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Venerdì 10 ottobre 2014 si è svolta la prima udienza del processo di appello, a L’Aquila. I giudici sono tre: la presidente è Fabrizia Ida Francabandera.
Dopo la conta dei presenti (fra gli imputati risultano assenti Calvi ed Eva) la presidente ha annunciato l’intenzione di procedere celermente, convocando udienze settimanali di venerdì e sabato, anche a causa di problemi di disponibilità dell’aula, per concludere “con una lunga camera di consiglio”, il 31 ottobre.
In avvio un avvocato di parte civile ha proposto di acquisire agli atti il video della trasmissione “Presa Diretta” del 21 gennaio 2013 che ha ritrasmesso, tra altre cose, anche un brevissimo spezzone – sottotitolato – della conferenza stampa resa dopo la riunione del 31 marzo 2009. Ricordo che agli atti del processo di primo grado c’era solo il video, senza audio. I difensori tutti hanno eccepito, evidenziando l’improprietà di considerare solo uno spezzone di audio e la provenienza incerta. La corte si è riunita per una rapida decisione, che ha portato alla acquisizione agli atti del DVD in questione.
La presidente ha poi dato lettura di un riassunto della Motivazione della sentenza di primo grado, dando l’impressione di avere bene approfondito l’argomento e mettendo bene in evidenza i punti centrali della sentenza e dell’accusa fra i quali, ad esempio, l’iscrizione d’ufficio “a componenti della CGR senza diritto di voto” di Stati, Cialente e Leone – oltre che di Selvaggi, Dolce e De Bernardinis – per raggiungere il quorum dei 10 nominativi. Ha poi segnalato che il PM ha presentato appello per l’inserimento di una delle vittime, esclusa dalla sentenza di primo grado, e ha letto un riassunto dei principali punti degli appelli degli imputati, “breve in quanto poi saranno illustrati ampiamente dai difensori”.
La presiedente ha poi dato la parola al Procuratore Generale (PG) R. Como, il quale ha ribadito i punti principali dell’accusa, iniziando dalle affermazioni che “non si è trattato di un processo alla Scienza (con cenno alle 4.000 firme raccolte dagli scienziati all’inizio delle indagini)”, “non si è trattato di mancata previsione ma di mancata valutazione del rischio”. Ha poi insistito sul problema del nesso di causalità, sostenendo che la “comunicazione della Grandi Rischi” avrebbe determinato un comportamento “insolitamente imprudente” nelle vittime. Oltre agli argomenti scontati (Bertolaso, massimi esperti, operazione mediatica, scarico di energia, ecc.) il PG ha chiamato in causa maggiormente alcuni nomi, fra cui – inaspettatamente – Selvaggi, che avrebbe partecipato “abbondantemente” alla discussione. Di Barberi ha detto che avrebbe sostenuto che si trattava di una riunione della CGR. Ha poi sostenuto che si trattava di una riunione “pubblica”, citando anche il fatto che vi erano persone “imbucate” – fra cui Del Pinto – che avrebbero poi riferito, e si è chiesto perché sia stato diffuso il verbale dopo il terremoto del 6 aprile, “visto che non serviva più”. A riprova del fatto che si trattò di operazione mediatica ha citato la presenza di D’Annibale e Salvatori del DPC.
Nel corso della requisitoria il PG ha trovato modo di difendere Giuliani, “trattato da ciarlatano ma che forse ci aveva visto lungo” (si veda in proposito il commento di De Luca http://uninews24.it/abruzzo/5344-de-luca-univaq-sconcertante-dare-ancora-credito-a-giuliani.html; ricordo gli articoli dei ricercatori dell’Università di L’Aquila circa gli aspetti scientifici legati al radon nei giorni precedenti il terremoto http://link.springer.com/article/10.1007/s12665-013-2635-1#page-1). Ha poi ripetuto lo svarione, già presente nella Motivazione, che attribuisce anche a Selvaggi la paternità dell’articolo del 1995 – di Boschi, Gasperini e Mulargia – sulla probabilità di occorrenza di un terremoto forte e, soprattutto, ha sostenuto che gli scienziati erano consapevoli e concordi sugli scopi della riunione.
In conclusione Il PG ha richiesto la conferma della pena di 6 anni per tutti gli imputati e la revisione delle pene accessorie.
Lo stesso concetto della consapevolezza degli scienziati e del loro agire in cooperazione è stato ripreso nel seguito anche dal primo intervento degli avvocati di parte civile. In particolare ha ammesso la “debolezza” della legge di copertura scientifica di Ciccozzi (recentemente abilitato a professore associato, ndr), sostenendo tuttavia che tale teoria non è decisiva per la determinazione del nesso di causalità.
In chiusura di riunione è stato formulato il calendario delle prossime udienze (17,18, 24, 25 e 31 ottobre).
Si veda anche
http://processoaquila.wordpress.com/2014/10/11/iniziato-il-processo-di-appello-a-laquila/
http://www.ansa.it/abruzzo/notizie/2014/10/10/al-via-processo-appello-grandi-rischi_b60741a3-b552-4e3d-9b96-395ecc834248.html (interessanti i commenti)
A margine
- L’udienza si è svolta in un clima disteso, se ignoriamo l’assalto delle “Iene” a Dolce a proposito dei balconi del progetto CASE. Va peraltro segnalato che l’udienza era stata preceduta, nei giorni scorsi, da alcuni interventi, abbastanza aggressivi, di giornalisti online che hanno attaccato l’etica (sic) degli imputati (macchina del fango?) e ripreso anche il concetto dei “pizzini istituzionali”. Qualcuno si è rivelato ben informato sulla possibilità che anche la prima udienza venisse estesa al sabato e che il PG avrebbe chiesto la conferma della condanna di primo grado.
- Il “Newyorker” http://www.newyorker.com/books/page-turner/weekend-reading-observing-executions-italian-earthquakes-nico-muhly-beyonce ha citato il post di D. Wollman https://medium.com/matter/the-aftershocks-7966d0cdec66, contro cui si è scagliato il giornalista “scientifico” R. Salvadorini nei giorni precedenti l’udienza.
- Il presidente della Regione Liguria ha sostenuto che il mancato allarme in occasione della recente alluvione è da ascriversi al cattivo funzionamento di un algoritmo che fin lì aveva funzionato bene.
Invece è un processo alla scienza, ma la magistratura non se ne accorge e crede il contrario.
Il problema sta nell’identificazione del nesso causale. I vecchi (ma molto chiari) manuali di penale proponevano la teoria della condicio sine qua non. E’ chiaro che con questa tesi v’è nesso causale tra le informazioni della commissione ed la morte degli aquiliani. Ma la teoria menzionata è stata superata (ometto le spiegazioni) a favore della prevedibilità dell’evento secondo una legge scientifica di copertura. In altri termini la condotta deve avere una idoneità ad innalzare il rischio di produzione dell’evento (rischio che può essere anche pari alla certezza se esiste una legge scientifica che identifichi una derivazione necessaria dell’evento). Ora il vero problema è capire se lo sciame sismico era statisticamente foriero di un aumento del rischio di un evento di grandi dimensioni. Se manca questo legame imputare alla commissione la morte di quelle persone vuol dire rimproverarle per la mancata previsione dell’evento medesimo. Mi spiego con un esempio. Se quelle persone, indotte a rimanere in casa dalle dichiarazioni, fossero morte in conseguenza della caduta sui palazzi di un aereo, ciò sarebbe stato imputato alla commissione? No, perché non c’è connessione tra sciame sismico e caduta di un aereo. Eppure anche in questo si potrebbe dire: ” se nessuno li avesse rassicurati, non sarebbero rimasti nelle loro abitazioni e l’aereo non li avrebbe uccisi”. Ma appare evidente a tutti che tale ragionamento è fallace. Ed allora se anche l’evento sismico di grandi dimensioni non era prevedibile, perché imputarlo alla commissione?
Tuttavia temo che saranno condannati anche in Appello
Mi sembra che questo commento centri molto bene la sostanza delle cose. Rispetto alla questione sollevata “Ora il vero problema è capire se lo sciame sismico era statisticamente foriero di un aumento del rischio di un evento di grandi dimensioni” la risposta è NO, come dimostrano infiniti casi in cui una sequenza sismica non è sfociata in un grande terremoto. E non siamo a conoscenza di nessun caso di “previsione operativa” basata sull’andamento di una sequenza che abbia portato a un allarme.
Quindi, come dice il commento, “Se manca questo legame imputare alla commissione la morte di quelle persone vuol dire rimproverarle per la mancata previsione dell’evento medesimo.” Ecco perchè, sì, si tratta di un processo a valutazioni scientifiche, se non vogliamo scomodare la scienza.
Il punto è che la magistratura lo sa benissimo, non è vero che non se ne accorge. E per questo ricorre alla circonlocuzione del rischio sismico e della sua mancata valutazione. Ponendo l’attenzione alla pagliuzza invece che al trave: il rischio sismico dell’Aquila e il suo territori era già altissimo perchè altissima era la vulnerabilità. L’aumento della pericolosità in relazione alla sequenza, calcolato secondo i tanto decantati approcci dell’OEF, era inferiore a un punto percentuale.
L’unica cosa che “mancò” fu la previsione deterministica del quando, perchè la possibilità di un terremoto forte non fu negata; anzi, fu ricordata. Del resto se un territorio è inserito da una legge dello Stato e una della Regione in zona sismica di seconda categoria, è perchè un terremoto forte può arrivare, dall’inizio della riunione del 31 marzo 2009 e in seguito, visto che prima non era arrivato.
Se l’evento forte fosse arrivato un mese dopo la riunione invece che una settimana dopo, non ci sarebbe stata alcuna possibilità di provare un legame fra le vittime e la riunione stessa; nemmeno da parte del più arzigogolato dei giudici.
Sull’Appello, incrociamo le dita.