenibile.
Se il dosso rovinasse sulla casa che ora è di mia figlia cercherò un colpevole: il Sindaco, il responsabile dell’edilizia privata, il geologo, il presidente della Provincia, della Regione, della Repubblica, il Papa, Dio. O la Commissione Grandi Rischi, perché non si è riunita, perché si è riunita, perché ha parlato poco, perché ha parlato molto, perché ha dato l’allarme, perché non lo ha dato.
Così la colpa sarà un po’ meno mia, per consentirmi di vivere.

Lo ripeto, non sono un sismologo né un ingegnere sismico.
Ma ho capito perfettamente una cosa: i terremoti non uccidono nessuno. Sono gli edifici, costruiti nei luoghi sbagliati e, soprattutto, nei modi sbagliati, ad uccidere le persone.
Lo hanno capito in molti, soprattutto dove i terremoti sono frequenti, così da costringere tutti a ricordarsene: Giappone e California, ad esempio.
Lo hanno capito, ovviamente e da anni, i sismologi e gli ingegneri sismici. In particolare lo hanno capito – e da tempo hanno cercato e cercano di farlo capire a governanti, amministratori, cittadini – gli scienziati ed i tecnici che facevano parte della Commissione Grandi Rischi.
Ora li hanno condannati “per non avere correttamente informato la popolazione”, ossia per averla tranquillizzata dicendo che non era possibile affermare che ci sarebbe stato un terremoto disastroso.
Seguendo questa logica, gli stessi tecnici e scienziati avrebbero dovuto, invece, affermare che era possibile che un terremoto disastroso si verificasse, in tal modo evitando la condanna.
In quest’ultimo caso, la logica conseguenza sarebbe stata un ordine (o, perlomeno, un forte stimolo) di evacuazione.
Sarebbe stato molto meglio: si sarebbero salvate tutte le 309 vittime del terremoto di L’Aquila.

Col senno di poi, che è lo stesso utilizzato per condannare la CGR.
Dimenticando – o, forse, volendo dimenticare – un dettaglio: oggi sappiamo che purtroppo il terremoto del 6 aprile 2009 c’è stato e che dopo non vi sono state scosse così forti. Ma poteva andare diversamente: la scossa forte poteva arrivare 6 mesi dopo o non arrivare per decenni, oppure arrivare in un’altra città (a proposito, il “previsore di terremoti” Giampaolo Giuliani l’aveva prevista a Sulmona, non a L’Aquila), magari proprio dove erano sfollati gli aquilani.
In questi casi i membri della CGR avrebbero potuto essere processati per procurato allarme o, peggio, per omicidio colposo avendo causato la morte di tutti coloro che avevano fatto sfollare nell’area poi colpita dal sisma.

Continuo, purtroppo, a pensare che, tutti, stiamo perdendo tempo: a dare colpe a chi non ne ha, a trovare capri espiatori per alleviare il peso a chi ha perso famigliari, affetti, case.
E non ci concentriamo su ciò che è importante: la conoscenza del problema e delle soluzioni.
Dovremmo spiegare, partendo dalle scuole materne, cos’è un terremoto, come si costruisce e quanto costa un edificio in grado di resistergli, come ci si comporta durante una scossa.
E dovremmo far sì che ognuno sia “Commissione Grandi Rischi” di sé stesso, in grado di capire se è a rischio e, nel caso, come può proteggersi. Senza fingere che il problema non esista, che il dosso non rovini.
Mi pare quindi che Paolini abbia pienamente ragione quando afferma “A noi stessi dobbiamo chiedere di più e aspettarci di meno: di spalare la neve davanti a casa nostra e anche un po’ più in là, di segare l’ erba, perché un Paese fatto al settanta per cento di montagne non può che affidare la sua manutenzione a chi decide davvero di abitarlo”.

Non cerchiamo, non devo cercare, responsabilità in altri: prendiamocela, ciascuno per la propria parte. È davvero l’unico modo per vivere meglio, con meno paure.

Renato Fuchs, 29 settembre 2013

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